venerdì 2 settembre 2011

La Ca’ d’Oro – un traforo sull’acqua


Percorrendo il Canal Grande alla fine del Quattrocento, l’ambasciatore del re di Francia Philippe de Commynes era stupito dalla quantità di “antiche case, tutte dipinte”. Di tutta quella città romanica e gotica in technicolor, oggi quasi scomparsa, lo colpì il fasto di palazzo Contarini presso Santa Sofia, detto la “Ca’ d’Oro” per le ricche dorature apposte ai marmi preziosi. Per i veneziani l’unico palazzo era infatti quello Ducale, mentre essi chiamavano case, o ca’, anche le dimore private più magnificenti, come questa.

La Ca’ d’Oro è la summa trionfale dello stile ornamentale tipico dell’ultima fase del gotico, detto anche gotico fiorito per i motivi vegetali spesso posti a coronare i prospetti. In esso, al pari di altre dimore patrizie dello stesso periodo, i vari piani si sviluppano attorno a un ampio salone aperto, il “portego”, esteso dal canale al cortile posteriore.

Sui piani nobili il portego è ornato da magnifiche polifore, le serie continue di finestre i cui sinuosi archi imitano quelli di Palazzo Ducale. Incorniciate da fini trafori, esse esibiscono tutta la vocazione ornamentale del tardogotico veneziano, trasformando la facciata in un diaframma leggero, quasi un graticcio orientale, aperto alla luce del canale.

UNA SUPERBA FABBRICA GOTICA – fin dal 1412 Marino Contarini aveva acquistato il terreno per edificare il proprio palazzo, che volle senza eguali in città, decidendo di spendere una vera fortuna per i suoi ornamenti. Lo affidò ai maestri lapicidi locali Giovanni e Bartolomeo Bon, che, coadiuvati dal lombardo Matteo Raverti, lo eressero tra il 1421 e il 1443. L’asimmetria della facciata potrebbe indicare che il progetto originario fosse più ambiziosamente esteso in larghezza. Vi si nota tuttavia la presenza di una cornice duecentesca, posta a separare verticalmente le due metà e a evidenziare lo stacco tra il vuoto delle logge e il pieno delle specchiature marmoree di vari colori.

Essa ricorda forse l’antica presenza di un palazzo romanico degli Zeno, la famiglia della sposa di Marino, inglobato poi nel nuovo edificio. Ad imitazione delle logge di palazzo Ducale, gli archi, trilobati, sono alternati ad aperture quadrilobate, ma la qualità dell’intaglio delle polifore, dovuto ai Bon, raggiunge qui esiti molto più alti: le sinuose cornici sono comuni sia agli archi che ai quadrilobi e trasformano entrambi nelle aperture di un fine traforo.

TRA L’ORO E IL LAPISLAZZULI: LE DECORAZIONI ESTERNE – Dai marmi policromi della facciata sono oggi scomparse tutte le decorazioni, di eccezionale ricchezza, che resero leggendario il palazzo. Possiamo però almeno immaginarle, grazie alle tracce emerse dai restauri e alle accurate note tenute dal Contarini, che nel 1431 le richiese ai pittori Giovanni di Francia e Nicolò di Giovanni.

 I profili delle finestre, lo stemma e le palle ornamentali erano rivestiti di oro zecchino applicato in foglia; sui marmi grigi, tra i fregi, era steso a olio il prezioso blu di lapislazzuli e una vernice a olio ravvivava infine il tono del marmo rosso di Verona. Anche così come si presenta oggi, l’insieme appare elegantissimo e prezioso per le ricche cornici, a scacchi o a cordone, e gli altri ornamenti lapidei.

Non tutti però sono tali. Ad esempio, gli snelli merli cruciformi dell’elaborato coronamento – la cui forma ricorda quella delle corone sul capo delle Virtù poste alla sommità della basilica di San Marco – furono ricavati da blocchi a L, in modo che la loro base arretrata rispetto alla parete potesse contrabilanciare lo spinto di quest’ultimo verso l’esterno.


IL MUSEO NATO DALL’AMORE PER L’ARTE – Per gran parte dell’Ottocento, il palazzo subì numerosi passaggi di proprietà. Divenne anche un dono galante, fato nel 1840 dal barone Alexander Trubetskoy alla ballerina Maria Taglioni, famosa per aver “collezionato” in tal modo diversi palazzi veneziani. In quell’occasione fu oggetto di un invadente restauro da parte di Tommaso Meduna.

Nel 1894 la Ca’ d’Oro venne infine acquistata dal barone Giorgio Franchetti che, prima di esporvi le sue ricche collezioni d’arte rinascimentale e barocca, volle riportarla all’antico splendore. Fianchetti si dedicò con passione ai lunghi restauri, anche personalmente, lavorando assieme agli operai al bellissimo mosaico pavimentale del portego terreno. Fece ricostruire la scala esterna nel cortile posteriore, attorno al quale si sviluppa a forma di L il palazzo e al quale si accede anche tramite il maestoso portale del accesso da terra; vi ricollocò al centro la “vera da pozzo”, scolpito tra il 1427 e 1428 da Bartolomeo Bon nel pregiato marmo rosso di Verona, acquistata sul mercato antiquario.

 Nel 1916, ormai malato, il barone donò il palazzo allo Stato, che nel 1927 ne fece un museo e lo intitolò al suo fondatore. Il successivo restauro di Carlo Scarpa lo rese una delle collezioni d’arte più affascinante della città, con elegantissimi interni, culminanti nella luminosa linearità del portego, sul quale si apre una finta cappella dedicata al San Sebastiano di Montegna.  

3 commenti:

Elena ha detto...

Caio carissima!per me che non sono andata in vacanza è bello sognare con i tuoi post!
Baci baci

cooksappe ha detto...

sembrano posticini niente male! un po' umidi! XE

Unknown ha detto...

Cara Ziamame sono tornata da poco e sono felice di ritrovarti dopo tanto tempo

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