giovedì 20 gennaio 2011

Gerasa, ossia Antiochia sul Chrysorrhoas


La città di Gerasa, nota in età ellenistica anche con il nome di Antiochia sul Chrysorrhoas, fu fondata da Antioco IV Epiphanes (175 – 164 a. C.) sulle rive del fiume Chrysorrhoas, 49 chilometri a nord di Amman, nell’attuale Giordania. Nel I secolo a. C. questo centro di fondazione seleucide venne annesso da Alessandro Ianneo alla Giudea, per poi essere assegnato non molto tempo dopo alla nuova provincia romana di Siria, nell’ambito del riassetto dei territori orientali operato da Pompeo nel 63 a. C. Gerasa raggiunse una grande prosperità economica a partire dalla seconda metà del I secolo d. C., quando divenne un importante centro carovaniero, punto di riferimento di un territorio assai ricco dal punto di vista sia agricolo che minerario. Il periodo di massima espansione della città coincidente con la costruzione degli edifici pubblici più grandiosi, è da collocarsi comunque nel corso del II secolo d. C., in concomitanza con l’annessione alla nuova provincia “Arabia” voluta nel 106 d. C. dall’imperatore Traiano.



Nel III secolo Gerasa ottenne il titolo onorifico di colonia. A partire da questo periodo, tuttavia, la città conobbe una progressiva decadenza economica che ne segnò il declino, se si eccettua una breve parentesi di apparente ripresa all’età giustinianea.
Pur predendo quella floridezza economica che l’aveva contraddistinta nei secoli precedenti, Gerasa divenne un importante centro di trasmissione della cultura e della fede cristiana: basti pensare che in poco più di due secoli, fra il 400 e il 600 d. C., furono costruite nella sola città più di 13 chiese. Con la conquista araba ebbe inizio il lento abbandono del centro, a cui sembra contribuì, nel 746, un terremoto distruttivo.



Durante il periodo di occupazione da parte dei Crociati, nella prima metà del XII secolo, alcuni monumenti della città, compreso il grande tempio di Atremide di cui parleremo a breve, furono tramutati in fortezze. Al pressoché definitivo abbandono del tessuto urbano, ripopolato in parte solo a partire dal 1878 da un gruppo di Circassi, si deve l’ottimo stato di conservazione dei resti archeologici, riportati progressivamente alla luce dalle campagne di scavo (condotte perlopiù da missioni inglesi) che a partire dagli anni ’20 del secolo scorso si susseguirono nel sito.



L’impianto urbano di Gerasa appare suddiviso in due tronconi separati dal letto del fiume Chysorrhoas che la attraversa interamente. La metà orientale, resa praticamente irriconoscibile dalla presenza dell’abitato moderno, corrisponde all’incirca alla zona residenziale e sembra fosse connotata, a causa delle caratteristiche geomorfologiche del sito, da un’urbanistica solo in parte regolare; nella metà occidentale, il nucleo vero e proprio della città, dominata dal gigantesco santuario di Artemide, si concentrava l’area monumentale, con i suoi superbi edifici pubblici.



Come ad Apamea, Palmira, Bosra e in numerose altre città dell’Oriente, anche a Gerasa una grande “platea” (spettacolare via colonnata che attraversa l’impianto cittadino da un campo all’altro) assume la funzione di generatrice principale del tessuto urbano; una vera e propria direttrice lungo la quale si distribuiscono i maggiori monumenti della città. Nel caso di Gerasa la grande via colonnata, che prende avvio a sud da una vasta e singolare piazza ovale, agli incroci con i due decumani principali, due “tetrapyla” di notevoli dimensioni (in particolare quello meridionale).
Questi monumenti costituiti da quattro gruppi di quattro colonne ciascuno, presenti sovente nei quadrivi delle città orientali, rappresentano un’originale soluzione architettonica per regolarizzare la rete viaria e dissimulare a volte le inclinazioni degli assi stradali non sempre perfettamente ortogonali.



Come si è detto, l’edificazione “ex novo” o la ricostruzione, nella forma che ci è giunta, della maggior parte dei monumenti prestigiosi della città è da riferirsi al II secolo d. C. e spesso da attribuirsi alla munificenza dei cittadini benestanti della comunità. All’età adrianea si data, per esempio, l’arco trionfale posto a sud della città, eretto al di fuori del perimetro delle mura in una zona limitrofa al grande ippodromo (244 metri per 51, per una capienza di più di 15 000 posti), per celebrare la visita che l’imperatore fece alla città nel 129 – 130 d. C.



All’interno del tracciato urbano, nel settore meridionale, è posta una prima grande area pubblica, costituita dal foro circolare da cui si dipartiva la grande “platea”, da uno dei due teatri della città (di tipo romano, con 14 file di sedili, quattro ingressi e 3 000 posti) e dal tempio di Zeus, peripetero ottastilo con colonne alte 14 metri, ricostruito nella sua forma definitiva nel 163 d. C.
Se già quest’ultimo rappresenta un notevole esempio di edificio di culto, addirittura spettacolare è il tempio dedicato ad Artemide, dea protettrice della città, che si affaccia sulla via colonnata nel tratto centrale del percorso.


Il santuario costituisce uno dei più grandi complessi religiosi dell’Oriente romano, databile anch’esso al II secolo d. C.; basti pensare che il “temenos” porticato che delimita l’area sacra misura ben 240 metri per 120. attraverso immensi propilei direttamente affiancati sul “cardo” si giungeva a un’imponente scalinata, larga 19 metri, che conduceva al temenos. Nel centro si eregeva il tempio di Artemide, edificio periptero esastilo, con 11 colonne su ciascun lato. L’insieme degli edifici del santuario era completato da un ninfeo, prospiciente anch’esso il cardo.



A nord del santuario di Artemide fu costruito in età antonina un secondo teatro, di fronte al quale, dall’altra parte della via colonnata, era uno dei complessi termali più grandi della città.
Fra le numerose chiese erette in età cristiana (per la maggior parte basiliche del tipo comune, a tre navate) va senza dubbio fatta menzione di quella dei Santi Cosma e Damiano, per il ricco patrimonio musivo che la traddistingue, ancora ottimamente conservato.



Fonte: Meraviglie dell'antichità

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