Giardini Pensili di Babilonia


Va detto sin dall’inizio che i Giardini Pensili di Babilonia, sebbene godettero di così ampia fama da essere annoverati fra le Sette Meraviglie del Mondo, non sono mai stati identificati in modo definitivo, anzi, non se ne è nemmeno mai provata l’esistenza. Le testimonianze in nostro possesso sono tarde, «semplici allusioni classiche, tratte da autori pagani», tanto per parafrasare il dottor Chasuble.
Babilonia era la capitale della regione omonima, situata sul fiume Eufrate, circa 650 chilometri a nordovest del Golfo Persico, e oltre 1000 a oriente del Mediterraneo: nell’Irak odierno. La città cominciò ad emergere nel mondo antico sotto il regno del famoso re Hammurabi (1792-1750 a. C.), che promulgò un codice di leggi al quale il suo nome rimane legato per sempre, e che oggi si conserva al Museo del Louvre. Nei secoli successivi al regno di Hammurabi la città subì varia fortuna, ma giunse all’apice della sua fama sotto i re della dinastia neobabilonese o caldea. Fu questo un periodo di governanti eccezionali, tanto memorabili che i loro nomi sono sopravvissuti alla scomparsa della civiltà mesopotamica. Il fondatore della dinastia, Nabopolassar (625-605 a. C.) fu, con i suoi alleati Medi e Sciti, l’artefice del crollo definitivo dell’Assiria (612 a. C.), la cui potenza aveva dominato la vita politica e privata di intere generazioni. Il figlio di lui, Nebukadnezar II (604-562 a. C.), il Nabucodonosor del Libro di Daniele, fu uno dei sovrani più illustri ed efficienti della Mesopotamia. Egli perseguí attivamente una politica di espansione e di sicurezza per il proprio impero, combattendo in Siria, in Palestina e in Egitto. Ciò che, stando alle cronache della Bibbia, portò alla detronizzazione di Joakin re di Giuda, e alla deportazione di molti prigionieri in Babilonia nel 597 (Secondo libro dei Re, 24. 14-16), e più tardi alla distruzione del tempio di Gerusalemme, nonché alla deportazione in massa degli Ebrei in Babilonia, nel 586. L’ultimo re della dinastia fu Nabonido (555-539 a. C.).
Nebukadnezar fu in patria un infaticabile costruttore. Impiegò una massiccia mano d’opera nella produzione di un’incalcolabile quantità di mattoni di fango, materiale che, sotto la direzione degli architetti reali, si trasformò in palazzi, templi, porte e imponenti mura cittadine, di tali dimensioni da sbalordire alti dignitari in visita e gli stessi popoli assoggettati. Particolare caratteristica di questa architettura fu l’impiego di mattoni smaltati d’azzurro per il rivestimento delle opere piú imponenti, mentre altri mattoni del genere, con bassorilievi di leoni, tori e draghi vennero aggiunti ad accrescere lo splendore e la potenza della città regale. La classica descrizione di Babilonia tramandataci da Erodono riflette il sorgere della città di Nebukadnezar; e i monumenti ancor oggi superstiti sono in gran parte opera di questo sovrano.
Soprattutto grazie agli scavi effettuati all’inizio di questo secolo dall’archeologo tedesco Robert Koldewey, è stata riportata alla luce gran parte della città. Oltre ai resti dei monumenti stessi, lo storico di Babilonia possiede testimonianze scritte coeve in caratteri cuneiformi, dettate dagli stessi re, i quali, per il desiderio di fissare nella mente degli dèi le loro imprese, e certo per il gusto di tramandarsi alla posterità, hanno fornito lunghissime descrizioni dei loro progetti edilizi, dei restauri e delle innovazioni apportate.
