martedì 24 maggio 2011

La Sainte Chapelle (1241/42 – 1248) a Parigi


ESTERNO – Luigi IX di Francia, divenuto poi santo, riesce a portare a Parigi alcune reliquie provenienti da Terra Santa, pagandole a caro prezzo all’imperatore bizantino Baldovino II. Tra di esse spiccano la corona di spine di Cristo e un frammento della Vera Croce. Nel 1239, quando arrivano a Parigi, le reliquie vengono custodite nella cappella di San Nicola all’interno del palazzo, ma il sovrano pensa già alla realizzazione di un grandioso contenitore per questi preziosi reperti che fanno della Francia il primo dei regni cristiani. Nel 1241, solo due anni dopo, si apre il cantiere della Sainte – Chapelle, situata sull’Ile – de – la Cité.


Il nome certo dell’architetto non è conosciuto, anche se gli storici hanno pensato a Pierre de Montreuil, ideatore e direttore dell’abside di Saint – Denis e della facciata di Notre – Dame. I lavori, incredibilmente celeri, si conclusero il 25. aprile 1248 e il giorno successivo la capella venne inaugurata.


INTERNO – Il piano superiore, al quale si accede direttamente dal palazzo, è la cappella palatina, al cui interno venivano conservate le reliquie. Tale ambiente rappresenta uno dei capolavori del gotico fiammeggiante. In questo caso la copertura a volte rispecchia la leggerezza tipica delle costruzioni gotiche francesi, con i pilastri snelli e le vetrate che sostituiscono completamente i muri di raccordo con le volte: il soffitto sembra sospeso su un mare di luce colorata. A marcare lo spazio tra le varie colonne stanno le statue dei dodici apostoli.
Le reliquie erano sontuosamente esposte, per il sovrano e la sua famiglia, sulla tribuna aperta dell’abside in occasione delle funzioni del Venerdi Santo.


La cappella è pensata come un grande e prezioso reliquario; infatti, simulano un’opera di oreficeria, l’architetto progetta un edificio che nasconde i suoi elementi strutturali ed esalti la preziosità delle decorazioni: l’esterno bianco traforato, l’interno con le pareti dorate e i colori intensi e brillanti delle vetrate che sembrano incastri di rubini, zaffiri, smeraldi e diamanti. Oggi questo effetto è smorzato a causa della sostituzione del rosone della parte occidentale avvenuta alla fine del Quattrocento.
La cappella superiore deve la sua fama allo splendore delle vetrate sulle quali sono raffigurate le storie bibliche dalla creazione alla redenzione, e le vicende delle reliquie lì conservate.


Il piano inferiore, dedicato alla Vergine Maria, una statua della quale campeggia vicino al pilastro centrale del portale, ha il soffitto a volte piuttosto basse rette da esili colonne con capitelli fioriti e dipinto in azzurro con luminose stelle dorate. Sul pavimento si trovano le lastre tombali dei tesorieri e prelati della Sainte – Chapelle. La sua funzione era quella di chiesa parrocchiale frequentata dai servitori del palazzo reale.

mercoledì 11 maggio 2011

Longleat House – Il prototipo della dimora storica aperta al pubblico


Le dolci colline del Wiltshire, nel sud dell’Inghilterra, sono ricche di boschi e verdi prati. Al centro di questa placida regione agricola sorge Longleat, un perfetto esempio di Rinascimento elisabettiano e, allo stesso tempo, un vero prototipo di dimora storica aperta al pubblico.


Longleat fu costruito dove sorgeva un antico monastero agostano acquistato da Sir John Thynne nel 1540 per 53 sterline, dopo lo scioglimento della comunità monastica.


Egli diede incarico a Robert Smythson, il miglior architetto dell’epoca, di erigere un palazzo che fosse all’altezza del suo status.


