domenica 20 marzo 2011

Il Faro di Alessandria


Il Faro
Il Faro di Alessandria, sulla costa nordoccidentale del delta del Nilo, fu il monumento più recente venuto a completare l’elenco canonico delle Sette Meraviglie del Mondo Antico. Si chiamò così dall’isola di fronte al porto di Alessandria sulla quale fu costruito, e in seguito divenne un termine generico per indicare tutti i fari costruiti nel mondo.
L’isola di Pharos è un’emersione di pietra calcarea: una buona base in mezzo alle sabbie e alle paludi alluvionali formate dal Nilo. Fu Omero nell’Odissea a menzionare Pharos come un’isola, e la situò a un giorno di vela dall’Egitto, concetto ribadito più tardi da Plinio. Le fonti di Omero erano ovviamente piuttosto incerte. La leggenda narrava la storia della bella Elena giunta in Egitto con Paride, ma quell’isola in cui non c’era nulla da vedere e i cui unici abitanti erano le foche l’annoiò. Dieci anni dopo vi tornò, accompagnata questa volta dal suo sposo Menelao, che stava rientrando in patria da Troia e che, spinto fuori rotta da una tempesta, era approdato su quella terra. Menelao – narra la leggenda – incontrò un vecchio e gli chiese: «Che isola è questa?» Il vecchio rispose che l’isola era del Faraone. Menelao, che non aveva inteso bene, domandò di nuovo: «Faro?» Al che il vegliardo rispose affermativamente, ripetendo la parola «Faraone» con l’antica pronuncia egiziana, che la trasformò in «Prouti». Menelao interpretò malamente la risposta: questa volta capì «Proteo», nome che sapeva essere quello della divinità marina a cui Poseidone aveva concesso il dono della profezia. Così la pronuncia poco chiara di un vecchio e il qui pro quo di Menealo fecero conoscere al mondo l’isola sotto il nome di Pharos, terra protetta dal nume Proteo. Per di più, tornato in Grecia, Menelao aggiunse qualche ricamo alla storia, tanto che le foche, disprezzate da Elena, si mutarono in ninfe che affollavano le spiagge.




Nel 332 a. C. Alessandro Magno, re di Macedonia, «liberò» l’Egitto dai dominatori persiani, essi stessi succeduti nel 343 a. C. all’ultimo dei faraoni, Nectanebo II della Terza Dinastia. Alessandro rimase in Egitto solo qualche mese, prima di riprendere il suo incalzante attacco al Grande Re persiano, Dario. Ma lasciò in Egitto un’impronta che si rifletté su tutta la civiltà occidentale. Quando Alessandro toccò l’Egitto, l’isola di Faro era conosciuta solamente come dimora del nume marino Proteo. Era situata un poco al largo, davanti alla foce ovest del delta, e vi sorgeva un unico villaggio di pescatori, chiamato Rachotis, su una stretta lingua di terra fra il mare e un ampio lago interno, Mareotide. Nell’autunno del 332 Alessandro mosse da Menfi, l’antica capitale dell’Egitto (oggi poco più a sud del Cairo), lungo il braccio occidentale del Nilo in direzione di Canopo, un porto sul grande fiume in attività da molto tempo, e quindi verso l’oasi di Siwa, nella parte occidentale del deserto, passando da Rachotis. L’occhio infallibile di Alessandro si rese immediatamente conto dell’importanza potenziale di quel misero borgo in quella particolare collocazione, e comandò che su quell’area si fondasse una nuova città, Alessandria. Fu la prima delle numerose città che avrebbero portato il suo nome, ma rimase sempre la più potente di tutte. Procedette poi per la sua destinazione, l’oasi di Siwa, dove sorgeva il grande oracolo di Ammone. Qui, si narra, Alessandro fu protagonista di un’esperienza per lui determinante quando, all’interno del santuario, il sacerdote officiante lo salutò come figlio del dio. Plutarco racconta che il sacerdote fece del suo meglio per rivolgersi ad Alessandro in greco con le parole «O páidion», «O figlio mio», ma il conquistatore comprese «O pài Diós», e cioè «O figlio di Zeus»; il che lasciò ad Alessandro un’impressione indelebile: da allora egli si considera figlio di Zeus-Amon, e vide nella sua guerra contro la Persia una sorta di crociata, di guerra santa. Gli Egiziani accettarono Alessandro come faraone e non sollevarono alcuna obiezione al fatto che egli fosse figlio di un dio, dato che ciò rientrava nell’antico concetto egizio per cui il sangue reale era frutto del concepimento di una divinità. Su certe monete coniate dopo la sua morte, Alessandro è rappresentato con corna di ariete sopra il serto reale macedone: le corna di ariete simboleggiavano Zeus-Amon, a cui questo animale era particolarmente sacro.