Le iscrizioni sugli edifici sono caratteristiche della dinastia; la classificazione e la ricostruzione dei testi cuneiformi, spesso ridotti in frammenti, costituiscono motivo di ininterrotto lavoro per gli studiosi moderni. In aggiunta ai racconti personali dei re, un altro regalo è per noi una composizione nota come la Topografia di Babilonia, composta di cinque tavolette che intendono descrivere a fondo la città, nominandone strade e luoghi sacri, porte e templi, insomma, una fonte di incalcolabile valore per chi si interessa alla Babilonia del primo millennio a. C.
Proseguendo allora nella nostra ricerca dei Giardini Pensili, dobbiamo fermarci a riflettere sull’inaspettato silenzio da parte di tutti questi testi originali a carattere cuneiforme su qualsiasi aggancio con la favolosa Meraviglia.
Non esiste iscrizione babilonese che abbia riferimento a una costruzione ricollegabile a un giardino reale di grande effetto, un giardino che, se dobbiamo credere alle relazioni posteriori che citeremo fra breve, costituiva una straordinaria novità tecnologica.
Vediamo dunque che cosa si può spigolare tra gli autori piú tardi a proposito dei Giardini Pensili di Babilonia. Cinque sono quelli che ci hanno lasciato una descrizione atta a fornirci qualche elemento che dia corpo alla nostra idea dei Giardini. Su Babilonia il testimone più affidabile è indubbiamente Berosso, che visse all’epoca di Alessandro Magno (la sua data di nascita si colloca intorno al 350 a. C.). Egli, originario della Caldea, ci narra di essere stato sacerdote di Bel (cioè Marduk, il dio nazionale dei Babilonesi). Fattosi adulto, abbandonò Babilonia e andò a vivere nell’isola di Cos. Verso il 280 a. C. produsse un’opera di notevole importanza, Babyloniaká, abbinata a un’altra che concerneva l’Assiria; suo intento fu di spiegare ai Greci la cultura della Mesopotamia, conoscenza ad essi preclusa a motivo della scrittura cuneiforme. Da quanto rimane dell’opera di Berosso, sembra che egli abbia avuto una conoscenza di prima mano della letteratura sumera e àccade antica ormai di millenni e ancora corrente nelle accademie di Babilonia.
L’autore dedicò il suo Babyloniaká ad Antioco I (281- 260 a. C.), noto per la sua favorevole disposizione verso il tempio e i sacerdoti di Marduk, e in genere verso tutto quanto riguardava la cultura babilonese. Agli occhi dei Greci gli altri popoli apparivano per lo piú barbari, perciò l’opera di Berosso probabilmente non fu molto letta, né, del resto, è pervenuta fino a noi. Ma per nostra fortuna è stata largamente citata da autori più tardi, sicché molto di questo libro d’incalcolabile valore sopravvive e copre largamente il pensiero e le tradizioni della Mesopotamia, conosciuti in testi cuneiformi. Nelle sue note Berosso attribuisce a Nabucodonosor i Giardini Pensili di Babilonia, e il suo testo viene citato da Giuseppe Flavio, lo scrittore che tentò di descrivere la storia e la cultura ebraica con lo stesso spirito con cui Berosso si era accinto alla narrazione della storia di Babilonia. Ecco la descrizione dell’impresa di Nabucodonosor:
“Al suo palazzo egli fece ammassare pietre su pietre, fino ad ottenere l’aspetto di vere montagne, e vi piantò ogni genere di alberi, allestendo il cosiddetto «paradiso pensile» perché sua moglie, originaria della Media, ne aveva grande desiderio, essendo tale l’usanza della sua patria.”
(Antichità giudaiche X 226; e Contro Apione I 141).
Le fonti babilonesi tacciono sull’argomento di questa moglie di Nebukadnezar, ma un matrimonio dinastico tra Babilonesi e Medi è assai plausibile sotto il profilo storico. Berosso ci informa che questa principessa media si chiamava Amytis.