L’edificio fu realizzato, tra il 1572 e il 1580, in mattoni, l’elemento costruttivo più popolare all’epoca per svariate ragioni: era facilmente reperibile e, grazie alle dimensioni contenute, si prestava anche a disposizioni di gusto ornamentale. Smythson fu chiaramente ispirato da esempi rinascimentali dell’Italia settentrionale nel dar vita a una struttura compatta ma magnificamente equilibrata nelle sue proporzioni.


L’edificio a tre piani ha una pianta rettangolare, con due corti interne. Dall’esterno il piano intermedio appare immediatamente come il principale, grazie alle sue ampie finestre. La facciata rigorosamente simmetrica era relativamente nuova per quel periodo. I lati corti del quadrilatero sono decorati da campate sporgenti al centro (con due porte) e alle estremità.


Per contro, i lati lunghi, sono caratterizzati da doppie campate sporgenti al centro e alle estremità. Questi elementi in rilievo sono ampi quanto due finestre. L’ampia entrata, al centro, è caratterizzata da un vasto portico, con un’elegante scalinata.


L’ingresso è fiancheggiato da colonne e sormontato da un timpano triangolare. I cornicioni, che si rincorrono lungo l’intera facciata, fungono da collegamento tra la stessa e le campate in rilievo. L’enfasi di questi elementi orizzontali sembrano collegare l’edificio alla terra, ancorandovelo saldamente.


Le alte finestre, con i loro montanti e le loro lesene presenti nelle campate in rilievo, contrastano con l’elemento orizzontale. Seguendo il modello italiano, le lesene che inframezzano le finestre sono doriche al piano terra, quindi ioniche e poi corinzie.


Il tetto riflette questa contrapposizione fra linee orizzontali e verticali, combinandole tra loro. Tutt’intorno corre una balaustra, riproducendo l’effetto dei cornicioni marcapiano, mentre sculture e alti camini creano l’ideale collegamento con il cielo.


Mentre l’aspetto esterno di Longleat è rimasto sostanzialmente uguale nei secoli, l’interno ha subito molte alterazioni – come spesso accade ad antiche dimore – per soddisfare i gusti delle diverse generazioni e gli standard del comfort, variabile col tempo.



Della struttura elisabettiana sopravvive solo la grande sala con il soffitto a capriate. Il resto subì modificazioni e nuovi interventi decorativi, in modo particolare, nel XIX secolo. Nei locali aperti al pubblico i visitatori possono ammirare meravigliosi soffitti a cassettoni e dipinti di grandi artisti quali Tintoretto e Ruisdael.


Gusto rinascimentale rivelano anche gli interni, risistemati nel 1870 e arricchiti da importanti oggetti d’arte, a cominciare dai quadri a tema venatorio di John Wootton (1740 circa) in mostra nella Great Hall e dai cinquecenteschi arazzi di Bruxelles esposti nel Lower East Corridor, dove si possono altresì ammirare preziose ceramiche cinesi.


Sotto il soffitto dorato della Red Library sono conservati circa 5000 dei 40 000 volumi che compongono la biblioteca del maniero, facendone una tra le più ricche raccolte private dei libri in Europa.



La visita del palazzo prosegue attraverso la Lower Dining Room e la State Dininig Room, adorne di argenteria ottocentesca e dipinti dei secoli XVII – XIX, mentre il Saloon tradisce la passione del quarto marchese di Bath per Venezia, con monumentale camino copiato da Palazzo Ducale e una tela di Pietro Longhi, cui si affiancano, sopra i mobili in stile Luigi XVI, arazzi francesi e fiamminghi (XVI secolo).


Sfarzo ancora maggiore regala la State Drawing Room, che conserva, oltre ai soffitti con storie di Circe, una Madonna col Bambino e Santi di Tiziano.


Alexander Thynne, settimo marchese di Bath, discendente diretto di quel Sir John Thynne che fece edificare il palazzo e attuale proprietario del castello, ha voluto decorare gli appartamenti privati secondo il proprio gusto personale. Eccentrico e individualista, è l’autore della propria autobiografia in molti volumi nonché pittore prolifico. Keyhole glimpses into my psyche (Occhiate dal buco della serratura nella mia psiche) è il titolo di una serie di variopinti, burleschi affreschi, che decorano la sala da pranzo e la camera dei bambini.


