Favola della botte

C’era una volta un uomo che dalla stessa moglie aveva avuto tre figli (* con questi tre figli, Peter, Martin e Jack, si vuole intendere il papato, la chiesa d’Inghilterra e i dissenzienti protestanti). Essi erano gemelli e nemmeno la levatrice sapeva dire con certezza quale fosse nato per primo. Il padre mori quando i ragazzi erano ancora giovani e, sul letto di morte, li chiamò accanto a sé e disse a loro:
“Figli miei, io non ho accumulato ricchezze e non ne avevo quando sono nato: cosi ho meditato a lungo per vedere cosa potevo lasciarvi in eredità e alla fine, con molta fatica e anche con una notevole spesa, ho comperato una giubbe nuova per ciascuno di voi: eccole qua. Adesso dovete sapere che queste giubbe (* con queste tre giubbe si intendono le vesti degli Ebrei – Con tutto il rispetto, questo è uno sbaglio del colto commentatore, perché con le giubbe si vuole intendere la dottrina e la fede del Cristianesimo, che la saggezza del suo Divino Fondatore ha reso adatte a qualsiasi epoca, luogo o circostanza ) posseggono due virtù: la prima è che, se avrete cura nell’indossarle, esse vi dureranno sempre nuove e intatte fino alla fine dei vostri giorni; la seconda è che cresceranno con voi, allungandosi e allargandosi da sole in modo da essere sempre adatte alle vostre misure. Adesso lasciate che ve la veda addosso prima di morire. Ecco: vi stanno benissimo. Ma vi prego, figli miei, tenetele sempre pulite e spazzolatele spesso. Troverete nel mio testamento (* Il Nuovo Testamento), eccolo qua, tutte le istruzioni necessarie per indossare e conservare le vostre giubbe; queste istruzioni dovrete scrupolosamente osservare, in modo da evitare le pene che ho stabilito per ogni eventuale trasgressione o negligenza: la vostra prosperità futura dipende interamente da ciò. Ho anche stabilito nel mio testamento che dovrete vivere insieme nella stessa casa come fratelli e come amici, perché questo è l’unico modo per far fortuna, e non diversamente.”
A questo punto la storia dice che il padre morì e i tre figli se ne andarono insieme a far fortuna.
Ora non vi annoierò raccontandovi le avventure a cui andarono incontro nei primi sette anni; basti dire soltanto che osservarono scrupolosamente le volontà del padre e mantennero le loro giubbe in ottimo stato; inoltre che viaggiarono per numerosi paesi, incontrarono una quantità rispettabile di giganti e uccisero un certo numero di draghi.
Avendo raggiunto l’età per essere introdotti in società, vennero nella capitale e furono affascinati dalle grandi signore, ma soprattutto si innamorarono di tre, che a quell’epoca godevano di grande notorietà: la Duchessa d’Argent, Madama de Grands Titres, la Contessa d’Orgueil (* le signore sono: avarizia, ambizione, orgoglio, cioè i tre vizi contro cui inveivano i padri della Chiesa, vedendo in essi i primi pericoli di corruzione del Cristianesimo). Però, la prima volta che si presentarono a loro, i nostri tre personaggi furono accolti male e, dopo averne scoperte le cause, grazie alla loro sagacia, si diedero a perfezionarsi, imparando in fretta tutte le arti cittadine; perciò cominciarono a scrivere e a deridere il prossimo, a comporre versi e a cantare, a parlare senza dire niente, a bere, a litigare, ad andare a *******, a dormire, a bestemmiare, a fiutare tabacco, a vedere le nuove commedie nelle serate di gala, a frequentare i caffè alla moda, a picchiare le guardie notturne, a oziare sulle porte dei negozi; e cosi sì presero lo scolo, imbrogliarono i vetturini, si indebitarono con i bottegai e andarono a letto con le loro mogli, ammazzarono gli sbirri e buttarono a calci i suonatori giù per le scale, mangiarono nella famosa taverna Locket’s e persero il loro tempo al Caffè Will’s, parlarono di ricevimenti e non ci misero mai piede, pranzarono con lords che non videro mai, parlarono male di duchesse senza aver mai scambiato una parola con loro, mostrarono in giro gli scarabocchi della lavandaia come fossero raffinati biglietti d’amore; erano sempre appena tornati da Corte e non ci erano mai stati, assistevano alla toilette di grandi signori al mattino ma all’aria aperta, imparavano a memoria liste di nobili di una comitiva e con grande familiarità ne parlavano particolareggiatamente in una altra; ma soprattutto frequentavano quei gruppi di senatori che in parlamento se ne stanno sempre zitti e al caffè fanno un grande chiasso, quando alla sera si riuniscono per masticar di politica assieme a una schiera di discepoli, che li circondavano in attesa di afferrare al volo quel che esce loro di bocca ( * questa è una descrizione minuta della vita dei libertini dell’epoca).
