Adagiato sulle pendici del monte Cronio, nel cuore dell’Elide, il santuario di Olimpia sorge in un luogo di intensa bellezza – che i Greci chiamavano Altis (“bosco sacro”), in cui è possibile cogliere – tra le rovine dei suoi monumenti dedicati agli dèi – quel profondo rapporto che nell’antichità intercorreva fra la natura, il divino e l’umano.
Di origini molto antiche, secondo la tradizione il santuario apparteneva al regno miceneo della città di Pisa, retto dal re Enomao, leggendario fondatore dei giochi in onore di Zeus. Enomao venne sfidato dal lidio Pelope nella corsa dei carri; il vincitore avrebbe ricevuto in sposa, come premio, la figlia del re Ippodamia. La possibilità che Enomao potesse vincere era alquanto remota, poiché il re gareggiava con i cavalli donatigli dal padre Ares, il dio della guerra.
Una versione del mito narra di come Pelope avrebbe corrotto l’auriga di Enomao, Mirtilo, il quale avrebbe sostituito con perni di cera quelli in bronzo delle ruote del carro del re. Fu così che Enomao non solo perse la gara, ma morì travolto dai propri cavalli. Pelope, divenuto il re di Pisa, estese il dominio a tutta la regione, che da lui prese così nome di Peloponneso (l’”isola di Pelope”). Un’altra tradizione attribuisce a Eracle, eroe dorico, l’introduzione dei giochi olimpici. In ogni caso le entrambe le leggende sono ben presenti nell’immaginario figurativo e monumentale del santuario, confluendo nel programma della decorazione scultorea del grande tempio di Zeus di età classica.
L’ingresso del santuario arcaico (VII secolo a. C.) è segnato da una ricchissima presenza di ex voto in bronzo e in terracotta (statuette, vasi, tripodi splendidamente decorati) e dall’istituzione di una periodicità quadriennale per i giochi, iniziati nel 776 a . C., che rappresenterà l’unico criterio riconosciuto da tutti i Greci per calcolare il tempo. È questo il momento in cui le aristocrazie delle regione – e sempre più nel corso dei secoli dell’intero mondo greco e coloniale – dedicano i più splendidi oggetti della produzione arcaica (in particolare bronzei) per celebrare le vittorie ottenute nelle competizioni panelleniche. I giochi divennero così un preciso veicolo di propaganda, vera e propria vetrina per affermare il proprio prestigio nell’orizzonte politico mediterraneo.
Bisognerà in ogni caso attendere il VI secolo per assistere alla monumentalizzazione del santuario. Oltre alla realizzazione della prima fase dello stadio, nel 600 circa a. C. risale la costruzione del più antico edificio templare, l’Heraion, dotato di colonne doriche lingee poggianti su uno zoccolo in pietra, con l’alzato ancora in mattoni crudi. Il vetusto edificio continuò per secoli a essere utilizzato come luogo in cui conservare doni votivi, come la celeberrima “arca di Cipselo”, che lo scrittore Pausania (II secolo) ci descrive come preziosissima cassa in legno, oro e avorio, decorata a sbalzo con scene di complessi cicli mitologici e dedicata dal tiranno di Corinto Cipselo.
Nella cella del tempio si potevano ammirare numerose statue di divinità, oltre alle immagini di culto raffiguranti Zeus e la moglie Era, seduta, per la quale veniva tessuta una sontuosa veste ogni cinque anni da ben sedici donne.
Un eccezionale ritrovamento archeologico avvenuto all’interno del tempio è la statua marmorea di Ermes, con in braccio Dioniso fanciullo, rinvenuta nel punto in cui Pausania l’aveva vista ( e che attribuisce allo scultore Prassitele).
Nel corso del VI secolo, oltre alla costruzione dello stadio, assistiamo al nascere di una serie impressionante di edifici sacri, i “thesauròi” dedicati dalle diverse “poleis” del mondo greco. Questi sorgevano su una terrazza e, tra gli altri, spiccavano quelli delle ricche colonie del mondo greco d’Occidente (Gela, Metaponto, Sibari, Selinunte, Megera Iblea, Siracusa).
