giovedì 11 novembre 2010

Il genio di Jonathan Swift



Molti di voi, credo, hanno letto I viaggi di Gulliver, se niente altro, almeno quella versione per i ragazzi....
Oggi vorrei proporre un piccolo ripasso di quella lettura ormai quasi dimenticata; è un po' lunghetta la pagina, ma dentro di se racchiude tutta la grandezza e il genio di questo straordinario autore:


 8 - ANCORA SU GLUBBDUBDRIB. ALCUNE CORREZIONI ALLA STORIA ANTICA E MODERNA

Dedicai un giorno intero all'evocazione di quegli antichi che primeggiarono nel sapere e nell'ingegno. Chiesi infatti di fare apparire Omero e Aristotele alla testa dei loro rispettivi commentatori, ma questi erano una tale schiera che invasero l'intera corte e in parte restarono fuori del palco. Riconobbi a prima vista quei due grandi in mezzo alla folla e seppi distinguerli uno dall'altro. Omero era più alto e più prestante del compagno, camminava con un portamento eretto nonostante l'età e aveva gli occhi più mobili e penetranti che mi sia mai capitato di vedere. Aristotele era curvo e camminava appoggiandosi a un bastone, la faccia smunta, i capelli radi e spioventi, la voce cavernosa. Mi accorsi che erano completamente estranei con gli altri, dei quali non avevano mai sentito parlare. Un fantasma, di cui non dirò il nome, mi bisbigliò all'orecchio che i commentatori risiedevano nella zona più lontana degli inferi da quella dove abitavano i due grandi, per un senso di vergogna e di colpa, tipica di chi ha stravolto completamente il messaggio dei due saggi.

Presentai Didimo ed Eustazio a Omero e riuscii a convincerlo a trattarli meglio di quanto meritassero, lui infatti si era subito accorto che mancavano del genio necessario a penetrare lo spirito di un poeta. Ma quando presentai Scoto e Ramo ad Aristotele con un breve cenno alle loro idee, questi perse le staffe e mi chiese se gli altri del gruppo erano altrettanto testoni.

Pregai il governatore di evocare Cartesio e Gassendi e li convinsi a spiegare i loro sistemi ad Aristotele. Il grande filosofo riconobbe apertamente gli errori che aveva commesso nella filosofia naturale, perché per molti aspetti aveva proceduto basandosi su supposizioni, come sono costretti a fare gli uomini, e osservò che Gassendi, il quale aveva reso tanto gustosa la teoria dl Epicuro, e lo stesso Cartesio dei "vortici" sarebbero stati messi da parte. Predisse lo stesso destino alla teoria della gravitazione, di cui sono così zelanti assertori i saggi di oggi. Disse che in fondo i vari sistemi con i quali si cerca di spiegare la natura non sono che mode, destinate a cambiare anno per anno; e perfino quanti fingono di ricorrere a dimostrazioni matematiche andranno fuori moda dopo un periodo di smagliante fortuna.