I tre fratelli avevano imparato una quarantina d’altre arti del genere, che sarebbe noioso qui elencare, e quindi erano giustamente considerati in tutta la città persone compitissime. Ma tutto ciò non bastava e le suddette madame continuavano a essere irremovibili. Per chiarire le ragioni del loro atteggiamento, e se il lettore me ne da il permesso, ed ha la pazienza di seguirmi, devo fare qui ricorso ad alcune delucidazioni della massima importanza, che gli autori dell’epoca non hanno sufficientemente fornito.
Infatti a quei tempi era sorta una setta (* qui l’autore prende lo spunto da una satira sulle mode e sui vestirsi per introdurre quanto segue), i cui principi ebbero una vasta diffusione, specialmente nel “grand monde”, e tra la gente alla moda. I suoi proseliti adoravano un idolo (* con questo idolo si vuole intendere un sarto) che, come diceva la loro dottrina, ogni giorno creava degli uomini con uno speciale sistema di fabbricazione. […]

E cosi, lasciandomi alle spalle questi sparsi frammenti, riprendo il filo della mia storia e continuo con la massima circospezione (* la prima parte del racconto è la storia di Peter, nella quale si spiega cos’è il papismo: tutti sanno che i papisti hanno apportato grandi aggiunte al Cristianesimo; e proprio questa è la grande obiezione che la chiesa d’Inghilterra solleva contro di loro. Di conseguenza succede che Peter cominci le sue stranezze aggiungendo delle guarnizioni alla giubba. La descrizione della stoffa con cui è fatta la giubba ha un ulteriore significato, più di quanto il senso delle parole sembri suggerire: “Le giubbe che il padre aveva lasciato loro erano di ottima stoffa e inoltre cosi ben cucite che avreste giurato trattarsi d’un pezzo unico.” E questo è il tratto caratteristico della religione cristiana: “christiana religio absoluta et simplex”, come la descrisse Ammiano Marcellino che, quanto a lui, era un pagano).
Queste idee e la loro messa in pratica erano cosi diffuse tra le persone più raffinate della Corte e della città, che i nostri tre fratelli, date le circostanze in cui si trovarono, erano molto indecisi sul da farsi. Perché, da una parte le tre signore alle quali loro correvano dietro, e che abbiamo nominato sopra, erano sempre all’ultima moda, più di chiunque altro, e disprezzavano chi non fosse altrettanto aggiornato in tutto e per tutto; dall’altra parte il testamento paterno era molto preciso al riguardo, e il precetto principale in esso contenuto, con gravi pene per chi lo avesse trasgredito, era di non aggiungere o togliere nemmeno un filo dalle loro giubbe, a meno che non ci fosse un’esplicita indicazione nel testamento.
Ora, le giubbe che il padre aveva lasciato loro erano di ottima stoffa, è vero, e inoltre cosi ben cucite che avreste giurato trattarsi d’un pezzo unico; ma nello stesso tempo erano molto semplici, quasi senza la minima decorazione. Così successe che, neanche un mese dopo il loro arrivo in città, vennero di moda grandi guarnizioni di fiocchi (* qui si vuole alludere alla primitiva introduzione di pompa e di sfarzo non necessario nelle chiese; decorazioni che non servivano né per simmetria né per comodità): immediatamente tutti furono infiocchettati; non era più possibile neanche farsi ricevere al mattino dalle signore, senza la vostra brava parte di fiocchi: “Quel tizio” si mettevano a gridare “non ha l’anima: è senza fiocchi; vedete?” Sicché anche i nostri tre fratelli ne sentirono presto la necessità, e a loro spese: infatti appena mettevano piede fuori di casa, non trovavano che sgarbi e mortificazioni. Se andavano a teatro, l’inserviente li faceva sedere nel loggione. Se dovevano servirsi di una barca, il barcaiolo diceva loro: “Volete quella da poco prezzo, vero?” Se andavano all’osteria della Rosa per bere una bottiglia lo sguattero gridava loro: “Amici, birra non ne vendo”. Se andavano a far visita a una gran dama, li accoglieva un lacchè che diceva loro: “Se avete qualche messaggio da lasciare…” Alla fine, in questa infelice situazione, essi andarono di corsa a consultare il testamento paterno, e lo lessero e lo rilessero senza trovarci però nemmeno una parola sulle guarnizioni di fiocchi. Cosa fare? L’obbedienza era assolutamente necessaria, e d’altronde le guarnizioni di fiocchi sembravano indispensabili per vivere in città.