Le altre quattro descrizioni dei giardini degne di essere citate contengono particolari tecnici più precisi. Anzitutto, la descrizione di Diodoro Siculo, vissuto verso la metà del I secolo a. C.:
“C’era poi anche, nei pressi dell’acropoli, il giardino detto «pensile», costruito non da Semiramide ma da un successivo re siro, per compiacere una sua concubina: dicono infatti che questa, che era di origine persiana e desiderava i prati delle sue montagne, chiedesse al re di imitare, mediante l’abile realizzazione tecnica del giardino, la caratteristica propria della terra persiana. Il parco si estende da ciascun lato per quattro pletri [c. 3500 metri quadrati] con la linea ascendente tipica dei monti e le costruzioni una dopo l’altra, in modo da avere un aspetto come di teatro.
Sotto le salite artificialmente realizzate erano state costruite delle gallerie che sopportavano tutto il peso del giardino, e che a poco a poco divenivano progressivamente l’una piú alta dell’altra secondo il progredire dell’ascesa: la galleria piú in alto, alta cinquanta cubiti, reggeva su di sé il piano piú in alto del giardino, posto a un livello pari a quello della cinta protettiva. Inoltre i muri, sontuosamente eseguiti, erano spessi ventidue piedi [c. 7 metri], e ciascun passaggio era largo dieci piedi. I tetti erano coperti con travi di pietra, lunghe – con le estremità sporgenti – sedici piedi e larghe quattro. La copertura al di sopra delle travi comprendeva innanzitutto uno strato di canne con abbondante bitume, quindi una doppia serie di mattoni cotti connessi tra loro con gesso, e come terzo strato sovrapposto aveva delle tettoie di piombo, perché l’umidità proveniente dalla terra accumulata sopra non trapassasse in profondità. Al di sopra di questi strati era accumulato un sufficiente spessore di terra, che bastasse per le radici degli alberi piú grandi: la terra, livellata, era piena di alberi di ogni specie che potessero, per la loro grandezza e le altre loro bellezze, rallegrare chi li vedesse. Le gallerie, che ricevevano la luce per il fatto di essere l’una piú alta rispetto all’altra, contenevano molte stanze reali di ogni genere: ce n’era una che al piano piú alto aveva dei fori e delle macchine per il drenaggio delle acque, grazie a cui veniva tirata su una gran quantità d’acqua dal fiume, senza che nessuno al di fuori potesse rendersi conto di quel che avveniva.”
(Diodoro Siculo, Biblioteca storica II 10; trad. di A. Corcella).
Gli studiosi sono giunti alla conclusione che questa descrizione di Diodoro deriva in parte da una perduta Storia di Alessandro, scritta da un Clitarco di Alessandria negli ultimi anni del IV secolo a. C. Nato egli stesso al tempo della disfatta inflitta da Alessandro ai Persiani di Dario III, è probabile che, anche senza aver avuto la possibilità di visitare di persona Babilonia, gli si sia offerta l’occasione di parlare con qualche soldato che aveva servito nelle file di Alessandro e visitato personalmente la città.
Altre notizie ci pervengono da Ctesia, un medico greco che, fatto prigioniero di guerra, pare abbia svolto la sua professione alla corte persiana intorno al 400 a. C. Le stesse fonti ispirano probabilmente la testimonianza successiva, quella di Quinto Curzio Rufo, autore di una Storia di Alessandro:
“Sull’alto della rocca, meraviglia celebrata dalle favole dei Greci, vi sono i giardini pensili, che pareggiano il massimo livello delle mura e sono incantevoli per l’ombra e l’altezza di molti alberi. I pilastri che reggono tutto il peso sono costruiti in pietra; su di essi è steso un pavimento di pietre squadrate capace di sostenere la terra che vi è distribuita sopra in uno strato profondo e l’acqua con cui questa è irrigata; tali strutture sostengono degli alberi cosí robusti che i loro tronchi raggiungono in spessore la misura di otto cubiti [c. 4 metri], s’innalzano fino all’altezza di cinquanta piedi [c. 15 metri] e sono altrettanto produttivi che se fossero nutriti dal loro terreno naturale. E benché il tempo distrugga non solo le opere fatte dalla mano dell’uomo, ma anche quelle della stessa natura, consumandole a poco a poco, questa mole, che pur è sottoposta alla pressione delle radici di tanti alberi ed è gravata dal peso di un bosco cosí grande, dura intatta; la sorreggono infatti dei muri larghi venti piedi, posti ad una distanza di undici, cosí che, a guardar di lontano, sembra una foresta che sovrasti le sue montagne. È tradizione che quest’opera sia stata ideata da un re di Siria, regnante in Babilonia, per amore della sua sposa, che, rimpiangendo in quei luoghi di pianura i boschi e le selve, indusse il marito ad imitare, con una costruzione siffatta, la bellezza della natura.”
