Il termine “megalito”, coniato da Algernon Herbert nel 1849, deriva dal greco “mégas” (grande) e “lithos” (pietra) e si riferisce alle straordinarie strutture diffuse in varie regioni del mondo; sulla scorta del gran numero di tali manufatti attestati sul territorio, pare certo che il “megalitismo” si fosse sviluppato eminentemente in Francia attorno al 5000 a . C. circa, da dove si sarebbe irradiato in Portogallo (3900 a . C.), in Spagna (3600 a . C.) e nelle isole britanniche.
Non è dato sapere se il fenomeno megalitico abbia avuto un’origine autoctona nell’arcipelago maltese (4100 a . C. – 2500 a . C.) dove, accanto alle strutture ipogeiche, comparvero quelle templari, le quali costituiscono un “unicum” poiché sono presenti soltanto in queste piccole isole del Mediterraneo. Il ruolo giocato dagli imponenti complessi megalitici è più facile comprensibile se si considera la valenza simbolica assunta dalla pietra in epoca preistorica, allorché i materiali litici, difficilmente deteriorabili, costituirono un simbolo di eternità e, spesso, di fecondità. Le principali strutture megalitiche sono i “menhir”, gli allineamenti, i “cromlech” e i “dolmen” diffusi prevalentemente in Francia e databili per lo più al Neolitico, i menhir si riscontrano in diverse regioni dell’Europa occidentale; l’etimologia del termine deriva dal bretone “men” (pietra) e “hir” (luogo).
Si tratta di pietre infisse nel terreno, le cui dimensioni variano da uno a 12 metri di altezza; costituisce un’eccezione l’imponente menhir di Locmariaquer (Morbihan) in Francia, alto in origine 23 metri e mezzo, pesante circa 300 tonnellate, che attualmente giace al suolo spezzato in quattro.
È difficile comprendere la reale funzione dei menhir. Alcuni erano forse simboli fallici poiché, penetrando nelle viscere della Madre Terra, esprimevano l’azione fecondatrice; in altri casi, la loro presenza in prossimità di monumenti sepolcrali oppure di complessi cultuali indicava verosimilmente la sacralità del luogo.
Il fatto che su alcuni monoliti siano scolpite figure antropomorfe lascia pensare che tali menhir (p, meglio, statue – menhir) fossero ritenuti la sede incorruttibile dell’anima del defunto e ne garantissero l’immortalità. I menhir disposti in linee parallele costituiscono i cosiddetti “allineamenti”: l’esempio più suggestivo è quello di Carnai (in Bretagna, Francia), formato in origine da circa 3000 menhir che si snodano per un’estensione di 3 chilometri su 10 file parallele. Non è dato sapere quale fosse la destinazione di tali allineamenti, benché gli studiosi abbiano proposto diverse ipotesi: alcuni hanno individuato nel complesso una funzione di osservatorio astronomico, altri una connessione con il culto del sole (elemento generatore di ogni forma di vita) e quello dei morti, avallato dalla presenza di dolmen e tombe a camera nelle vicinanze.
La disposizione dei menhir in forma di cerchi o semicerchi costituisce i “cromlech”: l’etimologia del termine è ancora una volta riconducibile al bretone “crom” (cerchio) e “lech” (luogo). Il loro diametro variava notevolmente: i più piccoli, gli esemplari sardi di Li Muri-Arzachena, misuravano dai 5 agli 8 metri di diametro, mentre il più grande, quello di Avebury, in Inghilterra, aveva un diametro di 427 metri . La funzione dei circoli megalitici, per lo più concentrati nelle isole britanniche, era di tipo funerario e cultuale, sebbene alcuni di essi fossero inequivocabilmente degli osservatori astronomici.
I “dolmen”, termine che deriva dalle parole bretoni “dol” (tavola) e “men” (pietra), sono infine monumenti sepolcrali costituiti da una o più lastre orizzontali poggianti su pietre verticali (ortostati). Talora queste strutture erano caratterizzate da una camera preceduta da un corridoio di ingresso; altre erano coperte da un tumulo di terra. Proprio questi due tipi costruttivi costituiscono le più cospicue inumazioni neolitiche e rappresentano anzi le radici dello sviluppo architettonico dei complessi monumenti funerari diffusi soprattutto in Francia (Bretagna) e in Irlanda.
Nell’Europa occidentale non era diffuso l’uso, comune in altre zone, di approntare le sepolture utilizzando anfratti naturali: tuttavia, il fatto che la maggior parte delle tombe megalitiche erette in superficie fosse coperta da enormi tumuli di terra, induce a ipotizzare che gli uomini del Neolitico, in Europa, cercassero di riprodurre le caratteristiche degli ambienti ipogei, atti a rappresentare quel modo sotterraneo che ben si addiceva ad accogliere i defunti. Questo tipo di sepolture – note come “tombe a camera” – è suddiviso tipologicamente in “tombe a galleria” e in “tombe a corridoio”; mentre le prime erano formate da un ambiente lungo e stretto coperto da lastre di pietra, nel quale erano deposti i defunti, le seconde erano costituite da un corridoio megalitico con tetto di lastre, che immetteva in una grande camera sepolcrale coperta da un grosso lastrone oppure da una “thòlos”, ossia con una falsa cupola formata disponendo le pietre in cerchi via via aggettanti.
Quest’ultimo, peculiare metodo costruttivo si riscontra in tutto bacino mediterraneo, con invariata continuità, fino all’epoca della civiltà etrusca. Le suddette tombe megalitiche erano prevalentemente collettive ed erano caratterizzate da ricchissimi corredi funebri, costituiti da oggetti domestici, agricoli, ornamentali; pare che i defunti fossero provvisti di tutto ciò che sarebbe stato loro utile per affrontare il cammino fino al mondo ultraterreno. Talvolta, le pareti delle tombe erano ornate con motivi incisi raffiguranti per lo più la Dea madre, massima divinità protettrice; quest’ultima era ritratta anche in statuette dalle forme assai stilizzate. Tale presenza conferma la connessione esistente tra il culto dei morti e quello della fertilità, tipica del Neolitico; probabilmente si riteneva che i defunti, deposti nel grembo della terra, acquisissero le energie vitali indispensabili al rinnovamento dei cicli stagionali.
Fonte: Meraviglie dell'antichità - Dimore eterne
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