La tomba di Giambico risale all’83 d. C.
La porta d’accesso ha una architrave riccamente decorato con frontone a motivi floreali poggianti su due grifoni. All’altezza del terzo piano la facciata presenta una struttura architettonica composta da un secondo frontone sostenuto da due pilastri con capitello corinzio, che doveva proteggere la rappresentazione a tutto tondo del costruttore della tomba, oggi scomparsa. Al di sotto ci sono due sostegni aggettanti in forma d’aquile e, più in basso, teste d’leone. L’interno è più sobrio rispetto a quello della tomba precedente: lo spazio tra ogni fila di loculi è inquadrato da semplici cornici modanate, mentre il soffitto è decorato da motivi a losanghe.
La tomba più antica ritrovata a Palmyra ha una struttura ad ipogeo, è datata alla seconda metà del II secolo a. C., e si trova sotto l’impianto del tempio di Baalshamin (situato nella parte est della città e completato nel 131 d. C.). in origine essa doveva avere anche una struttura esterna, caratteristica che le successive tombe non hanno conservato. Queste ultime sono molto numerose e si trovano nelle necropoli di sud – ovest, di sud – est e nella zona ai piedi del castello arabo che sovrasta Palmyra.
Esempi significativi sono la cosiddetta “tomba dei tre fratelli”, la “tomba di Yarhai” e la tomba “F”. nella “tomba dei tre fratelli”, a sud – ovest di Palmyra, un corridoio in leggera pendenza – per un dislivello di due metri – conduce al portale di accesso costituito da due enormi battenti monolitici in pietra, che girano su pesanti cardini. I battenti sono decorati da motivi geometrici e sull’architrave e sugli stipiti sono incise cinque iscrizioni, redatte nel dialetto aramico palmiriano: la prima ricorda la fondazione della tomba, le altre sono atti di vendita di parti dell’ipogeo, redatti in diverse occasioni (dal 160 al 241 d. C.). sei gradini facilitano la discesa all’interno della tomba, che ha una pianta a “T” rovesciata.
Tre gallerie (chiamate “esedre” nelle iscrizioni) si dipartono dall’entrata per una lunghezza di nove metri ciascuna – una a destra, una a sinistra ed una di fronte. Sono divise in spazi verticali, ognuno dei quali poteva accogliere fino a sei defunti posti ordinatamente uno sopra l’altro, dal soffitto al pavimento, per un’altezza che poteva variare dai 3 ai 4 metri . Ogni loculo è chiuso da una lastra con la raffigurazione in rilievo del defunto a mezzobusto ed una breve epigrafe che ne ricorda il nome ed il patronimico.
La galleria centrale è quella più importante: sul fondo appare la scultura a tutto tondo del fondatore della tomba, attorniato dalla famiglia – immediatamente visibile dall’entrata. Il defunto era rappresentato sdraiato su un triclinio, nella posizione tipica del banchetto.
. Periodicamente, infatti, i familiari si recavano nella tomba per onorare con banchetti funerari i loro morti. Questi erano quindi rappresentati come partecipi – simbolicamente – delle cerimonie organizzate in loro favore.
Il fondo dell’esedra centrale ha rifiniture particolarmente ricche, costituite da colonne, capitelli e trabeazioni che reggono una finta volta, splendidamente affrescata. Sulle pareti sono raffigurati i defunti a figura intera oppure a mezzo busto, racchiusi entro spazi circolari sorretti da vittorie alate e che conservano molto vividi i colori originali. L’arco sotto la volta presenta scene tratte dalla mitologia classica. I volti dei defunti e delle vittorie non sono sfuggiti alla furia iconoclasta dei primi arabi che visitarono le tombe, deturpandoli vistosamente. L’ipogeo dei “tre fratelli” ospita 300 loculi.
Una simile disponibilità, che sicuramente travalicava le reali esigenze di una famiglia, anche considerando le generazioni successive, può essere spiegata attraverso le iscrizioni poste, in genere, sulle trabeazioni delle porte d’accesso agli ipogei o delle “tombe a torre”.
Esse ci informano che i fondatori delle tombe potevano cedere parti delle stesse agli altri, che ne divenivano proprietari a tutti gli effetti di legge. Da ciò si deduce che le attività economiche dei palmireni non si limitavano al solo commercio, ma erano più complesse e a volte anche alla compravendita di immobili, perfino i funerari.
La tomba di Yarhai, oggi ricostruita nel museo di Damasco, ha una pianta longitudinale. Fu scavata nel 108 d. C. nella parte centrale della Valle delle Tombe con entrata a nord. Una larga scalinata (tre metri di larghezza) conduce alla porta d’ingresso monolitica con architrave finemente scolpito. Al corridoio centrale furono aggiunte due esedre laterali alla fine del II secolo d. C. Quella orientale è rimasta incompiuta; quella occidentale con accesso a gradini, invece, fu tutta lastricata in pietra e inquadrata da un arco a tutto sesto. La saletta cosi realizzata ha le pareti tappezzate da raffigurazioni anche a tutto tondo: sul sfondo due sacerdoti, riconoscibili dal basso copricapo cilindrico, sono sdraiati su un triclinio; dietro, in un secondo piano, ci sono altri personaggi con lo stesso cappello sacerdotale; sulla sinistra c’è una figura femminile ammantata.
Fonte: Dimore eterne
Testo: Ricchardo Villicich