La nuova città fondata da Alessandro fu disegnata dall’architetto Dinocrate di Rodi in base agli ultimi schemi di pianta a reticolo, concepita un secolo prima da Ippodamo di Mileto, «inventore» della rete stradale. Il profilo di pietra calcarea che affiorava al largo, e costituiva l’isola di Faro, unitamente alle rocce all’estremità occidentale, avevano offerto un porto fin da epoca preistorica. Un porto che Omero evidentemente conobbe e descrisse nell’Odissea:
... Vi è un’isola nel mare molto ondoso davanti all’Egitto, la chiamano Faro. [...]
In essa vi è un porto, con ottimi approdi, donde spingono [in mare
le navi librate, dopo che hanno attinto acqua scura. (Omero, Odissea IV 354 sg., 358 sg).
Strabone ci dice che:
“Faro è un’isola oblunga, vicinissima alla terraferma, e con essa costituisce un porto con due imboccature, giacché la costa del continente forma un’insenatura, spingendo al largo due promontori, e l’isola è situata nel mezzo e chiude la baia con la sua disposizione parallela alla riva. [...] La punta dell’isola è rocciosa e battuta dal mare tutt’intorno. Porta una torre mirabilmente costruita in marmo bianco, a molti piani e col medesimo nome dell’isola”.



Lo scrittore prosegue nella descrizione di una costa priva di porti e bassa su entrambi i lati con secche e scogliere, sicché i navigatori, arrivando dal mare aperto, necessitavano di un segnale ben evidente che li guidasse sicuri in porto. L’isola era abitata: c’era una popolazione indigena abbastanza fitta e alcune tombe di epoca tolemaica (305-30 a. C.). Strabone continua ancora annotando che ai suoi tempi l’isola era stata distrutta da Giulio Cesare, poiché la popolazione gli aveva resistito, nel suo assalto ad Alessandria, e naturalmente aveva preferito schierarsi insieme ai propri connazionali e alla regina Cleopatra VII.
Costruito un molo tra l’isola di Faro e la terraferma, venivano a formarsi due porti riparati, l’occidentale e l’orientale, uno dei quali, a seconda della direzione del vento, sarebbe stato sempre disponibile per lo sbarco e l’imbarco. E dietro questi porti la città crebbe su ambo i lati della larga via di Canopo, che congiungeva direttamente la parte orientale con l’occidentale. Cinque quartieri la ripartivano, ciascuno denominato con le prime cinque lettere dell’alfabeto greco. Strabone offre una descrizione particolareggiata della città sottolineandone il vantaggio di avere davanti a sé il mare e dietro il lago Mareotide, collegato con i canali derivati dal Nilo, fiorente deposito di merci, all’inizio persino più ricco del suo omologo sulla costa; ed elencandone gli edi-fici, tra cui il Museo, i palazzi e le tombe reali, e infine il Faro.