(Quinto Curzio Rufo, Storia di Alessandro V 1.32-35).
In materia, Strabone, traendo, si crede, le sue informazioni da un testo andato perduto di Onesicrito, altro autore del regno di Alessandro Magno, dice quanto segue:
“Anche Babilonia giace in una pianura; e la cerchia delle sue mura misura 385 stadi. Lo spessore del muro è di 32 piedi [10 metri], mentre l’altezza del tratto fra una torre e l’altra è di 50 cubiti [c. 22 metri], di ogni torre 60 cubiti [c. 26 metri]. Lo spazio sull’alto del bastione è tale che due quadrighe in corsa possono facilmente superarsi; perciò le mura e i giardini pensili sono considerati una delle Sette Meraviglie del Mondo. Il giardino è di forma quadrata, con quattro pletri per lato [c. 130 metri]. È fatto di archi e volte che si susseguono su blocchi cubici a scacchiera. I basamenti, a quinconce e incavati, sono cosí fittamente riempiti di terra, da poter facilmente accogliere gli alberi piú grossi, costruiti come sono, sia i basamenti sia le volte sia gli archi, di mattoni cotti e bitume. Si accede all’ultima terrazza per mezzo di una scala, lungo la quale correvano delle spirali attraverso cui l’acqua veniva portata di continuo dall’Eufrate fin su nel giardino dagli addetti a questo scopo, dato che il fiume, largo uno stadio, scorre in mezzo alla città, e il giardino si trova in riva al fiume.”
(Strabone, Geografia XVI 1.5).
Da ultimo dobbiamo cedere la parola al bizantino Filone, attivo probabilmente intorno al 250 a. C., la cui lista delle Sette Meraviglie del Mondo è una delle più correnti nella tradizione. A proposito dei famosi giardini di Babilonia, egli dice:
“Il cosiddetto Giardino Pensile, fatto di piante, sollevate da terra, viene lavorato in aria, essendo una terrazza sospesa il terreno dove si radicano le piante. Al di sotto si rizzano per sostegno colonne di pietra, e tutto lo spazio è occupato da colonne istoriate. Quindi sono disposte delle travi di legno di palma, a strettissimi intervalli. Il legno di palma è l’unico a non marcire, anzi, inumidito
e compresso da gravi pesi, s’incurva all’in su; inoltre nutre i filamenti delle radici traendo altre sostanze dall’esterno fra i propri interstizi. Sopra queste travi è ammassato un profondo strato di terra, e lí sono piantati alberi a larga foglia dei piú diffusi nei giardini, ogni varietà di fiori multicolori, e insomma quanto rallegra la vista e il palato con la sua dolcezza. Il luogo è lavorato come un campo qualsiasi e si adatta ai lavori di propagazione come ogni terreno. Cosí l’aratura avviene sopra la testa di chi sta passeggiando sotto le colonne, e mentre si calpesta la superficie del terreno, negli strati inferiori vicino alle travi la terra rimane immobile e intatta. Canali d’acqua proveniente da fonti piú alte affluiscono direttamente con bel fiotto, oppure scorrono venendo sollevati da una spirale e fatti girare per condotte forzate da macchine elicoidali; immessi allora in fitti e grandi zampilli, irrigano tutto il giardino, irrorano le profonde radici degli alberi e mantengono umido il terreno. Perciò, come si può ben immaginare, l’erba è sempre verde, e le foglie che spuntano dai molli rami degli alberi hanno grande umore e durata. Le radici infatti, mai assetate, assorbendo e conservando l’umidità diffusa dell’acqua e intrecciando le loro spire sotterranee, garantiscono vita salda e duratura alle piante. Opera squisita, voluttuosa e regale davvero, dove tutto è artificiale e la fatica degli agricoltori è appesa sopra il capo di chi la contempla.”