L’altro grande momento che caratterizza l’attività edilizia del santuario corrispose al periodo successivo alla vittoria dei Greci sui Persiani, che ebbe come conseguenza una formidabile concentrazione di dediche e di monumenti votivi, realizzati nel segno della celebrazione della gloria delle “poleis” greche. Alleata ad Atene, di cui adotta l’ordinamento democratico, l’Elide raggiunge in questo momento la supremazia politica nella regione, la cui celebrazione venne affidata alla costruzione del tempio di Zeus (parte I e parte II) in stile dorico, iniziato nel 472 e terminato nel 430 a . C. Di straordinario interesse si rivela la decorazione architettonica dell’edificio, conservata in ottimo stato nel museo locale, mentre la statua di culto è oggi perduta.
La realizzazione del simulacro di culto si deve a Fidia, i resti della cui officina sono ampiamente conservati nei presi del tempio. Si trattava – come ci narra Pausania – di un colosso criselefantino (in oro e avorio) alto quasi 12 metri , che rappresentava il padre degli dèi seduto su un trono riccamente decorato da scene mitologiche, con una Nike nella mano destra e uno scettro nella sinistra.
Fra i più grandi capolavori dello stile severo – le sculture frontali e le metope che rappresentano le dodici fatiche di Eracle – furono realizzate negli anni 470 – 460 a . C. da un maestro a noi ignoto.
Il frontone principale, quello orientale, raffigura il momento che precede la corsa che avrebbe deciso i destini, umani e insieme politici, di Olimpia: al centro domina la scena Zeus, colui che può decidere l’esito della competizione, le sorti stesse del santuario, la vita intera degli uomini. Alla sua destra, sono il vecchio re Enomao, barbato, e la moglie Sterpe, in atteggiamento angosciato, seguiti da un’ancella in ginocchio, da due indovini e dalla personificazione di uno dei fiumi che bagnano il santuario, il Cladeo. Ma Zeus volgeva il capo (oggi perduto) dalla parte opposta, a sinistra, indicando il vincitore: Pelope, che ha accanto la futura moglie Ippodamia (con il velo nuziale), poi la quadriga con due inservienti, un indovino, la personificazione dell’altro fiume di Olimpia, l’Alfeo.
Il frontone occidentale narar il tema delle nozze di Piritoo, re del popolo dei Lapiti, durante le quali i Centauri, ubriachi, tentano di rapire le donne. Figura centrale è Apollo (ancora una volta una divinità che regge le sorti dello scontro; favorevole a Piritoo che, aiutato dall’amico Teseo, riuscirà a scacciare i Centauri dal banchetto). In questa scena si rappresenta la vittoria del mondo civile, della religione olimpica, della ragione e della legge sul mondo ferino e barbarico impersonato dai Centauri, figure a metà strada fra i uomini e animali. Più che trasparente si rivela dunque il messaggio politico alla base della realizzazione di questi straordinari prodotti dell’arte greca.
Il santuario di Olimpia conserva i resti di altri numerosi e importanti edifici. Dopo le ultime realizzazioni del V secolo a. C., gli anni seguenti videro il rifacimento del Pelòpion, recinto poligonale identificabile con l’”heròon”, la tomba di Pelope erotizzato, e l’edificazione di alcune “stoài”,
del Bouleutèrion,
di un gigantesco albergo per gli ospiti del santuario (detto Leonidàion),
del Metròon (il tempio dedicato a Rea, la madre degli dèi)
e del Philippèion, l’heròon dedicato alla dinastia macedone, Filippo II (dal 338 a . C. nuova padrona della Grecia).
In età ellenistica sorsero una grande palestra e un ginnasio, mentre le testimonianze di età romana si mostrano di grandissimo rilievo. Oltre a cospicui interventi di restauri degli edifici più antichi (il Metròon viene adattato a tempio del culto imperiale), si moltiplicano le residenze private e le terme. In età antonina viene eretto uno spettacolare ninfeo sulla terrazza dei “thesaurò”: il Ninfeo di Erode Attico, voluto da uno dei più celebri e ricchi uomini politici della Grecia imperiale.
Dopo aver retto all’invasione degli Eruli, nel 267 d. C., il santuario subirà i danni di un terremoto, per venire definitivamente chiuso dall’editto di Teodosio che nel 392 d. C., proibirà la celebrazione dei giochi olimpici, che si terranno per l’ultima volta l’anno seguente.
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