La città ha forma di un mantello militare; i due lati lunghi sono quelli bagnati dalle due acque [del mare e del lago interno]; il diametro è di circa 30 stadi [c. 5400 metri] [...]. L’intera città è intersecata da strade praticabili sia da chi monta a cavallo sia da chi guida i cocchi [...], ha aree pubbliche bellissime, e bellissimi sono i palazzi reali che costituiscono un quarto, se non addirittura un terzo dell’intero perimetro [...]. Ma questi luoghi sono tutti comunicanti fra loro e col porto, persino quelli che sono al di fuori del porto stesso. Anche il Museo fa parte dei quartieri reali [...], e pure nell’ambito di questi ultimi si trova il cosiddetto Sema. Era questa l’area recintata che ospitava le tombe del re e quella di Alessandro; poiché Tolomeo figlio di Lago riuscì a sottrarre a Perdicca il cadavere del sovrano mentre lo stava trasportando da Babilonia [...] Al corpo di Alessandro, rapito da Tolomeo, fu data sepoltura in Alessandria, dove giace tuttora – seppure non nello stesso sarcofago di un tempo, giacché l’attuale è di vetro [forse di alabastro? Cfr. il molto piú antico sarcofago di Seti I, 1318-1304 a. C., fatto di alabastro sottile, graffito e trasparente], mentre quello che conteneva le spoglie di Tolomeo era d’oro [...]. Entrando nel grande porto a destra, ecco l’isola e la torre di Faro.” (Strabone, Geografia XVII 1.7-10).


Altri grandi edifici di quest’epoca (verso il 20 a. C.) includevano il Caesarium (Cesareo), l’Emporio, l’Eptastadio, il Ginnasio, l’Ippodromo e il famoso Serapeum, tempio dedicato al culto del dio greco-romano Serapide. Di solito Serapide è rappresentato con un moggio in capo: il moggio è una piccola misura per il grano, ed un suo attributo speciale, giacché Serapide era il dio dell’approvvigionamento di grano, e l’Egitto era diventato il granaio di Roma.
Il Museo, o tempio delle Muse, era essenzialmente un’istituzione monastica, dove fioriva la cultura e dove apprezzati eruditi godevano del privilegio di non pagare tasse ricevendo nello stesso tempo alloggio e vitto gratuiti. L’altra grande istituzione alessandrina era la Biblioteca, una delle più famose del mondo antico: l’altra era a Pergamo, in Asia Minore. Da ultimo vi si conservavano circa cinquecentomila rotoli (essendo i libri di allora scritti su rotoli di papiro o di pergamena: il papiro del resto era in Egitto il materiale più comune a questo scopo, e inoltre costituiva una buona fonte di reddito per il paese). La Biblioteca arse per un fortuito incidente, quando Giulio Cesare conquistò Alessandria; e una seconda volta nel 391 d. C. fu incendiata ad opera di cristiani giubilanti. Queste due istituzioni alessandrine, il Museo e la Biblioteca, rappresentarono un metaforico segnale luminoso nell’antico mondo della cultura. Il segnale luminoso in senso proprio doveva venir fornito dal Faro, destinato a dare il nome all’edificio e al suo impiego specifico, ossia far luce, in molti idiomi.
Descrizioni del Faro ricorrono negli scritti di vari autori classici all’inizio dell’era cristiana, soprattutto in Diodoro Siculo (attivo fra il 60 e il 30 a. C.), in Strabone (64 a. C. - 21 d. C.) e in Plinio il Vecchio.
