Nell’ambito del fenomeno megalitico hanno assunto particolare rilievo le strutture templari e quelle ipogeiche delle isole dell’arcipelago maltese ascrivibili al Neolitico (4100 a . C. – 2500 a . C., date calibrate), che costituiscono, tuttora, un unicum sia per la tipologia della struttura architettonica, sia per l’iconografia artistica: quest’ultima consta non solo di motivi ornamentali analoghi a quelli delle tombe megalitiche francesi ed irlandesi, ma anche di una statuaria destinata a rappresentare eminentemente la figura della Dea madre che giocava un ruolo di preminente importanza nella civiltà agraria del Neolitico maltese. È, tuttavia, sorprendente la concentrazione di strutture megalitiche nell’arcipelago maltese dove sono venuti alla luce trenta complessi templari e due strutture ipogeiche; quest’ultime erano destinate ad accogliere sepolture collettive.
Con ogni probabilità, lo straordinario sviluppo del megalitismo era da scrivere, ad un tempo, all’abilità tecnica degli abitanti ed alla presenza, in loco, di materiali di facile lavorazione quali il calcare corallino e il calcare a globigerine, di cui i costruttori potevano avvalersi per l’edificazione dei monumenti. È dato notare che, nel suddetto arcipelago, era diffuso l’uso di scavare tombe nella roccia che, nelle fasi più arcaiche della civiltà neolitica, presentavano una forma semplicissima, ma nelle fasi successive assunsero un aspetto sepolcrale complesso, caratterizzato da elementi tipici dell’architettura templare, data la stretta connessione del culto della fertilità con quello dei morti; ne costituisce un’ulteriore conferma il fatto che le strutture ipogeiche di Hal Saflieni (Malta) e di Brochtorff (Gozo) fossero ubicate in prossimità dei templi.
All’interno di quest’ultimi furono rinvenuti oggetti che costituirono una testimonianza eloquente del culto che vi si svolgeva e che era destinato alla propiziazione della Dea Madre preposta alla fertilità agraria; fra le statuette femminili che presentavano una accentuazione, talora esagerat, dei tratti connessi con la fecondità (seno, glutei), è da menzionare un esemplare del complesso di Tarxien, poiché si tratta di una statua di notevoli dimensioni che raggiunge l’altezza di 3 metri .
Degna di menzione risulta la struttura “labirintica" di Hal Saflieni che, benché presenti analogie con il contemporaneo circolo Brochtorff dell’isola di Gozo, sembra costituire ancora un unicum, per la sua estensione (copre una superficie di circa 500 metri quadrati e raggiunge una profondità di 11 metri ), per la complessità dell’architettura e per i reperti in essa rinvenuti.
L’ipogeo di Hal Saflieni fu scavato nel tenero calcare a globigerine per mezzo di cunei e bastoni da scavo e le sue pareti erano state levigate con lame e raschiatoi in selce, la suddetta struttura, ascrivibile al Neolitico fu elaborata nell’arco di oltre un millennio, cosicché è lecito pensare che la destinazione dei tre piani di cui era formata, potesse mutare nel tempo. Il complesso constava di 33 ambienti che espletavano una funzione funeraria e cultuale; quest’ultima si svolgeva soprattutto nei locali del secondo livello, le cui stanze presentavano una tipologia architettonica analoga a quella dei templi in superficie. Gli ambienti del primo piano, databili al Neolitico Medio I-II (4100 a . C. – 3600 a . C.), sono venuti completamente alla luce in questi ultimi tempi, in seguito alla demolizione delle sovrastanti abitazioni dell’ipogeo. Infatti, la scoperta del monumento (1902) avvenne in circostanze casuali da parte di operai che, impegnati nell’edificazione di alcune case, scavarono un pozzo per l’acqua piovana e individuarono i locali del primo piano dell’ipogeo, che utilizzarono come luogo di discarica, arrecando danni ingentissimi. Al termine dei lavori, quando le case erano state costruite, il direttore del Museo Archeologico fu informato dell’esistenza del sotterraneo complesso cultuale-funerario del neolitico. Quest’ultimo presentava, nei tre livelli, una graduale evoluzione architettonica.
