martedì 21 dicembre 2010

Petra – La città nascosta dei Nabatei (I.)


Le rovine di Petra costituiscono uno dei complessi più singolari e affascinanti del mondo antico, sia per l’eccezionale qualità delle creazioni architettoniche, sia per la straordinaria posizione della città, tra colline dirupate e strettissimi canaloni, cui aggiunge ulteriore  fascino il colore della roccia nella quale sono ricavati gli edifici.


Situata nella Giordania meridionale, questa singolare località è più volte nominata nella Bibbia con il nome di Sela’ – “roccia”, in ebraico – mentre dagli Arabi è chiamata uadi Musa, ossia “Valle di Mosè”: il nome indigeno della città è tuttora ignoto e Petra non è che la traduzione greca del toponimo biblico. Sebbene il più antico insediamento noto risalga all’Eta del Ferro, l’importanza del luogo è legata all’occupazione nabatea, risalente alla seconda metà del IV secolo a. C.


 Nomadi provenienti dalla penisola arabica, una volta divenuti sedentari i Nabatei si organizzarono in una solida monarchia che traeva la propria ricchezza essenzialmente dai commerci; arroccatisi su uno degli speroni rocciosi della zona, nel 312 a. C. riuscirono a resistere al tentativo di conquista da parte di Antigono I, sancendo la propria autonomia e dando cosi inizio a un periodo di notevole splendore.



Petra si sviluppò come città rupestre all’incrocio di tre gole e divenne in breve il centro di raccolta e di difesa delle tribù vicine: la scelta di eleggerla a capitale fu motivata da ragioni di sicurezza, poiché essendo nascosta tra le montagne e con pochi accessi facilmente controllabili, costituiva un rifugio ideale. Il rapido collegamento con il Mar Rosso permise proficue comunicazioni con l’Arabia e la Mesopotamia, mentre la pista attraverso il Negev verso Gaza assicurava la possibilità di sbocco sul Mediterraneo e l’accesso ai porti della Siria. I continui rapporti con le grandi correnti commerciali e una sempre maggiore prosperità determinarono la sua notevole ellenizzazione,  evidente soprattutto nei numerosi monumenti che i sovrani nabatei fecero scavare nelle pareti rocciose durante il I secolo d. C.


 Nel momento di massimo fulgore, la popolazione di Petra doveva essere compresa tra i trenta e quaranta mila abitanti, in massima parte dediti ai commerci. L’occupazione romana e l’istituzione della provincia d’Arabia, sancita nel 106 d. C. da Traiano, ne rallentarono l’evoluzione, ma non la fermarono; tuttavia, con il fiorire di altri centri carovanieri, Cerasa e Palmira in primo luogo, e il trasferimento della capitale a Bosra nel III secolo d. C., l’importanza di Petra andò via via scemando.



Per alcuni secoli la città rupestre continuò caparbiamente a essere un centro importante, insignito del titolo di sede vescovile, e in seguito alla riorganizzazione dell’impero voluta da Diocleziano divenne capitale della provincia “Palaestina Taertia”. Dopo la conquista araba della regione decadde completamente, anche se venne per breve tempo fortificata e difesa dai crociati; dopo il XIII secolo fu definitivamente abbandonata e in Occidente se ne perse memoria fino al 1812, anno in cui fu scoperta da Johann Ludwig Burckhardt. Il celebre viaggiatore e orientalista svizzero, tuttavia, non ebbe il tempo di effettuare un’approfondita ricognizione delle rovine a causa dell’ostilità manifestata dalle locali tribù beduine.



Ventisette anni più tardi, David Roberts riuscì invece a ottenere il permesso di accamparsi a Petra per studiarne i monumenti, e fu uno dei primi occidentali a riportarne un’esauriente documentazione grafica. Scozzese, nato in un contesto sociale assai modesto.


A Petra, Roberts giunse il 6 marzo 1839 e, grazie ai buoni uffici delle sue guide locali, nonché al pagamento di un cospicuo pedaggio, gli fu  concesso di trattenersi per cinque giorni in quello che allora era il territorio di una tribù araba piuttosto bellicosa. La vista che gli si parò innanzi era tale da togliere il fiato. Il luogo in cui sorge la capitale nabatea ha la forma di un anfiteatro racchiuso da alte rocce scoscese e misura circa un chilometro da est a ovest, la metà da nord a sud; il letto di un torrente, spesso totalmente secco, attraversa questa sorta di profondo vallone e, con i suoi affluenti, delimita un basso affiorito roccioso sul quale sorgeva la città vera e propria, ormai in parte spazzata via dalle rovinose piene del corso d’acqua.



Le pareti che la circondano, in alcuni tratti alte trecento metri, vennero adibite dai Nabatei a tombe e ad abitazioni rupestri e paiono quinte scenografiche colossali, di surreale bellezza. Sulla sommità dei picchi circostanti erano posti alcuni luoghi di culto e i fortini che sorvegliavano le vie d’accesso alla città. In virtù del suo aspetto così inconsueto, la splendida capitale dei Nabatei fu già nell’antichità oggetto di stupore e ammirazione.


Quello che oggi è il letto dello uadi Musa era allora la strada principale, interamente lastricata, che iniziava nei pressi di una piscina per i bagni annessa a un ninfeo; più oltre stavano tre mercati disposti su terrazze digradanti, con le botteghe allineate sui lati, un grande tempio corinzio, le terme, l’arco onorario romano, un ginnasio a più ripiani.


La parete rocciosa contrapposta al teatro – capace di oltre sei mila posti e dalla cavea interamente tagliata nel fianco della montagna – presenta un gran numero di strutture rupestri, tutte di eccellente fattura. Al cospetto di una simile meraviglia, l’artista scozzese non nascose la sua emozione: “Sono sempre più stupito e sconcertato da questa straordinaria città….; è stato abitato ogni burrone e persino la cima delle montagne. La valle è disseminata di templi, edifici pubblici, archi di trionfo e ponti… Lo stile architettonico è diverso da ogni altro io abbia mai visto e in molte delle sue parti si nota una curiosa combinazione dello stile egizio con quello romano e quello greco. Il ruscello scorre ancora in mezzo alla città. Cespugli e fiori selvatici abbondano lussureggianti: ogni fenditura nelle rocce ne è piena e l’aria profuma della più deliziosa fragranza”.
Non appena l’accampamento fu sistemato, Roberts volle visitare il Khasné, senz’altro il monumento più celebre di Petra.

 Va ricordato che l’unico accesso agevole alla città si trova a oriente e consiste nell’angusto letto del corso d’acqua cui si è già accennato, che qui è racchiuso tra due pareti distanti in alcuni punti non più di tre metri e mezzo l’una dall’altra. Questo passaggio, oggi noto come Siq, è lungo quattro chilometri; nell’antichità le sue acque correvano in due canali scavati nella roccia e venivano convogliate nell’acquedotto cittadino.


1 commento:

la giraffa e la papera ha detto...

A Petra le rocce parlano . . .
P.S.Ho ricambiato il tuo premio...bacibaci per Natale!!!

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