Ancor oggi si discute sulla data esatta della costruzione del Faro e sul suo autore. A quanto pare, l’edificio sarebbe stato iniziato sotto Tolomeo I Soter (305-282 a. C.), amico d’infanzia di Alessandro Magno e famoso generale, il quale, dopo la morte di Alessandro a Babilonia nel 323 a. C., s’impossessò dell’Egitto. Tolomeo si «accaparrò» anche la salma di Alessandro, mentre veniva lentamente trasportata alla volta del cimitero reale di Vergina, in Macedonia, dove recentemente è venuta alla luce la tomba di suo padre Filippo II. Quando la salma sostò a Menfi, antica capitale dell’Egitto, Tolomeo compì un vero e proprio sequestro di cadavere, e trafugò la spoglia ad Alessandria, dove intendeva tumularla in un grandioso mausoleo nel Sema, il recinto delle tombe reali. Nonostante le numerose ricerche, il corpo di Alessandro non fu mai ritrovato. Molto probabilmente esso giace ormai in fondo al mare, poiché dai tempi antichi ad oggi la costa alessandrina si è molto abbassata. Certo il possesso di quelle spoglie sarebbe stato un fortissimo punto di richiamo per una città di mercanti e di eruditi. L’importanza sempre crescente di Alessandria richiedeva anche che i due porti – un altro dei suoi grandi vantaggi – fossero convenientemente segnalati, dato che la costa è in quella zona notevolmente piatta, di scarso interesse e con pochi punti di riferimento che possano guidare i naviganti a un attracco sicuro.
La costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a. C., sebbene in epoca più tarda il cronista Eusebio, vescovo di Cesarea (263-339 d. C.), che era stato prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca la costruzione del Faro nell’anno 283 o 282 a. C. Ciò che appare certo è che non fu edificato da Tolomeo, come più volte suggerito. Al Faro si collega invece il nome di Sostrato o in qualità di architetto o di finanziatore. Sostrato fu un ricco cortigiano alessandrino, che rivestì anche cariche diplomatiche. Strabone annota (Geografia XVII 1.6) che la dedica effettivamente scritta sul Faro diceva: «Sostrato di Cnido, amico dei sovrani, ha dedicato questo edificio, per la sicurezza dei naviganti». Luciano (115–80 d. C.) dà questa versione: «Sostrato figlio di Dexifane, Cnidio, ha dedicato questo edificio agli dèi salvatori, a vantaggio di coloro che navigano i mari». Gli «dèi salvatori» potevano essere o un riferimento a Tolomeo I Soter (che significa Salvatore) e a sua moglie Berenice, che appaiono entrambi con l’appellativo di dèi sulle monete d’oro da otto dracme, coniate da Tolomeo II. D’altronde anche i Dioscuri, i divini gemelli Castore e Polluce, che divennero numi protettori della navigazione e avevano il preciso compito di salvare i naviganti, sono frequentemente citati con questo appellativo, anche se la loro presenza appare assai improbabile in un contesto egiziano. Posidippo, autore di un epigramma per l’edificazione o il completamento del Faro (e che è perciò il più affidabile di tutti gli autori coevi) invoca Proteo, nume marino, nato nella stessa isola, e accenna a Zeus Soter, Zeus Salvatore, come traguardo del marinaio. Perché in effetti era Zeus Soter che, in cima al Faro, serviva da segnale su quella lunga linea costiera bassa e indistinta. La statua di Zeus Soter appariva eretta sulla cima del Faro sin dall’inizio, e a lui il Faro fu dedicato. Lo storico arabo al-Mas‘udi, nel X secolo d. C., afferma che la scritta era inserita a caratteri di piombo alti un cubito (il cubito corrisponde a mezzo metro). Situata sul lato del Faro volto a ponente, l’iscrizione poteva facilmente essere scorta da chiunque entrasse o uscisse dal porto.



Ma torniamo al problema di chi fu il costruttore del Faro. C’è uno specifico riferimento di Plinio il Vecchio (Naturalis historia XXXVI 83) alla «magnanimità» di cui diede prova in questa occasione il Re Tolomeo, concedendo all’architetto Sostrato di Cnido di «incidere il suo nome sull’edificio stesso». Un Sostrato è noto come inviato di Tolomeo II Filadelfo a Delo negli anni 270 a. C., ed è lecito presumere che questo Sostrato e l’altro, il cui nome è legato al Faro, siano un’unica persona; si tratta infatti di un ricco uomo di corte e diplomatico. Probabilmente la costruzione del Faro fu iniziata durante il regno di Tolomeo I Soter (305-282 a. C.), e completato sotto Tolomeo II Filadelfo (284-246 a.C.). A quanto pare, un certo Sostrato di Cnido, ricco cortigiano e diplomatico (o forse mercante), ne aveva pagato le spese e lo aveva consacrato; infine, il nome dell’architetto resta per noi sconosciuto.