La forma del trilite d’ingresso, unitamente all’aspetto delle pareti delle camere che non erano state levigate e che mostrano ancora abbondanti tracce di ocra rossa (l’ocra rossa era il simbolo del sangue, della vita e della rinascita e ricollegabile al culto dei morti), attestava che il primo piano era da ascrivere alla fase più arcaica. Quest’ultimo, data la presenza di depositi di sepoltura, ossa e frammenti ceramici, sembrava spelare la preminente funzione sepolcrale alla quale era connessa quella cultuale. Pare innegabile che fosse tributato un culto alla Dea Madre, ne costituisce una testimonianza eloquente il reperimento di una statuetta priva della testa e di due testine che, con ogni probabilità, venivano inserite sul collo delle statuette acefale (rinvenute anche nei templi maltesi) a primavera, quando il principio vitale (testa) avrebbe ricomposto l’integrità della Dea preposta a favorire il sorgere della vegetazione.
L’aspetto cultuale, presente soltanto in forma embrionale nel primo piano, si evolse fino ad acquistare tratti più nitidi e meglio definiti nel secondo; l’architettura delle camere che riproduceva la struttura megalitica dei templi in superficie unitamente ai reperti archeologici dalle evidenti implicazioni religiose, denotava la funzione di “tempio sotterraneo” espletata dal secondo piano.
Ascrivibili al Neolitico Tardo I – III (fasi Gigantija – 3666 a . C. – 3300/3000 a. C. e Saflieni – Tarxien 3300/3000 a. C. – 2500 a . C.), periodo in cui furono eretti, nell’arcipelago maltese, imponenti templi megalitici in onore della Dea Madre, i grandi ambienti del secondo livello dell’ipogeo – le cui pareti e i soffitti mostravano, tra l’altro, raffinate decorazioni in ocra rossa – rappresentavano perfettamente i templi in superficie data la presenza, inoltre,di un “sancta sanctorum”.
In quest’ultimo, con ogni probabilità, doveva svolgersi il rito della ierogamia che implicava l’unione sacra tra il sacerdote e la sacerdotessa, simulacri, rispettivamente, del dio e della dea; tale rito, destinato a garantire la continuità dei cicli agrari e correlato con il culto della dea Madre, pareva attestato dal reperimento di statuette femminili nude e di un oggetto che rappresentava il simbolo fallico (tali reperti vennero alla luce anche nelle strutture templari dell’arcipelago maltese).
La funzione sepolcrale espletata da questo piano era da ascrivere alla fase finale della sua frequentazione; d’altra parte, la mancanza di strutture architettoniche destinate a separare gli spazi riservati al culto da quelli riservati alla deposizione dei defunti, poteva escludere l’uso contemporaneo delle due funzioni, piochè l’aria, a diversi metri di profondità, sarebbe stata irrespirabile per chi dovesse svolgere le pratiche cultuali.
Al Neolitico Tardo III (3300/3000 a. C. – 2500 a . C.) erano da ascrivere gli ambienti del terzo piano che non presentavano elementi dell’architettura megalitica templare. Tuttavia, pareva ravvisarsi una primaria funzione cultuale anche in questi locali, data la presenza, nelle cellette più riposte del “labirinto”, di un “bacino sacro” destinato ad accogliere le offerte per la Dea Madre ; inoltre, i dischi in ocra rossa dipinti sulle pareti, forse il simbolo del sole, erano ricollegabili al culto della fertilità.
Il carattere sacrale pareva ulteriormente convalidato da una prova iniziatica che avrebbero dovuto superare i frequentatori dell’ipogeo, prova che implicava un pericolosissimo salto per chi dovesse raggiungere il terzo piano: infatti, vi era un considerevole dislivello dovuto all’omissione volontaria dell’ultimo gradino nella scala che collegava il secondo al terzo piano.La funzione sepolcrale era da attribuire, anche nel livello inferiore del monumento, alla fase finale della sua frequentazione.
1 commento:
sono stata a luglio a vedere Gigantija e l'Ipogeo, sono rimasta molto colpita dalla bellezza di queste costruzioni, edificate o scavate con i mezzi del neolitico...non ho preso la copia della statuina coricata perché mi sembrava troppo finta, ma ora mew ne sono pentita...
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