martedì 15 marzo 2011

Stupinigi – A ogni re la sua Versailles


Già, ancora Versailles. La stessa immagine di città che stinge nelle verdi campagne di sud – ovest. Lo stesso messaggio di regale magnificenza che trova tra dolci simmetrie di pioppi e boschi e prati a perdita d’occhio il suo ideale centro d’irradiazione. Però, arrivati al cospetto della Palazzina, le analogie si fermano qui.



A Versailles è l’assolutismo monarchico a celebrare i suoi fasti attraverso una concezione architettonica che fa della grandiosità la cifra stessa del proprio esprimersi.a Stupinigi, invece, ogni enfasi celebrativa, ogni marcata attestazione di sovranità si evolvono in una leggerezza musicale, come una cattedrale di suoni.
Anche perché, a differenza di Versailles, Stupinigi non è mai stata una reggia. Né tale doveva intenderla Vittorio Amedeo II quando commissionò il progetto. Semplicemente pensava a un padiglione di caccia, atto ad accogliere le reali altezze e i relativi ospiti in occasione delle loro partite. Un suo personale ghiribizzo, per compiacere, una volta tanto, le aspettative della corte e in particolare del figlio, il futuro Carlo Emanuele III, e della di lui moglie, la bella Polissena.


La Palazzina di Caccia di Stupinigi può essere definita come una delle espressioni più riuscite dell’arte barocca in tutta l’area europea, anche se il risultato finale rappresenta la manifestazione di uno stile unico, con caratteristiche che lo distinguono da alter costruzioni barocche. Tutti gli elementi architettonici, dalle sculture alle tele, fino alla progettazione del giardino, concorrono a creare un insieme armonioso.



A causa della costante minaccia francese, i Savoia, a partire dal XVII secolo, avevano fatto costruire una serie di castelli intorno a Torino, per ribadire la sovranità su Piemonte e Savoia e rafforzare il prestigio della casata.


Nel 1713, Vittorio Amadeo II fu incoronato Re di Sicilia, allargando quindi la sfera di egemonia dei Savoia e ampliando la loro residenza politica. Negli anni a seguire, il re incaricò l’architetto siciliano Filippo Juvarra di trasformare i castelli intorno a Torino in vere e proprie residenze e, nel 1729, di costruire una palazzina di caccia che fosse degna di un monarca.



Juvarra, che aveva già lavorato a Roma, Lisbona e Madrid, era l’unico architetto all’epoca che potesse sperare di accontentare il sovrano in un’impresa così difficile: oltre a vantare una lunga esperienza, conosceva bene i gusti di Vittorio Amadeo II, sapeva avvalersi di bravi artigiani e, se necessario, poteva contare sulla collaborazione di grandi artisti.


L’edificazione, secondo i primitivi intendimenti, avrebbe dovuto terminare in brevissimo tempo. Ma l’abdicazione di Vittorio Amedeo, la partenza di Juvarra per Madrid (da cui non avrebbe fatto più ritorno), e il subentrare di nuovi architetti, protrassero per decenni la gestazione della Palazzina. Su richiesta dei nuovi committenti (Carlo Emanuele, ormai sovrano) si produssero vistose aggiunte, come la costruzione dei padiglioni laterali e di un corpo di scuderie, fino al coronamento di superbe balaustre.



Inoltrarsi oggi nella Palazzina di Caccia di Stupinigi è come dare corpo a un sogno che dal Settecento allunga fino a noi le sue malie. Si entra, ci si aggira per tutto un ramificarsi di sale, salette e semplici gabinetti, corredati di nomi aulici ed evocativi, come sala delle Prospettive, saletta Cinese, sala degli Scudieri, gabinetto di Paolina Borghese…


Poi, giunti nel salone che occupa il corpo centrale, è come se tutti i motivi che ci hanno fin qui sospinti vi trovassero il loro massimo punto d’incandescenza. Fasto e raffinatezza. Malinconia e tripudio. Senso dell’effimero e anelito all’immortalità. E, su tutto, una grande onda di luce: la stessa che di sera spiove dall’immenso lampadario pendente nel mezzo. O che, di giorno, dilaga dalle contrapposte aperture sul parco e sul cortile d’onore.


Allora balza evidente che quell’Arcadia che si faceva coincidere con le dolci atmosfere agresti, con la vita idillica che esse propiziavano, è anche attecchita dentro, plasmata tra i muri, impreziosita da tanti artefici. Non solo nelle scene di maniera disseminate per soffitti e sovrapporte, ma soprattutto nelle sottili trame delle decorazioni come negli intrecci di ghirlande e amorini, nel profluvio di frastagli e tralci e volute come nelle miti sfumature del glicine e del lilla, è la natura stessa a levare il suo inno, mirando a quell’altra che preme di là dai vetri, in una reciproca gara di vitalità, in un alterno scambio di umori.


3 commenti:

Il Mondo Capovolto ha detto...

Che sfarzo!Vorrei visitare questi posti ^.^

Federica ha detto...

Bellissima! L'ho visitata più di una volta ed è meravigliosa, come tutti gli altri castelli e residenze di Torino e dintorni.
n.n.: sei già stata a Torino? Io la amo e per me è bellissima, poi la conosco molto bene, visto che ci abita la mia nonnina, zii e cugine!
Ho tanti ricordi di quando ero piccolina...
Va bè, tanti bacioni
Federica

Silvia O. ha detto...

Una palazzina di caccia, sì, ma bella e ricca proprio come una reggia. Ecco un altro luogo del nostro Bel Paese dove vorrei (dovrei) proprio andare di persona...

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