Prendiamo ora in esame la costruzione in se stessa. Si tratta certamente di uno dei più antichi edifici di Alessandria di cui si abbia conoscenza; e certamente ne era in corso la costruzione al tempo in cui si edificava il mausoleo, il Sema, approntato per ricevere le spoglie di Alessandro Magno. Poiché il Faro era la prima costruzione ad avere un disegno architettonico orientato e specifico per una lanterna marittima, è ovvio che servisse da modello, diretto o indiretto, per altri fari in tutto il mondo greco-romano, come ci viene testimoniato da raffigurazioni pervenute attraverso mosaici e, principalmente, attraverso i rilievi dei sarcofagi. Ma quel che in realtà conosciamo del Faro, la sua specifica immagine fisica derivata sia da fonti scritte sia in base a discutibili illustrazioni, è davvero poco.
Tramandandosi nel tempo, le leggende sul Faro aumentarono di fascino. Secondo Epifanio era alto 559,6 metri! Giuseppe Flavio nella Storia giudaica afferma che se ne scorgeva la luce dal mare a 300 stadi di distanza, ossia a circa 55 chilometri; mentre Luciano di Samosata (115 d. C. - 180 circa) arriva a parlare di 300 miglia. Senza riguardo per la visibilità a distanza, sono tutti concordi nell’affermare che a fornire la luce era un gigantesco fuoco alla base, riflesso da specchi posti in cima alla struttura. Plinio annota che ai suoi tempi (metà del I secolo d. C.) altri fuochi erano accesi analogamente in molte località, per esempio a Ostia e Ravenna. Il faro di Ostia è raffigurato nel famoso bassorilievo del porto ostiense conservato al Museo Torlonia di Roma: alte fiamme spuntano dalla cima dell’edificio. La stessa figura ci è fornita da un medaglione bimetallico dell’imperatore Commodo (177-92 d. C): l’imperatore, ritto in piedi, accoglie l’annuale flotta di grano nel porto di Ostia, davanti a un faro a tre alti piani. Che egli saluti la flotta di grano egiziano è cosa certa, poiché al timone della grande galea di sinistra si scorge chiaramente il dio greco-egizio Giove-Serapide col moggio di grano sul capo. Come molti altri fari di epoca più tarda, quello di Ostia ripeteva nella sua struttura generica il prototipo alessandrino ancora in piedi e in funzione. Plinio continua dicendo che «il pericolo del sistema sta nella possibilità che,  bruciando in continuazione, questi fuochi vengano scambiati per stelle, perché da lontano l’aspetto delle fiamme è simile». Ciò vale ancora per i fari moderni, scorti sul remoto orizzonte.
Un altro punto interessante riguarda unicamente l’aspetto logistico dell’operazione; né – a quanto risulta – è stato considerato finora: e cioè, per tenere acceso un fuoco perenne si sarebbe resa necessaria una quantità enorme di combustibile, legno o carbone che fosse; e l’Egitto non è un paese particolarmente noto per la sua ricchezza di legname. In realtà, la legna era molto scarsa nell’antico Egitto (e lo è tuttora nell’Egitto moderno). Gli alberi indigeni erano allora soltanto l’acacia e il tamarisco, più cespugli che alberi. Una possibile soluzione avrebbe potuto presentarla lo sterco animale, ancor oggi ampiamente utilizzato nelle abitazioni dei nativi, ma, una volta di più, la semplice quantità necessaria presenta dei problemi. È da presumere che l’intensità della luce fosse prodotta più dal riverbero che dal fuoco stesso. Per riflettere le fiamme si saranno usate certamente lamine di metallo lucente, probabilmente di bronzo brunito, come nella maggior parte degli specchi dell’antichità. Durante il giorno si poteva ottenere un riverbero molto più forte valendosi dei raggi solari. È noto che nel primo Medioevo il Faro trasmetteva alla città di Alessandria messaggi eliografici dalle navi in arrivo. E poiché nei tempi antichi si evitava di navigare di notte, il bisogno di luce durante l’oscurità era meno importante di una segnalazione che, di giorno, indicasse la rotta verso il porto di Alessandria.
