giovedì 24 marzo 2011

Mamallapuram – Il mistero dei templi in miniatura


L’odierno sito di Mahabalapuram era già noto ai Greci e frequentato dai Romani. Fra il VII e l’VIII secolo d.C. divenne il porto principale della dinastia dei Pallava, Mamallapuram ovvero la “Città di Malla”, titolo di Narasimhavarman I, uno dei principali sovrani pallava che regnò fra il 630 e il 670. La città più vicina è Madras, capitale dello stato del Tamilnadu, a 54 chilometri.



I complessi archeologici si articolano in tre gruppi: il monumentale rilievo della “Discesa del Gange” (metà del VII secolo), con una serie di mandapa scavati in un enorme sperone di diorite;  il complesso dei cinque ratha, a circa 500 metri a sud; il cosiddetto “Tempio della riva”. Il potente affresco petroso che racconta la mitica discesa del fiume Gange sulla terra, è volto a est e misura circa 26 metri per 7.



Benché alcuni studiosi abbiano voluto vedervi invece la penitenza compiuta da Arjuna – uno dei cinque protagonisti del grande poema epico Mahabharata -  per ottenere dal dio Shiva armi invincibili, la maggior parte dei critici legge il grande bassorilievo come celebrazione del fiume più sacro di tutta l’India. La rocca, infatti, è fessurata al centro e una cisterna anticamente situata alla sommità dello sperone permetteva a un fiotto d’acqua di colare lungo il pannello e di raccogliersi nel piccolo bacino antistante: l’espediente rimanda evidentemente a un contesto fluviale.



Racconta il mito, riportato in numerosi testi classici, che la divina fiumana Ganga fu indotta a discendere fra gli uomini dall’ascesi durissima di un sant’uomo, Bhagiratha, che vi si era impegnato per liberare da una maledizione i suoi antenati. Affollata di personaggi, la “Discesa del Gange” presenta un idillico spaccato di vita silvestre: cacciatori, eremiti, abitanti locali, animali selvaggi si distribuiscono su diversi registri, a cui fa da corona il corteggio degli dèi con le apsaras, ninfe bellissime, i gandharva, geni dell’aria, i kinnara, musicanti celesti in parte animali e tanti altri esseri mitici colti in volo mentre vengono ad assistere al sacro evento.
Bhagiratha, l’asceta, vi è rappresentato nella posizione yoga dell’albero, ritto su un piede con le braccia levate al cielo. Nella fessura da cui scendeva il rivolo si muovono sinuosi i naga con le loro spose, le nagini, esseri in parte umani e in parte serpentini, connessi con le acque, la fertilità e la conoscenza.



Fra i tanti monumenti disseminati attorno alla “Discesa del Gange” meritano menzione i mandapa, santuari rupestri scavati in grotte o sotto spioventi di roccia che albergano splendidi rilievi, preceduti da verande a colonne spesso rette da leoni, simbolo della guerriera Dinastia dei Pallava. Fra i più significativi, vi sono la “Grotta dei cinque Pandava”; il Mandapa del varaha che include una rappresentazione del dio Vishnu come varana, il “cinghiale” che ha liberato la dea Terra dal fondo fangoso dell’oceano; il Mandapa di Krishna, altra manifestazione di  Vishnu; il Mandapa di Mahishasuramardini dedicato a Durga come “Colei che uccide il demone-bufalo Mahisha”; la Grotta delle tigri, inquadrata dalle suggestive teste degli animali sbozzate nella roccia.



Più a sud sorge il famoso gruppo dei ratha, un insieme di cinque templi monolitici concepiti appunto come ratha, “carri professionali” lignei che ancora oggi ospitano le immagini degli dèi quando queste vengono portate fuori dai templi. Scolpiti verso la metà del VII secolo nei blocchi di diorite che emergono dalla spiaggia, i tempietti presentano tutte le caratteristiche di modelli e qualcuno ipotizza che costituissero le prove di una scuola locale di architettura, mentre altri lì interpretano come offerte votive.



Caso unico nella storia dell’arte indiana, non completamente terminati, i tempietti hanno ricevuto i nomi suggestivi degli eroi del Mahabharata, la grande epopea che vede incarnate sulla terra e antagoniste le forze positive dei deva, gli “dèi”, a quelle negative degli asura, i “demoni”.