Dopo aver meditato a lungo, uno dei fratelli, che era il più erudito dei tre, disse che aveva trovato una soluzione. “E’ vero” disse “che in questo testamento non c’è niente che menzioni le guarnizioni di fiocchi ‘totidem verbis’ (* quando i papisti non riescono a trovare nelle Scritture quello che serve loro, risalgono alla tradizione orale; cosi Peter qui appare convinto di dover noiosamente cercare nel testamento, lettera per lettera, le parole di cui ha bisogno, quando, ‘in terminis’, non vi si trovano né le sillabe costitutive, né tanto meno le parole intere), ma sono sicuro che un accenno lo possiamo trovare ‘inclusive’ oppure ‘totidem syllabis’”. La distinzione fu immediatamente accettata e subito i tre fratelli si misero a esaminare di nuovo il testamento. Ma la loro ricerca era cominciata sotto una cattiva stella e non fu possibile trovare la prima sillaba in tutto il testamento.
Dopo questa delusione, quello dei tre fratelli che aveva proposto la prima soluzione, si fece coraggio e disse: “Fratelli, c’è ancora una speranza; se non riusciamo a trovare nessun accenno né ‘totidem verbis’ né ‘totidem syllabis’, scommetto che lo troveremo ‘tertio modo’, e cioè ‘totidem literis’”. La trovata ebbe le lodi degli altri due, sicché ancora una volta essi si misero a vagliare il testo e ne cavarono fuori: F, I, O, C, C, O; ma la stessa cattiva stella che aveva turbato la loro tranquillità sino a quel momento, aveva stabilito che fosse impossibile trovare una Z in tutto il testamento. Questo era davvero una grossa difficoltà. Ma il solito fratello, al quale tra poco daremo un nome, adesso che aveva le mani in pasta, seppe cavarsela nel migliore dei modi, e dimostrò con appropriate argomentazioni che la Z era una lettera moderna illegittima e sconosciuta alle epoche più colte, inoltre introvabile in qualsiasi antico manoscritto. Allo stesso modo “Caleandae”, spesso in Q. V. C. (* Quibusdam veteribus codicibus; cioè negli antichi manoscritti – nel testo orig. Le lettere che i tre fratelli cercano nel testamento sono quelle di ‘shoulder-knots’, e la proposta è di scrivere ‘knot’/nodo con una “c” come “calendae”) era stata scritta con una K, ma del tutto erroneamente, perché nelle migliori copie era sempre riportata con una C. Lo stesso per la Z, sempre riportata come una T. E per tanto era un errore pacchiano adottare nella loro lingua l’ortografia di GuarniTione con la Z; ma da ora in poi egli si sarebbe dato da fare perché fosse scritta sempre con la T. Davanti a queste evidenze, tutte le difficoltà ulteriori svanirono e apparve chiaro che le guarnizioni di fiocchi erano concesse “jure paterno”, e i nostri gentiluomini poterono pavoneggiarsi con i fiocchi più vistosi che c’erano in circolazione.
Ma l’umana felicità ha breve durata, come le mode umane dalle quali a quell’epoca dipendeva proprio ogni felicità. Le guarnizioni di fiocchi avevano fatto il loro tempo e dobbiamo immaginarle in questo momento in fase di declino, perché era appena arrivato da Parigi un nobile signore, il quale aveva il vestito guarnito con non meno di cinquanta metri di galloni dorati, secondo la moda in voga a corte in quel mese.