Quanto all’aspetto esterno dell’edificio, si ritiene comunemente che la struttura fosse su tre piani, per un’altezza complessiva di 100 metri: 60 metri il primo piano, 30 il secondo, e altri 15 metri fino alla punta del tridente (o dello scettro) di Zeus Soter, che coronava il terzo piano. Tanto le antiche che le più tarde fonti islamiche concordano tutte per quel che riguarda i primi due piani; ma la versione islamica dello storico Ibn Tulun e quella della restaurazione Fatimita affermano che una moschea con cupola e relativa mezzaluna, simbolo della Fede, fosse stata posta in cima al terzo piano. Quando questa sorta di restauro abbia avuto luogo non è noto con precisione.
L’ingresso al monumento non era a livello del suolo, ma un po’ rialzato, al termine di una rampa di scalini. Molti bassorilievi di sarcofagi romani mostrano ripetutamente questo stile.. La testimonianza coeva più aderente e precisa per l’aspetto del Faro è quella che ci viene offerta dalle monete greche di epoca imperiale, coniate dalla zecca di Alessandria in epoca romana. Il Faro compare sul verso di tre importanti monete che vanno dal regno di Domiziano (81-96 d. C.) a quello di Commodo (177-92 d. C.). Alessandria, che fungeva da zecca per l’impero romano come molte altre città dell’Oriente greco, continuò a battere moneta di tipo greco, ma con l’effigie dell’imperatore romano e con i suoi appellativi in lettere greche. I disegni del verso sono interessantissimi: a volte vi si mescolano in modo curioso iconografie egizie, greche e romane. Il Faro vi compare dapprima come singolo edificio isolato, poi associato alla dea Iside Faria, e da ultimo con una galea che gli passa davanti.
Nelle raffigurazioni numismatiche del Faro fino a tutto il regno di Adriano, la porta d’accesso è visibile o a livello del terreno o appena di poco soprelevata. Durante il regno di Antonino Pio (138-61 d. C.) si nota un cambiamento: la porta d’accesso sembra spostata leggermente più in alto. Senza dubbio si tratta di una riproduzione accurata, che forse riflette qualche modifica strutturale apportata nei primi tempi del regno. Si sa che questa moneta è stata emessa per gli anni 4, 5, 6, 8 e 9 del regno di Antonino. Una moneta da mezza dracma dell’anno 9, finora non resa nota, offre un’immagine del Faro particolarmente fine e nitida, con finestre tonde sull’alto primo piano, e Tritoni che soffiano nelle trombe sospesi nel vuoto agli angoli superiori; la porta d’ingresso è situata in alto, il secondo e il terzo piano sono molto tozzi e l’ultimo è sormontato dalla statua di Zeus Soter. Anche Marco Aurelio (161-80 d. C.) ha poche monete da mezza dracma, degli anni 4 e 17; dopo di che il Faro scompare dal conio come singola effigie.
A quanto pare, Iside Faria aveva un tempio nei pressi del Faro sull’isola stessa. Dai tempi classici una buona parte dell’isola di Faro, anzi della stessa Alessandria, è stata inghiottita dalle onde, poiché la costa si è abbassata. Appena più in là di ciò che un tempo era stata l’isola (sono secoli ormai che è congiunta da un molo alla terraferma), alcuni subacquei hanno trovato negli ultimi anni la testimonianza di un tempio ricavato dalla roccia. Nel 1963 sono stati scoperti frammenti di lettere cubitali di bronzo, e nel dicembre 1963 gli uomini-rana hanno portato in superficie una statua colossale di Iside, alta quasi 10 metri, che ovviamente era in relazione col tempio della dea. La statua giace ora all’ingresso dell’area del Serapeo, presso la Colonna di Pompeo.