Passai cinque giorni a parlare con molti altri antichi saggi, vidi molti fra i primi imperatori romani, infine riuscii a convincere il governatore a farci preparare un pranzo dal cuoco di Eliogabalo; anche se questi non fu in grado di dar prova della sua maestria culinaria a causa di certi ingredienti, ormai introvabili. Un ilota di Agesilao ci preparò una minestra spartana: me ne bastò un cucchiaio!
I due gentiluomini che mi avevano accompagnato mi comunicarono che sarebbero dovuti ritornare entro tre giorni per i loro affari privati, per cui occupai questo breve periodo per vedere alcuni defunti dell'era moderna, che si fossero messi in luce negli ultimi due o trecento anni nella nostra terra o in altri paesi europei, e poiché sono un ammiratore appassionato delle illustri famiglie di antica stirpe, chiesi al governatore di far apparire un paio di dozzine di sovrani con tutti i loro antenati in fila, fino a nove o dieci generazioni. Ricevetti una dolorosa sorpresa: invece di una lunga fila di teste coronate, vidi in una famiglia due suonatori, tre cortigiani azzimati e un prelato italiano. In un'altra un barbiere, un abate e due cardinali. Avevo troppa venerazione per i sovrani, per insistere in un argomento così delicato. Ma non nutrivo certo illusioni circa i duchi, i conti, i marchesi, i baroni e via di seguito, tanto è vero che mi divertii abbastanza a rintracciare negli antenati i segni derivati dalle varie generazioni. Mi fu facile scoprire da dove una famiglia prendeva il mento pronunciato, perché un'altra aveva avuto tanti furfanti per un paio di generazioni, e per altre due dei pazzi; perché in una terza c'erano tanti scervellati e in una quarta tanti furbi; da dove derivava il motto di Polidoro Virgilio riferito ad un grande casato: "Nec vir fortis, nec foemina casta". E quindi scoprire perché certe famiglie si ornano della crudeltà, della falsità, della viltà, come fossero altrettante armi araldiche; chi era stato il primo ad immettere in famiglia la sifilide, chi avesse trasmesso in linea diretta un tumore scrofoloso ai propri discendenti. Né certo mi meravigliai al vedere certi alberi genealogici interrotti da paggi, lacchè, valletti, cocchieri, biscazzieri, suonatori, attori, capitani, borsaioli. La storia moderna mi dette il voltastomaco. Dopo avere passato in rassegna gli uomini più famosi degli ultimi cento anni, mi accorsi di quanto la gente era stata ingannata da scribacchini venduti, capaci di assegnare meriti di gloria militare ai vigliacchi, i più saggi consigli ai pazzi, la sincerità agli adulatori, la virtù romana ai traditori della patria, la pietà agli atei, la castità ai sodomiti, la verità ai delatori; e quante persone innocenti e di grande valore erano state condannate a morte o all'esilio per i raggiri dei ministri, la corruzione dei giudici, la malvagità delle fazioni; quanti ribaldi erano stati elevati agli incarichi del più grande prestigio, dignità, fiducia, profitto; quale grande importanza nelle decisioni e negli eventi di corti, assemblee e senato avevano avuto ruffiani, *******, mezzani, parassiti e buffoni; e che opinione mi feci della saggezza e della integrità dell'animo umano, quando fui informato dei motivi reali che avevano provocato le più grandi imprese e rivoluzioni e degli accidenti fortuiti che ne avevano decretato il successo!

A questo proposito scoprii quanto siano in mala fede e nell'ignoranza quegli storici che dicono di scrivere aneddoti o storie segrete, che rivelano chi ha spedito al creatore tanti sovrani col veleno, che ti fanno assistere ai colloqui di re e primi ministri svoltisi senza testimoni, che ti aprono sotto gli occhi le casseforti e i cuori degli ambasciatori senza poi indovinarne una! Inoltre scoprii le vere cause di tanti grandiosi eventi che hanno sbalordito il mondo: come una ******* sa manovrare il sottoscala, il sottoscala un'assemblea, un'assemblea un intero senato. Un generale mi confessò candidamente di aver vinto una battaglia campale grazie alla viltà e agli errori madornali; un ammiraglio mi assicurò di aver sbaragliato il nemico al quale, per mancanza di comunicazioni, voleva vendere la flotta; tre Sovrani mi assicurarono di non aver mai scelto una persona per i suoi meriti, se non per sbaglio o per tradimento di alcuni ministri nei quali avevano riposto fiducia, e aggiunsero che, se fossero tornati a vivere, avrebbero fatto lo stesso perché, come mi dimostrarono, un trono reale non si regge se non sulla corruzione, mentre il carattere serio, sobrio e aperto del virtuoso è una palla al piede per gli affari di stato.
A questo punto mi venne la curiosità di sapere in quale modo e con quali metodi tanta gente si era procurata alte onorificenze e grosse fortune. Limitai la mia indagine ai tempi moderni, anche se non ai giorni nostri, perché non avevo intenzione di offendere nessuno, stranieri compresi (spero infatti di non dover ricordare al lettore che in nessun senso alludo alla mia patria con questo esempio). Furono evocate moltissime persone che si trovavano nella condizione sopra accennata e fu sufficiente un esame superficiale per delinearci scene di una tale infamia, che ogni volta che le ricordo mi riempiono di tristezza: spergiuro, prevaricazione, seduzione, frode, ruffianeria e simili erano le arti più pulite alle quali confessarono di essere ricorsi e verso le quali dimostrai una certa comprensione. Ma quando diversi ammisero di dovere poteri e ricchezze alla sodomia e all'incesto, altri alla prostituzione alla quale avevano costretto mogli e figlie, altri al tradimento del loro sovrano e della patria, altri ancora al veleno, e i più alla corruzione della giustizia a danno di innocenti, spero di essere perdonato se tutte queste rivelazioni raffreddarono in me quella profonda venerazione che ho istintivamente per le persone importanti, verso la cui dignità noi inferiori dobbiamo il massimo rispetto.