Nel giro di due giorni tutti apparvero in pubblico avvoltolati e imprigionati nei galloni d’oro (* non so se, con questa espressione, l’autore intenda alludere a una nuova moda, oppure l’abbia usata solo per poterci descrivere nuovi metodi di forzare e pervertire le Scritture); e se qualcuno avesse osato uscir di casa senza il suo bell’ornamento di galloni d’oro, il suo aspetto sarebbe stato senza considerato scandaloso ed una pessima accoglienza gli sarebbe stata riservata da parte delle signore. In una situazione tanto grave, cosa potevano fare i nostri tre eroi? Avevano già forzato un po’ l’interpretazione del testamento riguardo alla questione delle guarnizioni di fiocchi; riccorendo ancora una volta ad esso non ci avrebbero trovato altro che un “altum silentium”.
Quella delle guarnizione di fiocchi era stata una interpretazione libera, incerta, circostanziale, ma questa dei galloni d’oro si profilava come una alternazione troppo lampante del senso originale, senza avere nemmeno una giustificazione migliore, infatti sembrava “aliquo modo essentiae adhaerere”, e per tanto richiedeva una chiara disposizione in materia.
Ma successe che il fratello erudito summenzionato avesse appena finito a leggere la “Aristotelis Dialetica”, e particolarmente quel magnifico paragrafo “De Interpretazione”, il quale ha la prerogativa di insegnare ai lettori a cavar fuori da qualsiasi cosa un significato purchessia fuorché quello giusto; come i commentatori della “Rivelazione” che esaminano i testi dei profeti senza capirci dentro una sola parola. Cosi disse dunque il fratello erudito: “Fratelli, sapete bene (* il prossimo argomento sul quale si esercita l’arguzia del nostro autore concerne le glosse e le interpretazioni delle Scritture, tra le quali ce ne sono molte completamente assurde eppure accettate nei libri più autorevoli della chiesa di Roma) che vi sono due specie di testamenti, quelli nuncupativi (* col che si intende la tradizione orale alla quale è attribuita altrettanta validità che alle Scritture, se non maggiore) e quelli scritti; per quanto concerne quello scritto, eccolo qua, e in esso non vi è né alcuna disposizione né alcun accenno a proposito dei galloni d’oro – ‘conceditur’; tuttavia: ‘si idem affirmerum de nuncupatorio, negatur’. Infatti, se vi ricordate bene, fratelli miei, una volta, quando eravamo piccoli, sentimmo un servo di nostro padre dire che aveva sentito nostro padre dire che avrebbe dato ai propri figli il consiglio di coprirsi gli abiti di galloni dorati, appena avessero trovato i soldi per farlo”. “Perdio! E’ verissimo!” gridò il secondo fratello. “Me ne ricordo perfettamente” disse il terzo. E cosi, senza porsi altri problemi, essi acquistarono i galloni più vistosi della zona e se ne andarono a spasso vestiti da gran signori.
Poco tempo dopo vennero di moda le fodere d’una bella qualità di raso color fiamma (* Questo è il purgatorio, del quale l’autore parlerà più particolarmente in seguito; ma qui serve solo a dimostrare come fu distorto il senso delle Scritture per poter provare l’esistenza del purgatorio, attribuendo un’eguale autorità al Canone Apocrifico, chiamato qui “codicillo aggiunto”. E probabile che l’autore, in ciascuno dei mutamenti subiti dalle giubbe dei tre fratelli, alluda a qualche particolare mistificazione della chiesa di Roma, per quanto non sia facile, credo, chiarirle tutte; ma con questo raso color fiamma si intende evidentemente il purgatorio; con i galloni d’oro si possono forse intendere gli ornamenti grandiosi e il vasellame d’oro delle chiese; le guarnizioni di fiocchi e le frange d’oro non sono molto chiare, almeno per me; ma per quanto concerne le figurine indiane di uomini, donne e bambini, evidentemente vi è un riferimento ai quadri delle chiese papiste, dove appare Dio come un vecchio, la vergine Maria, e il Salvatore come un bambino); il venditore di stoffe ne portò subito un campione ai nostri tre gentiluomini: “Le loro signorie guardino se è di loro gradimento” disse “ieri sera Lord C. e Sir J. W. hanno comperato fodere di questo stesso tessuto e me ne rimane ancora pochissimo; domattina alle dieci sono sicuro che non ne avrò più neanche abbastanza per fare un portaspilli a mia moglie”.