Il Faro continuò a formare oggetto di annotazioni nelle fonti storiche arabe, dalle quali apprendiamo che subì gravi danni in un terremoto del 956 d. C., e poi ancora nel 1303 e nel 1323. La descrizione piú completa che ne abbiamo non proviene dagli autori classici già citati, ma dal viaggiatore arabo Abu Haggag Yosuf Ibn Mohammed el-Balawi el-Andalusi, che lo visitò per proprio conto nell’anno dell’Egira 561 (il 1166 d. C.). Dell’isola di Faro dice che era situata un po’ in alto mare, ma osserva anche che era munita di un molo o banchina su cui era possibile camminare, quando il mare non era troppo grosso, senza bagnarsi i piedi. Ecco la sua descrizione:
Il Faro sorge all’estremità dell’isola. È una costruzione quadrata di 8 metri e mezzo di lato, bagnata dal mare tranne che su due lati: l’orientale e il meridionale. Questo basamento misura, lungo i fianchi, dall’alto fino ai piedi del Faro, 6 metri e mezzo, e di tanto si eleva sopra il livello del mare. Peraltro, dalla parte del mare, è più vasto per via della costruzione ed è molto inclinato, come il fianco di una montagna. Siccome l’altezza del basamento aumenta man mano che sale verso le pareti del Faro, la larghezza va scemando fino a che raggiunge le dimensioni di cui si è detto sopra.
Da questa parte la costruzione è solida, le pietre sono ben sagomate, ben posate, lunghe, ma con la superficie più ruvida che altrove nell’edificio. La parte che ho appena descritto è recente, perché da questo lato l’opera muraria di un tempo aveva bisogno di essere sostituita.
Sul lato meridionale, quello che dà sul mare, c’è un’iscrizione antica che non sono in grado di leggere: non si tratta di una vera e propria epigrafe, perché le lettere sono rilevate in pietra nera dura. Il mare e il vento insieme hanno eroso la pietra di fondo e le lettere sporgono rilevate grazie alla durezza del materiale di cui sono fatte. La A misura un po’ più di 54 centimetri. La parte superiore della M spicca come un grande buco in un crogiolo di rame. Le altre lettere sono più o meno delle stesse dimensioni.
Il vano della porta del Faro è collocato in alto. Una rampa di circa 183 metri di lunghezza portava fino alla cima. È una rampa posata sopra una serie di archi ricurvi; il mio compagno si mise sotto uno di questi archi spa-lancando le braccia, ma non riuscì a toccarne le pareti. Ce ne sono sedici, di questi archi, e ciascuno si fa sempre più alto fino a raggiungere il vano di passaggio; l’ultimo poi è particolarmente alto. [Dev’essere la scala che si nota sulle monete].
I due viaggiatori procedettero nell’esplorazione delle rovine dell’isola:
Superammo l’apertura e ci inoltrammo per circa 73 metri di profondità. Sulla sinistra trovammo una porta chiusa, che ignoriamo dove conducesse. Circa 110 metri più in là trovammo una porta aperta. La varcammo e ci trovammo in una stanza comunicante con un’altra uguale, e poi un’altra ancora, e così via per un totale di diciotto stanze, tutte comunicanti fra loro e allineate su un corridoio. Ci rendemmo conto allora che l’isola di Faro era disabitata. Proseguimmo per altri 110 metri, contando altre quattordici stanze a destra e a sinistra. Percorsi altri 44 metri, trovammo ancora diciassette stanze. Finalmente, 100 metri più in là, raggiungemmo il primo piano [del Faro]. Non c’era scala, ma una rampa che si snodava gradatamente attorno al nucleo cilindrico di questo immenso edificio. A destra avevamo un muro non particolarmente spesso, a sinistra il corpo dell’edificio, di cui prima avevamo esplorato le stanze. Entrammo in un corridoio largo 1,6 metri, ricoperto da pietre levigate che formavano il soffitto; due miei compagni non riuscirono a passarci.
