sabato 6 novembre 2010

Riflessioni sul ruolo dello scrittore

Quale sia lo ruolo dello scrittore, che compito ha, fino dove si deve spingere e come deve essere composta una opera letteraria....?
Sono le domande che molto spesso si sentono in giro nei vari circoli letterari, e su qualle hanno cercato a dare la risposta anche i tanti autori.... Eccone una che mi è piacuta nel modo particolare; il suo autore è Henry Fielding, e il testo fa parte dell'introduzione nel suo libro Tom Jones:

Introduzione all'opera, ovvero lista del banchetto


L'autore dovrebbe considerare se stesso non come un gentiluomo che offra un pranzo in forma privata o d'elemosina, bensì come il padrone d'una taverna aperta a chiunque paghi. Nel primo caso, colui che invita offre naturalmente il cibo che vuole, e quand'anche questo sia mediocre e magari sgradevole ai loro gusti, gli ospiti non debbono protestare; ché l'educazione impone loro d'approvare e lodare qualunque cosa venga loro posta dinanzi. Proprio il contrario accade al padrone d'una taverna. Quelli che pagano vogliono dar soddisfazione al proprio palato, anche quando questo sia raffinato e capriccioso, e se non è tutto di loro gusto, si sentono in diritto di criticare, di protestare, d'imprecar magari contro il pranzo, senz'alcun ritegno.
Ecco perché, per non deludere i clienti, l'oste onesto e benintenzionato espone in genere una lista delle pietanze, a cui tutti, appena entrati nella taverna, possono gettare uno sguardo; ed essendosi resi conto di quel che c'è, possono rimanere gustando ciò che vien loro offerto, oppure andarsene altrove dove la lista meglio s'accordi coi loro gusti.
Non sdegnando d'accettare lezioni di spirito o di saggezza da chiunque sia in grado di darcene, volentieri abbiamo preso lo spunto da questi onesti approvvigionatori e non solo premetteremo quindi una lista generale di quel che offriamo, ma daremo anche al lettore l'annuncio d'ogni portata che sarà servita in questo e nei volumi che seguiranno.
La vivanda di cui ci siamo provvisti è semplicemente la natura umana. E non temo certo che il lettore di buon senso, per quanto di gusto raffinato, rimanga stupito, perplesso od offeso per il fatto che accenno a un unico piatto. La tartaruga - come ben sa per esperienza il consigliere comunale di Bristol assai dotto in gastronomia - contiene, oltre ai
deliziosi calipash e calipee, molte altre parti commestibili; e similmente il dotto lettore non può ignorare che la natura umana, seppure definita con un unico nome generale, ha una varietà così prodigiosa che un cuoco avrà cucinato tutte le più diverse specie di cibi animali e vegetali del mondo prima che un autore abbia potuto esaurire un argomento così vasto.
Forse i più raffinati obietteranno che si tratta d'un piatto troppo comune e volgare; che altro troviamo infatti in tutti i racconti, romanzi, drammi e poesie di cui son piene le bancarelle? Ma molte squisite vivande sarebbero respinte dall'epicureo se bastasse, per condannarle come comuni e volgari, il fatto che si trovino con lo stesso nome nei vicoli più miserabili. In realtà trovar nei libri la vera natura non è meno difficile che trovare nelle botteghe il prosciutto di Bayonne o la mortadella di Bologna.
Ma, per continuare nella stessa metafora, quel che conta è il modo di cucinare usato dall'autore; poiché, come dice il signor Pope,


 

"Il vero spirito è la natura vestita nel modo migliore;
ciò che, pensato spesso, mai fu sì bene espresso."
Lo stesso animale, parte della cui carne ha l'onore d'esser gustata alla tavola d'un duca, può esser degradato in altre sue parti, e alcune sue membra si posson vedere appese ai ganci nella peggiore bottega della città. Che differenza c'è, dunque, tra il cibo del nobile e del facchino, quando entrambi si nutrono dello stesso bue o dello stesso vitello, se non nel condimento, nella cottura, nel modo di prepararlo e presentarlo? Ecco perché uno provoca ed eccita il più languido degli appetiti, mentre l'altro ripugna e respinge l'appetito più vivo.
Allo stesso modo, la bontà del divertimento mentale dipende meno dall'argomento che non dall'abilità dell'autore nel presentarlo. Il lettore dovrà quindi esser soddisfatto nel vedere come, nell'opera che segue, abbiamo strettamente aderito ai principi supremi del migliore dei cuochi prodotti dalla nostra epoca, o fors'anche da quella d'Eliogabalo. Questo grand'uomo, come è ben noto a tutti gli amanti del mangiar raffinato, incomincia col porre dinanzi agli ospiti affamati le cose più semplici, salendo poi gradatamente, a misura che il loro stomaco si riempie, alla quintessenza delle salse e delle spezie. Allo stesso modo, presenteremo dapprima al vivo appetito del nostro lettore la natura umana nel suo aspetto più comune e più semplice, quale si trova nelle campagne, e soltanto dopo passeremo a cucinarla e condirla con le piccanti spezie italiane e francesi dell'artificio e del vizio che ci offrono le corti e le città. Siamo certi così che il nostro lettore vorrà continuare a leggere per sempre, proprio come si dice che il personaggio
summenzionato riesca a suscitar negli ospiti il desiderio di continuare a mangiare.
Premesso questo, non vogliamo più trattenere quelli a cui piace la nostra lista, e passeremo senz'altro a servir la prima portata della nostra storia per loro divertimento.

1 commento:

carogiampi ha detto...

Mi è piaciuta un'affermazione della scrittrice Susanna Tamaro a proposito dello scrivere in generale. Lei ha affermato che lo scrivere è :"...un viaggio nel dolore".
Sono d'accordo
Carolla Giampiero

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