Drapaudi è la sposa comune dei cinque Pandava, i campioni del bene, e denomina il ratha più piccolo, probabilmente consacrato alla dea Durga, che riproduce nella pietra la capanna degli asceti, semplice ambiente quadrato sormontato da un tetto in paglia con decorazioni lignee agli spigoli. Una scala di accesso conduce all’ingresso fiancheggiato da due guardiane e sormontato da un architrave con motivi a makara, mitici animali acquatici che sovrastano con grazia anche sulle altre pareti le nicchie ospitanti statue della dea. Il toro Nandi, cavalcatura del dio Shiva consorte di Durga, e il leone veicolo della dea sono scolpiti lì accanto. Il ratha seguente è quello di Arjuna, il cavaliere per eccellenza, ed è probabilmente dedicato all’antico dio Indra che vi compare sul suo elefante Airavata.



Collocato su un basamento retto da leoni e da elefanti, presenta un portico d’ingresso con due colonne leonine. Le altre tre pareti sono divise ciascuna in cinque riquadri che includono splendide statue, tra cui coppie di amanti. Su uno spiovente ornato da kudu, piccoli archi a ferro di cavallo che inquadrano volti ridenti, si inserisce la parte superiore in forma piramidale: costituita da due piani bordati di padiglioni in miniatura, è terminata da una cupola ottagonale.



Da Bhima, guerriero erculeo, prende il nome il terzo ratha, base rettangolare, circondato da una veranda in parte a colonne sorrette da leoni, con lo spiovente a kudu, una fila di padiglioni che riproducono in miniatura l’intera struttura del ratha e una costruzione terminale coperta da tetto a botte.



Il Dharmaraja ratha, collegato a Yudhishthira, modello del re pio e giusto, reca un’iscrizione che permette di datarlo con sicurezza al regno di Narasimhavarman I (630 – 670), rappresentato fra due statue, che lo consacrò a Shiva. È il più alto di tutti: sorge su un basamento di particolare rilievo, ha pianta quadrata ed è preceduto da un portico a colonne leonine. Articolato su tre piani, amplia il modello dell’Arjuna ratha, presentando la medesima struttura piramidale con spioventi a kudu che separano i vari livelli e fanno da base alle file di padiglioni miniaturizzati. Una cupola ottagonale conclude armoniosamente la costruzione.
Numerose statue pregevoli ornano le pareti.



 L’ultimo ratha è quello dei guerrieri gemelli Nahula e Sahadeva; di dimensioni ridotte, l’ingresso ombreggiato da un portichetto con le solite colonne rette da leoni, è absidato e riprende quella struttura a “schiena di elefante” sottolineata da una realistica riproduzione dell’animale lì accanto.



L’ultimo grande capolavoro di Mamallapuram, il “Tempio della riva” fatto erigere da Narasimhavarman II Rajasimha che regnò dal 690 al 728, svetta solitario sulla spiaggia, dedicato a Shiva. Noto ai naviganti come faro, il primo a segnalare la presenza fu l’italiano Gasparo Balbi che nel 1582 definisce la zona “quella delle sette pagode”, includendo oltre ai cinque ratha e al “Tempio della riva” anche il Ganesha ratha, simile al Bhima e collocato nella zona della “Discesa del Gange”.



Nel XVII secolo Nicolò Mannucci ne arla di nuovo, ma è nel 1788 che Chambers ne dà la prima dettagliata descrizione in “Asiatic Researches”. Il tempio, preceduto da un piccolo gopuram, cioè un ingresso segnato da una sovrastruttura, è articolato in due costruzioni a pianta quadrata, entrambe sovrastate dal vimana, la torre piramidale di protezione della cella che tanta fortuna avrà nell’architettura gravida, cioè quella dell’India del sud. Il vimana presenta un profilo decisamente triangolare e ripropone le svettare della montagna cosmica, il mitico monte Meru, l’axis mundi, il perno centrale attorno al quale ruota ordinariamente l’universo.


I vimana del “Tempio della riva” sono l’uno a quattro e l’altro a tre piani, molto aperti, di cui il primo e l’ultimo sono decorati con animali araldici e privi dei parapetti costituiti dalla fila di padiglioni in miniatura, che invece sono presenti nei piani intermedi. Le celle sono tre, benché una sia attualmente senza copertura: il gruppo di Shiva, la consorte Uma e il figlio Skada, occupa la prima, mentre nella seconda è visibile Vishnu che riposa sull’oceano primordiale. Uno stretto passaggio fra le pareti della cinta interna permette la deambulazione. Il tempio è inserito in un recinto più ampio, con un muretto sovrastato da Nandin a guisa di merli.

3 commenti:

Il Mondo Capovolto ha detto...

Un patrimonio storico immenso..caspita :)

Unknown ha detto...

Ricerca ottima e misteriosa. Ci proponi sempre temi di grande interesse. Grazie

ziamame ha detto...

Grazie a voi ragazze, che mi fate la compagnia durante i miei viaggi.
Viaggiare da soli è bello, ma mai quanto in una deliziosa compagnia come è la vostra.

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