Dice molto su Filone, il grande tecnico, che, se visse davvero intorno al 250 a. C., non possedette nemmeno un resoconto dei Giardini Pensili di seconda mano. Dopo tutto, il palazzo di Nebukadnezar era ancora abbastanza ben conservato, se Alessandro vi morí nell’anno 323.
Questo, dunque, è in sostanza ciò che ci viene tramandato dagli autori pagani per quanto concerne la conoscenza dei Giardini Pensili. Se vogliamo prestare fede ai loro racconti riuniti, testimonianze archeologiche parlano in favore di quanto affermato da Berosso, e cioè che il merito di questi giardini è da far risalire a Nebukadnezar. Prima però di rivolgere la nostra attenzione alla città stessa di Babilonia, sarà bene spendere una parola a proposito di altri giardini reali dell’antica Mesopotamia, poiché abbiamo ampie testimonianze che anche re precedenti apprezzarono i loro giardini e vi dedicarono molta cura.
Sennacherib (704-681 a. C.), «l’Assiro che irruppe come il lupo nell’ovile» secondo le parole di Byron, fu notoriamente interessato alla botanica. Aveva progettato un ampio giardino vicino al suo palazzo di Ninive e si recò in altre contrade per poterlo fornire di piante rare ed esotiche, di erbe e alberi fatti venire in certi casi da paesi remoti. Sembra addirittura che abbia importato il cotone dall’India, se è corretta l’interpretazione della strana frase «alberi che producono lana», di cui egli si vale. Sennacherib andò incontro a gravi difficoltà per aver voluto fornire Ninive di sorgenti d’acqua sbarrando il fiume Khosr, forse anche per proteggersi dall’eventualità di un assedio. Era giunto perfino a costruire diverse miglia d’acquedotto per sostituire il precedente; ne restano tracce notevoli. Possiamo dunque esser certi che egli prese serie misure per assicurare irrigazione adeguata ai propri giardini.
Altri re assiri piú antichi hanno lasciato testimonianza dei loro giardini nelle iscrizioni. In epoca precedente Tiglatpileser I di Ninive (1115-1077 a. C.) si era vantato di opulenti giardini e frutteti, mentre in un’altra capitale assira, Nimrud (la Calah della Bibbia), Assurnazirpal II (883-859 a. C.) ci ha lasciato una lunga iscrizione su una stele di pietra, in cui descrive come ha proceduto alla piantagione di giardini reali nei pressi della cittadella e del fiume Tigri; vi aveva anche accumulato vaste riserve di piante provenienti da paesi stranieri a seguito di vigorose campagne militari:
“L’acqua incanalata scendeva dall’alto fino ai giardini; i viali sono odorosissimi, le cascatelle brillano come gli astri del cielo in questo giardino di delizie. I melograni, coperti di grappoli di frutti come la vite di uva, ne aumentano il profumo. Io, Assur-na¯sir-apli, non smetto di cogliere frutti nel giardino della gioia, come uno scoiattolo [?].” (Stele di Assurnazirpal).