Al marchese si devono poi le decorazioni della camera dei ospiti, chiamata Kama Sutra Room, con scene tratte dal celebre libro, e una collezione di ritratti delle sue amanti (che ama definire come wifelets), in ordine cronologico.


Alexander Thynne ha un’indole decisamente anticonformista, che si riflette nell’amministrazione dei possedimenti di famiglia. La gente che visita Longleat, oltre che dagli aspetti architettonici, rimane impressionata dalla presenza di animali esotici, quali leoni, elefanti, zebre, giraffe – che vagano liberi nel parco – e dall’attrazione principale: le tigri.


 Longleat ospita il più vecchio parco safari di Gran Bretagna, inaugurato dal precedente marchese nel 1966 (il Times condannò duramente l’iniziativa e mise in guardia l’opinione pubblica). I figli, amanti dell’avventura quanto il padre, hanno addirittura aumentato le attrazioni per i turisti.


Non mancano poi numerosi labirinti, compreso il più grande al mondo; da alcuni di questi è davvero molto difficile uscire, tanto che Longleat ha ispirato il famoso detto inglese Go to Longleat to get lost (Vai a Longleat per perderti).


Quando il sesto marchese di Bath ereditò Longleat, dovette farsi carico di un debito di svariati milioni di sterline. Dal momento che non era sua intenzione vendere, decise di aprire il castello alle visite dei turisti nel 1948, imponendo però il pagamento di un biglietto d’ingresso. Longleat è stata così la prima dimora storica di campagna ad aprire le porte al pubblico. Oggi sono più di 700 gli edifici che hanno seguito il suo esempio.


martedì 10 maggio 2011

Kensington Palace


Guglielmo III, Maria Stuarda, Giorgio II, la regina Vittoria, la principessa Margaret, I principi Carlo e Diana non sono che alcuni dei celebri nomi legati a Kensington Palace. Residenza dei sovrani inglesi per brevi periodi, divenne successivamente la dimora di altri membri della famiglia reale.


Kensington Palace fu costruito dopo la Gloriosa Rivoluzione, quando Guglielmo III d’Orange e sua moglie Maria Stuarda salirono al potere. Poiché la copia reale non amava particolarmente il palazzo medievale di Whitehall, fece ampliare e ristrutturare altre dimore come Hampton Court Palace e Kensington Palace.


 Il re acquistò Nottingham House a Kensington, e chiese all’architetto reale Christopher Wren di farne una residenza consona al suo status regale.


Wren aggiunse alla solida villa signorile stalle e uffici per i domestici, oltre a una cappella e a molteplici appartamenti privati. La nuova facciata, con un corpo centrale in rilievo e lesene, creava una notevole suggestione ed enfatizzava la dimensione verticale.


Oggi, tuttavia, l’insieme appare quasi dimesso e anche il tetto balaustrato, con le sue urne decorative, non riesce a nascondere del tutto il fatto che Kensington Palace, in origine, non era che una villa signorile. Forse, proprio questo aspetto misurato, così lontano dai clamori della corte e del governo, fu l’elemento apprezzato dalla coppia reale.



Giorgio IV volle invece una residenza più sontuosa. Negli anni ’20 del XIX secolo, chiese a William Kent e Colin Campbell, entrambi campioni dello stile palladiano, di modificare e ampliare il complesso esistente. Questi aggiunsero molte stanze e fecero in modo che gli edifici fossero raggruppati intorno a tre corti interne. Proprio Giorgio IV fu l’ultimo sovrano ad abitare Kensington Palace, che da allora venne abitato da altri membri della famiglia reale.