Di fronte a ciò, essi si misero di nuovo a esaminare attentamente il testamento; ma questo caso doveva essere risolto in base a qualche indicazione sicura, perché gli scrittori più ortodossi consideravano la fodera la vera essenza dell’abito. Dopo lunghe ricerche essi non trovarono nulla che si riferisse alle fodere in tutto il testamento paterno, tranne forse un breve accenno al fatto che dovevano stare attenti alle fiamme e spegnere le candele prima di andare a dormire (* cioè preoccuparsi dell’inferno; e per far ciò, domare e smorzare le proprie libidini).

Sebbene questo punto facesse al caso loro e li aiutasse a convincersi della fondatezza delle loro credenze, tuttavia non poteva proprio passare per una disposizione in materia; cosi decisero di tralasciare ogni ulteriore scrupolo che potesse essere occasione di futuri scandali, e il più erudito dei tre fratelli disse: “Ricordo di aver letto le disposizioni d’un codicillo annesso al testamento, che in realtà faceva parte del testamento e aveva la stessa autorità del resto delle disposizioni. Ora ho esaminato il testamento che è qui davanti a noi, e non posso ritenerlo completo proprio per la mancanza di quel codicillo. Pertanto gliene aggiungo uno al posto giusto, appropriatissimo al caso. L’ho conservato io per qualche tempo, ma fu scritto da un guardiano dei cani di nostro nonno (* credo che questo episodio si riferisca a quel passaggio dall’”Apocrypha”, nel quale si fa menzione di Tobit e il suo cane), e in esso si parla a lungo, è proprio una bella fortuna, del raso color fiamma”. Gli altri due approvarono seduta stante il progetto, e il vecchio rotolo di pergamena fu attaccato con tutte le regole al testo originale, in forma d’un codicillo annesso; poi comperarono il raso e se lo misero subito addosso.
L’inverno successivo, un attore che era pagato apposta dalla corporazione dei frangiai per fare questo, recitò la sua parte in una nuova commedia, tutto ricoperto da frange argentate (* questo si riferisce certamente all’ulteriore introduzione di sfarzo negli abiti e negli ornamenti della Chiesa), diffondendo cosi la moda delle frange. Allora i tre fratelli corsero a consultare le disposizioni paterne e rimasero sbalorditi leggendo queste parole:
“Item, io prescrivo e ordino ai miei tre figli di non portare frange argentate di nessuna specie sopra le loro dette giubbe”, eccetera, eccetera, con una pena, in caso di trasgressione, che sarebbe troppo lungo riferire.
Tuttavia, dopo un momento di pausa, il fratello di cui abbiamo già tanto parlato e che ci è noto per la sua erudizione e per la sua abilità di critico, disse di aver letto un autore, che doveva restare anonimo nel quale la parola che nel testo è usata per significare “frangia” significa anche “scopa”; per cui, senz’altro l’interpretazione del passo sopraccitato doveva essere dello stesso tipo. Ma il secondo dei fratelli non era d’accordo, perché diceva, in tutta umiltà, di non riuscire a immaginare come quell’epiteto “argentato”, potesse essere applicato sensatamente, in un linguaggio appropriato, a una scopa; ma gli fu risposto che quell’epiteto bisognava comprenderlo in un senso mitologico e allegorico. “Però” obbiettò di nuovo il secondo fratello “non si capisce perché nostro padre dovesse proibirci di portare delle scope sulle giubbe. Mi sembra una preoccupazione anormale e non adeguata al caso”. Ma il primo fratello tagliò corto, dicendo che stava parlando irriverentemente d’un mistero; il quale certamente era molto interessante e utile, ma non si doveva curiosarci dentro troppo né discuterlo con gli argomenti della ragione.
Insomma, l’autorità paterna non aveva più molta presa su di loro, e la trovata servì come una dispensa per mettersi addosso un mucchio enorme di frange argentate.