Quando giungemmo in cima al primo piano, ne misurammo l’altezza da terra con un pezzo di corda al quale appendemmo una pietra: erano 57 metri e 73 centimetri. Il parapetto era all’incirca 1,83 metri.[…]
Connessa alle immagini visibili sulle monete e ad altri mezzi figurativi, questa descrizione e le misure della struttura ci offrono un quadro chiarissimo dell’aspetto vero del Faro. Il piano piú basso misurava 57 metri di altezza e aveva un nucleo interno cilindrico che reggeva il peso dei piani superiori. Il secondo piano era di forma ottagonale alto circa 27,5 metri; il terzo ripiano, cilindrico, era alto circa 7,5 metri. Sulla cima di quest’ultimo elemento della torre le monete ci mostrano una statua gigantesca di Zeus Soter, che doveva aggiungere almeno altri 5 metri all’altezza. Ancora da aggiungere sono i 10 metri del basamento sopra il livello del mare, e così si arriva a un’altezza complessiva sul mare di circa 117 metri. Il viaggiatore Ibn Battuta descrive il Faro come parzialmente rovinato nel 1326; e quando lo rivide ventitre anni dopo, nel 1349, lo trovò «così disastrato, che non era possibile entrarvi e nemmeno arrampicarsi fino alla porta». Un manoscritto nel monastero di Montpellier fissa la data della rovina del Faro all’8 agosto 1303.
L’ultima possibile raffigurazione del Faro prima della sua distruzione la troviamo in un mosaico della volta della cappella di San Zeno in San Marco a Venezia, databile intorno al 1200. Mostra il Faro e una nave con l’Evangelista al timone, mentre arriva ad Alessandria per fondare la Chiesa copto-cristiana in Egitto. Qui il santo morì e fu seppellito in Alessandria. I mercanti veneziani, coscienti che la loro esigenza di reliquie di un santo era maggiore di quella degli Alessandrini e degli Egiziani, ormai passati alla fede musulmana, rapirono il corpo di Marco nell’868. Fu portato a Venezia, dove ora giace sotto l’altar maggiore in quella stupenda chiesa che porta il suo nome. La sottrazione del corpo di Marco fu il secondo importantissimo furto di cadavere della storia di Alessandria, dopo quello perpetrato da Tolomeo I con il corpo di Alessandro Magno per seppellirlo in quella città. Il teschio di Marco è stato di recente restituito all’Egitto dai Veneziani: ora è sepolto nella cattedrale copta di San Marco al Cairo.
Oggi, sul sito del Faro, si erge il grande forte islamico di Qait Bey, costruito nel Quattrocento sulle e con le macerie del Faro crollato. Il terreno è zona militare e perciò di difficile accesso; del resto, non offre molto da vedere, salvo l’architettura islamica. Ad Alessandria la memoria del Faro è mantenuta viva da una scultura moderna in marmo bianco, che lo riproduce insieme a Iside Faria, e accoglie i turisti che entrano nei giardini per visitare le catacombe di Kom-es-Shafur.


Testo di Peter A. Clayton

2 commenti:

MissGorgoglio ha detto...

Ciao sono da poco iscritta al Gdl e ho appena scoperto il tuo interessantissimo blog, tornerò spesso a leggerti!

Silvia O. ha detto...

Sono stata ad Alessandria lo scorso anno, alla ricerca di quel poco (davvero poco) che è rimasto dei tempi del suo grande fondatore. Per l'occasione, mi ero letta "La tomba di Alessandro" di Manfredi, dove si parla tanto anche di questo mitico Faro e dei recenti ritrovamenti in mare (lo hai letto? A me è piaciuto molto, è ovviamente un saggio e non un romanzo ma scritto con la scorrevolezza di un romanzo).
E' un pezzo della Storia che mi affascina più di ogni altro.
E' stato un piacere leggere questo post!

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