Tradizionalmente, l’ala ovest è la residenza del successore al trono, il principe di Galles, e della sua famiglia. Questa consuetudine è venuta meno alla fine del XX secolo, con la separazione di Carlo e Diana nel 1992. da allora Carlo vive a Lancester House. Oggi, solo la principessa Margaret continua a risiedere a Kensington Palace.



Gli Appartamenti di Stato, all’ultimo piano, sono di particolare interesse perché furono progettati in stili diversi da famosi architetti inglesi, inclusi Christopher Wren, William  Kent e Nicholas Hawksmoor, autore, tra l’altro, dell’orangerie, del 1704, situata nella parte nord del palazzo. Mentre le stanze di Wren sono più imponenti e formali, con scure boiserie delle pareti, quelle realizzate da Kent risultano più sontuose e lussuose.



William Kent aveva trascorso molto tempo a Roma, dove aveva subito l’influenza dell’architettura tardo-barocca. Fu uno dei più versatili architetti inglesi e lo dimostrò proprio con Kensington Palace: mentre progettava lo Scalone Reale in stile veneziano, con affreschi trompe l’oeil alle pareti, decorava la Sala della Cupola in stile neoclassico, con uno splendido soffitto a cassettoni, ampie lesene, statue ospitate in nicchie nelle pareti e un caminetto fiancheggiato da doppie colonne, anticipando in tal modo lo stile architettonico del XVIII secolo.


Lo Scalone della Regina, opera di Wren, è decorato da magnifiche lavorazioni in ferro battuto di Tijou e conduce alla Galleria della Regina, dove la boiserie in rovere e i rilievi scultorei di Grinling Gibbons sono in perfetto complemento dei ritratti reali.


Wren decorò la Galleria del Re con carta da parati verde scuro e un soffitto ligneo dipinto. Per ordine di Guglielmo III, venne poi inserito un grande anemografo, che ancora oggi indica in quale direzione il vento spira.


Il tempo sembra essersi fermato negli appartamenti della regina, che sono ancora arredati come se fossero abitati. Anche le bambole e i giocatoli della regina Vittoria, che è nata e cresciuta qui, sono ancora al loro posto.


Al piano terra si trova un’esposizione di abiti da cerimonia, tra cui si annoverano capi addirittura del 1750. Non manca, tra l’altro, il vestito da sposa della principessa Diana.



I giardini di Kensington si trovano a est rispetto al palazzo e originariamente erano di proprietà della famiglia reale. La regina Carolina, moglie di Giorgio II, è l’artefice dell’aspetto attuale del parco, con le sue numerose piante ornamentali nei pressi dell’edificio.



Oggi i giardini di Kensington sono uniti all’Hyde Park, con il quale rappresentano il più ampio polmone verde di tutta Londra. Al limite meridionale dei giardini del palazzo, la regina Vittoria, in memoria del principe consorte Alberto, fece erigere l’Albert Memorial.


L’ALBERT MEMORIAL – Situato all’estremità sud di Hyde Park di fronte a Kensington Gore, questo monumento è dedicato ad principe Alberto di Sassonia Coburgo, marito di Vittoria (morì di febbre tifoidea nel 1861, quando non aveva che 42 anni). È pacchiano quanto il principe fu umile (o per lo meno così si dice che fosse. Alberto dichiarò di non desiderare un monumento alla propria memoria, poiché “se (cosa assai probabile) sarà un obbrobrio come la maggior parte di quelli esistenti, mi rattrista pensare che la mia effigie sarà per sempre coperta di ridicolo”. Il desiderio del principe non fu evidentemente preso sul serio, e nel 1872 George Gilbert Scott ricevette l’incarico di costruire questo fastoso monumento in stile gotico. La statua bronzea, che lo ricorda, lo rappresenta mentre regge il catalogo della Grande Esposizione del 1851, da lui fortemente voluta. Essa poggia su un plinto al di sotto di un baldacchino riccamente decorato e alto 60 metri. Il piedistallo è adorno di statue (ben 178) che rappresentano celebri artisti.

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