Una tavoletta cuneiforme completa, oggi al British Museum, è una copia di epoca piú tarda tratta da un antico manoscritto che elenca le varietà di piante trovate nel giardino del re babilonese Marduk-apla-iddina (721- 710 a. C.), il biblico Merodach-Baladan. Sono enumerate sessantasette varietà, per lo piú ortaggi. Un famoso bassorilievo dell’ultimo grande re assiro, Assurbanipal (668-627 a. C.), anch’esso al British Museum, ci mostra parte dei giardini reali nella capitale Ninive.



Ora, data l’attenzione prestata da autori di epoca piú tarda ai Giardini Pensili, e la ben documentata tradizione dei giardini reali in Mesopotamia, mettiamo da parte per un momento il nostro scetticismo e ammettiamo che al momento del suo apogeo Babilonia offrisse visioni straordinarie. Diamo allora uno sguardo alla città stessa, per vedere dove potevano essere collocate. Babilonia è la città piú grande dell’antica Mesopotamia, anche piú grande di Ninive. Ha una superficie di circa 850 ettari, come appare da una pianta schematica del centro cittadino risalente all’epoca di Nebukadnezar. La città aveva una doppia cinta di mura, fondate da Nabopolassar e completate da Nebukadnezar. Anche viste da molto lontano, queste mura devono aver presentato uno spettacolo davvero impressionante: abbiamo letto piú sopra che, almeno per Strabone, queste mura costituivano a buon diritto una delle Sette Meraviglie del Mondo. Torreggiante sopra la città si ergeva la ziggurat, al centro del vasto complesso di templi dedicato a Marduk, vicino al suo santuario di Esagila. Le Storie di Erodoto ci hanno tramandato notizie di Babilonia nel secolo successivo a Nebukadnezar.
Naturalmente la ziggurat dà il tono della civiltà mesopotamica. Come riferisce anche Erodoto, ha la forma di una torre a gradini di mattoni di fango, ed è sormontata da un piccolo sacello. In numero più o meno consistente, le ziggurat si ritrovano ancora in molte antiche città irachene, ma quella di Babilonia è la più conosciuta.
Nella tradizione storica è spesso identificata con la Torre di Babele del Libro della Genesi: anzi, nell’ultimo secolo si è fatto un gran discutere se la Torre di Babele fosse proprio quella di Babilonia, nei pressi di Borsippa (Aqar Quf). Degli autori da noi citati Erodono è quello che più si avvicina all’epoca di Nebukadnezar, e sorprende il fatto che, nella sua narrazione, non menzioni affatto i Giardini Pensili. È un’obiezione a cui riesce difficile rispondere. Qualcuno ha immaginato che i giardini fossero collocati sulla ziggurat stessa, il che si accorderebbe almeno per un aspetto con quanto abbiamo riferito, e cioè che la funzione della ziggurat fosse, in senso lato, quella di avvicinare il più possibile l’uomo alla divinità: l’architettura a gradini potrebbe aver condotto alla teoria di una imitazione fatta dall’uomo di una montagna di grandi dimensioni. Questo è certamente un argomento, ma non tiene conto delle insormontabili difficoltà dell’irrigazione, ed escluderebbe perciò che la ziggurat di Babilonia fosse costantemente coperta di verzura. Coloro che scartano i Giardini Pensili, considerandoli soltanto leggenda, trovano invece nella ziggurat la solida realtà che sta dietro l’opera dei poeti. All’interno, Babilonia era caratterizzata da una fusione di magnificenza e d’ordine. Le strade sono tracciate parallelamente al fiume e s’incrociano tra loro ad angolo retto, con una visione urbanistica stranamente moderna. Otto porte dànno accesso alla città: di esse la piú nota è quella solitamente chiamata la Porta Ishtar. Essa sorgeva pressappoco al centro delle mura settentrionali e si apriva sulla non meno famosa via della Processione.