Avevo sentito parlare spesso di grandi servigi resi a stati e a sovrani e quindi espressi il desiderio di vedere alcune di queste persone, ma mi fu risposto che di costoro si era persa ogni memoria ad esclusione di pochi che la storia ci ha tramandato come ribaldi e traditori. Quanto agli altri, non ne avevo mai sentito parlare: me li vidi davanti con sguardi tristissimi, e poveri in canna; moltissimi anzi mi riferirono di essere morti in disgrazia e in miseria, e quelli che rimanevano di avere sputato l'anima sul patibolo o appesi alla forca.

Tra gli altri c'era una persona che aveva avuto un destino abbastanza singolare; lo accompagnava un giovane di circa diciotto anni. Mi disse di essere stato per vari anni comandante di una nave e di avere avuto la fortuna di infrangere le linee nemiche nella battaglia navale di Azio, dove aveva affondato tre fra le più grosse navi avversarie e catturata una quarta, costringendo Antonio alla fuga e diventando artefice unico della vittoria, nella quale aveva tuttavia perduto suo figlio, che ora aveva al fianco. Aggiunse che, dopo avere saputo che la guerra era praticamente finita, si era recato a Roma chiedendo che gli fosse affidata una nave più importante, il cui comandante era stato ucciso; nave che, con totale disprezzo per i suoi meriti, venne affidata ad un ragazzino che in vita sua non aveva nemmeno visto il mare, ma che era figlio di Libertina, una donna al seguito di una delle amanti dell'imperatore. Mentre si preparava a riprendere il suo posto, fu accusato di negligenza e la nave fu affidata ad un paggio favorito di Publicola, il vice ammiraglio. Non gli rimase che ritirarsi in un suo piccolo poderetto lontano da Roma, dove finì i suoi giorni. Curioso di sapere come fossero andate le cose, feci evocare Publicola, che era ammiraglio al tempo della battaglia, il quale confermò ogni cosa, dimostrando anzi che il comandante, per modestia, aveva taciuto molti dei propri meriti.

Rimasi sorpreso nel vedere come il lusso, che pure vi era stato introdotto molto tardi, avesse in così breve tempo devastato quell'impero e ciò mi fece meravigliare molto meno della corruzione di altri paesi dove vizi di tutte le specie hanno regnato più a lungo, e dove lodi e ricchezze sono prerogativa unica di un capo, il quale è probabilmente l'ultimo che le meriti.

Attraverso l'evocazione di varie persone, avevo avuto modo di constatare l'aspetto fisico che avevano al loro tempo, e questa vista mi aveva fatto malinconicamente riflettere su quanto fosse degenerata la razza umana in questi ultimi cento anni, quanto la sifilide con tutti i suoi nomi e le sue conseguenze avesse alterato l'aspetto degli inglesi, rattrappito i corpi, spossato i nervi, rilassato muscoli e tendini, resa esangue la carnagione, flaccida e corrotta la carne.

Allora chiesi umilmente che fosse evocato qualcuno di quei campagnoli inglesi di vecchio stampo, un tempo famosi per la semplicità dei modi, del mangiare e del vestire, per il loro senso della giustizia e della libertà, per il loro coraggio e amor patrio. Non rimasi certo insensibile dinanzi a questo paragone dei vivi coi morti, nel considerare come quelle virtù antiche erano state prostituite per la brama di denaro dai loro nipoti i quali, a furia di vendere i propri voti e manipolare le elezioni, hanno contratto tutti i vizi di cui è piena la corte

                                                                
                                                                                                           J. Swift - I viaggi di Gulliver (libro 3)

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