Dopo qualche tempo tornò di moda una vecchia abitudine di portare dei ricami raffiguranti donne, uomini e bambini indiani (*le immagini dei santi, della Vergine, del nostro Salvatore bambino. Ibidem: Le immagini della chiesa di Roma danno qui all’autore la possibilità di sbizzarrirsi. I fratelli ricordano benissimo, etc, etc. L’allegoria è molto chiara). I tre fratelli ricordavano benissimo come il padre avesse sempre aborrito questa moda; egli aveva persino redatto numerosi paragrafi in proposito, tutti pieni del suo massimo disprezzo per questa usanza, e nei quali scagliava un’eterna maledizione contro quello dei suoi figli che si fosse addobbato con quei ricami. Ciononostante pochi giorni dopo essi comparvero in pubblico azzimati secondo la nuova moda, più di chiunque altro in città. Avevano risolto il problema considerando come quelle figure ricamate fossero del tutto diverse dalle altre che si portavano una volta e di cui si parlava nel testamento. Inoltre essi non se le mettevano addosso nel modo proibito dal padre, ma soltanto come adeguamento a una lodevole abitudine largamente diffusa dappertutto. Infine il rigore di simili clausole doveva essere un po’ smussato, e le clausole stesse interpretate con una certa larghezza, ‘cum grano salis’.
Ma a quell’epoca la moda cambiava in continuazione, sicché il più erudito dei tre fratelli si stancò di cercare sempre nuove scappatoie, e di dover risolvere perpetue contraddizioni; pertanto, decisi com’erano ad adeguarsi a tutti i costi alle nuove mode che nascevano, essi decisero di chiudere il testamento paterno in una cassa di ferro (* i papisti proibirono ai fedeli di leggere le Scritture in lingua volgare; per questo Peter rinchiude il testamento di suo padre in una cassa, portata dalla Grecia o dall’Italia. Si menzionano questi due paesi perché il Nuovo Testamento è scritto in greco, mentre il latino volgare – in cui è scritto il testo ufficiale della Bibbia adottato dalla chiesa di Roma – è l’antica lingua parlata in Italia), di fabbricazione greca o italiana, non ricordo bene, e di non darsi più il pensiero di starlo a esaminare tutte le volte, ma semmai di riferirsi alla sua autorità ogni qualvolta lo ritenessero utile.
Dopo qualche tempo venne di moda mettersi addosso un’infinità di merletti, per lo più attaccati con filo d’argento; allora il fratello erudito dichiarò ‘ex cathedra’ (* i papi, con i loro precetti e le loro bolle, hanno sanzionato la validità di molti lucrosi precetti, che sono adesso accolti dalla chiesa di Roma, benché non se ne parli nelle Scritture e benché del tutto estranei alla chiesa primitiva. Perciò Peter dichiara ‘ex cathedra’ che i merletti erano senz’altro ‘jure paterno’; e cosi i fratelli si coprono di merletti) che i merletti erano completamente ‘jure paterno’, come era facile ricordare. A dir il vero la moda prescriveva qualcosa di più di quanto fosse detto esplicitamente nel testamento; tuttavia, loro, in quanto eredi universali, avevano il potere di stabilire e di aggiungere certe clausole per il bene di tutti, anche se non proprio deducibili ‘totidem verbis’ dalla lettura del testamento; infatti se cosi non fosse, ‘multa absurda sequerentur’. E questo fu accettato come legge canonica, e per tanto la domenica successiva essi andarono a messa tutti ricoperti di merletti.
Il fratello erudito, di cui abbiamo già a lungo parlato, fu riconosciuta come la persona più colta dei dintorni, tanto più che in passato aveva viaggiato il mondo. Sicché ci fu un nobile signore (* questo nobile signore è Costantino il Grande, dal quale i papi pretendono di aver ottenuto la donazione del patrimonio di S. Pietro; donazione che però non poterono mai mostrare. Ibidem: i vescovi di Roma godettero di privilegi particolari nella capitale per un favore accordato inizialmente dagli imperatori; però poi li sbatterono fuori di Roma ed escogitarono l’idea di una donazione da parte di Costantino il Grande, per meglio giustificare il loro operato. Cosi Peter, dopo aver girato il mondo, ottiene da un nobile signore il permesso di etc. etc) che gli fece l’onore di accoglierlo in casa come precettore dei propri figli. Qualche tempo dopo quel nobile signore morì, e il fratello erudito, per la lunga esperienza acquisita sul testamento paterno, trovò il modo di attuare un trapasso di proprietà della casa, in favore di sé e dei propri eredi; poi prese possesso dell’abitazione, cacciò via i figli del suo padrone e al loro posto accolse i propri fratelli.

(fine del secondo capitolo)
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