Al tempo di Nebukadnezar sorgevano in Babilonia numerosi palazzi. Subito al di là delle mura è situato il Palazzo Nord, mentre poco ci rimane del cosiddetto Palazzo d’estate. Il piú importante era il Palazzo Sud, nel quale cinque grandi cortili erano a loro volta circondati da un intrico di stanze e appartamenti. Qui era situata anche la sala del trono, teatro del festino di Baldassarre descritto nella Bibbia; lí Alessandro morì mentre ancora piangeva la morte di Efestione. Gli stessi risplendenti mattoni furono usati per ornamento del palazzo. Piú tardi, nel corso del suo regno, Nebukadnezar costruí un secondo palazzo a nord della sua residenza principale, dove gli archeologi hanno scoperto, fra l’altro, ciò che doveva essere un museo di antiche iscrizioni, risalente alla fine del III millennio a. C., accuratamente raccolte e custodite. Questo interesse per l’antiquariato sembra essere stato caratteristico di parecchi re della dinastia neobabilonese.
Fu durante gli scavi dell’angolo nordorientale del Palazzo Sud che Koldewey s’imbatté nell’edificio conosciuto come l’edificio a volte che egli identificò, in forma ipotetica, con i Giardini Pensili di Babilonia. La forma era quella di una cripta sotterranea, composta di quattordici stanze a volta, che Koldewey descrive cosí:
“Quattordici celle, simili l’una all’altra per forma e misura, si allineano parallele ai due lati di un corridoio centrale, circondate da mura massicce. Intorno a questo quadrato alquanto irregolare corre uno stretto passaggio il cui estremo lato verso nord ed est è formato in larga misura dal muro esterno della Fortezza, mentre altre file di celle similari si affacciano ad ovest e a sud. In una di queste celle del lato ovest c’è un pozzo diverso da tutti gli altri pozzi conosciuti in Babilonia o dovunque nel mondo antico. Il pozzo ha tre piccole aperture una vicino all’altra, quadrata quella centrale e le altre rettangolari ai lati: una disposizione per la quale non so vedere altra spiegazione se non che lí vi fosse una macchina idraulica, funzionante in base allo stesso principio della nostra pompa a catena, dove i secchi attaccati a una catena lavorano intorno ad una ruota posta sopra il muretto che cinge il pozzo. Un argano imprime alla ruota una rotazione continua. Questo ritrovato, che ancor oggi si usa da quelle parti, ed è chiamato dolab, ossia secchio per l’acqua, provvede un flusso continuo di acqua.”
Proposta l’identificazione di questo edificio con la zona dei Giardini, Koldewey osserva che «l’identificazione una volta studiata nei particolari, appare irta di difficoltà; ma ciò non può sorprendere nessuno che abbia ripetutamente tentato di far concordare le informazioni degli antichi con le scoperte odierne».
Avanzando l’ipotesi per la prima volta, Koldewey non pretese di offrire una certezza: aveva soltanto esposto l’idea perché fosse presa in considerazione.
La discussione sulle Sette Meraviglie del Mondo tende a non mettere piú in dubbio l’identificazione, e oggi, ai visitatori che si recano sul luogo, vengono mostrati i resti del palazzo come le rovine superstiti della celebre costruzione voluta da Nebukadnezar. Recentemente la Direzione generale delle Antichità di Baghdad ha restaurato la cadente muratura in mattoni dell’Edificio a volte, a seguito di altre ricerche nel palazzo.
Come risultato di questi scavi, furono meglio messe a punto le misurazioni di Koldewey e fu aggiunto qualche altro dettaglio; ma non emerse in sostanza nulla di nuovo che aiuti ad identificare l’originale uso dell’edificio.
Possiamo riassumere i punti sostenuti da Koldewey a favore dell’identificazione da lui data nel modo seguente:
a) l’impiego di pietra lavorata, scarsamente usata altrove;
b) le mura insolitamente spesse, destinate evidentemente a sopportare pesanti sovrastrutture;
c) la presenza di un pozzo unico nel suo genere.
Dopo aver raccolto tutti i dati possibili, Koldewey produsse un disegno di ricostruzione dei Giardini Pensili di Babilonia quali da lui concepiti.
L’argomento fu abbandonato da gran parte degli studiosi per molti anni dopo la pubblicazione dei rapporti definitivi sugli scavi della squadra tedesca, probabilmente perché poco altro restava da dire, in mancanza di nuove documentazioni. Negli ultimi tempi, però, parecchi studiosi sono nuovamente tornati sui problemi dei Giardini Pensili, in modo particolare il dottor W. Nagel e il professor D. J. Wiseman.
In generale è stato dimostrato che il complesso delle stanze dai soffitti arcuati dell’Edificio a volte hanno avuto altri usi, più prosaici. Si tende a credere che si sia trattato piú probabilmente di magazzini, poiché vi è stato rinvenuto un intero archivio di tavolette cuneiformi, datate fra il decimo e il trentacinquesimo anno del regno di Nebukadnezar. I testi recano liste di viveri, olio e orzo, con cui nutrire esiliati e stranieri tenuti prigionieri a Babilonia a quel tempo. È curioso che in alcune di queste tavolette si fa menzione di Joachin re di Giuda e del suo seguito, bell’esempio di come le fonti di scrittura cuneiforme coincidano esattamente col racconto della Bibbia. Si fa anche accenno ad altri gruppi di prigionieri, e per questo è stata avanzata l’ipotesi che, dietro il progetto di mura tanto massicce, si nascondesse uno scopo di sicurezza. Inoltre si è messo in dubbio che la forza di queste mura fosse atta a sostenere un giardino, destinata piuttosto a reggere un prolungamento della via della Processione.
Altro punto cruciale è la distanza tra l’Edificio a volte e il rifornimento d’acqua del fiume. Si noti a questo proposito la chiara affermazione di Strabone, che i giardini erano situati nei pressi del fiume. Infine, un’ultima considerazione: come spiegare questa collocazione nel quadro complessivo del Palazzo Sud? Chiunque avesse voluto entrare nei Giardini venendo dal palazzo di Nebukadnezar avrebbe dovuto superare gli uffici amministrativi e gli appartamenti, il che avrebbe sacrificato l’intimità certamente desiderata dal re e dalla sua famiglia, per tacere dell’harem. In conclusione, gli studiosi hanno rivolto altrove nella città le loro ricerche, per trovare una collocazione piú idonea.
Pur ammettendo la facile credulità dei viaggiatori antichi e il ripetersi da un testo all’altro di notizie non verificate di persona, la testimonianza dei classici sui Giardini Pensili è impressionante e non la si può facilmente accantonare. Come abbiamo visto, Berosso attribuisce l’opera a Nebukadnezar, e ciò concorderebbe con quanto conosciamo delle attività edilizie del re; sappiamo inoltre che, per tradizione, un parco reale costituiva una precisa caratteristica di una reggia mesopotamica. Che non ne venga fatto accenno nelle tavolette cuneiformi è senza dubbio una difficoltà, forse ancora piú grave dell’omissione nella descrizione di Babilonia da parte di Erodoto. Si fanno però di continuo nuove scoperte nel campo dell’assiriologia, ed è sempre possibile che gli scavi condotti senza tregua a Babilonia da parte dell’Organizzazione statale irachena per le antichità e la tradizione scoprano un giorno un testo che getti piena luce in materia. Cosí, mentre il problema resta per il momento ancora aperto, permane la possibilità che al tramonto, sullo sfondo del cielo di Babilonia, si profilassero i Giardini Pensili. Anche se, dopo tutto, i Giardini, come ci sono descritti, non esistettero mai, esistettero le mura di Babilonia, e in parte esistono tuttora; e in accordo con quanto dice Strabone, Babilonia stessa possiede in ogni caso tutti i requisiti per essere annoverata fra le Sette Meraviglie del Mondo.

Testo di Irving L. Finkel
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