venerdì 14 ottobre 2011

La Residenza di Wurzburg


La Residenza di Wurzburg può essere definita come un castello europeo più che tedesco. Probabilmente si tratta del progetto più ambizioso del XVIII secolo, a cui lavorarono molti dei maggiori architetti europei dell’epoca. Il risultato è una sintesi perfetta del Barocco continentale.

Sin dal 1250 i principi vescovi di Wurzburg vissero a Feste Marienberg. Solo durante il XVIII secolo decisero di costruire un palazzo in città, che non solo sarebbe stato più facilmente accessibile, ma avrebbe altresì rappresentato un imponente monumento alla gloria della casata degli Schònborn e alla loro lealtà all’Imperatore.
 Nel 1720 il principe vescovo Johann Philipp von Schònborn pose la prima pietra della Residenza di Wurzburg. Celebri architetti vennero chiamati da tutta Europa e furono coinvolti progettisti del calibro di Johann Lukas von Hildebrandt, già autore del Belvedere di Vienna, Robert de Cotte e Germain Boffrand di Parigi, Johann Wolfgang von der Auvera e Antonio Bossi ricevettero l’incarico per le sculture, gli intagli e le decorazioni interne in stucco, mentre al celebre artista veneziano Tiepolo si devono gli affreschi dello scalone della Sala Imperiale.

Una simile genesi spiega agevolmente le influenze francesi, italiane, fiamminghe ed austriache. La figura chiave fu Balthasar Neumann, che fu anche capo architetto, responsabile del progetto di base e dei lavori di realizzazione della residenza, nonché autore della combinazione di tutte le influenze in una sfavillante espressione barocca.

Neumann venne definito come il depositario dei segreti del progetto, dal momento che coordinò la supervisione di tutta la costruzione, dall’inizio alla fine, e sopravvisse a ben tre principi vescovi.


La pianta rettangolare è tipica del Barocco francese e consiste in una parte centrale lunga e stretta, con due ali laterali perpendicolari che le conferiscono l’aspetto di una villa urbana di stile italiano. I due piani del palazzo sono ciascuno sormontato da un piano ammezzato, cosa che alleggerisce la facciata e che offriva, all’epoca, lo spazio destinato alla servitù.



Le facciate esterne sono riccamente adornate, sebbene non in modo eccessivo, per via degli elementi regolari introdotti dalle finestre e dalle lesene. L’ingresso ovest è arricchito dal portico che si proietta sulla corte principale. Questo lato è privo di piano ammezzato, mentre è presente una balconata che sormonta l’ingresso costituito da tre archi.


Tre porte finestre conducono dalla Sala Bianca alla balconata. La linea del tetto è ornata da balaustre e si interrompe al di sopra del portico per lasciare spazio ad un frontone curvilineo, che racchiude lo stemma dell’ultimo signore, Frederick Carl von Schonborn, al quale si deve il completamento della costruzione nel 1774. Il portico conduce al salone adiacente alla Sala del Giardino, ad est, sul piano terra. l’alto soffitto a volta è sostenuto da esili colone di marmo che conferiscono un’apparenza eterea, formando al tempo stesso archi laterali che danno vita ad un passaggio intorno alla stanza.



I soffitti affrescati di Johann Zick rappresentano Il riposo si Diana e un Banchetto: soggetti evidentemente correlati al giardino. I lavori di stucco sono di Bossi ed enfatizzano l’impressione generale di leggerezza che pervade la sala. Dal salone si passa alla scala d’onore, che è l’epitome del palazzo e del suo lignaggio, primo obiettivo dei committenti. Qui Tiepolo diede briglia sciolta alla sua immaginazione. Il soffitto a volta, lungo 32 metri, largo 18 e profondo cinque, rappresenta una soluzione architettonica straordinaria, perché non si vede alcun supporto di una simile struttura. La grande superficie fu sontuosamente dipinta dal pittore con uno stile assolutamente grandioso. Si tratta di uno dei più grandi affreschi del mondo in cui compare, nella parte inferiore, un enfatico ritratto del principe vescovo. Allegorie dei quattro continenti (l’Australia in effetti fu scoperta solo nel 1777) sono dipinte sui lati e, direttamente al di sopra dell’entrata della Sala Bianca, è raffigurata l’Europa, circondata di artisti. Nell’angolo a sinistra e al centro si possono riconoscere rispettivamente Tiepolo e Neumann.

La Sala Bianca non ha decorazioni dorate o di altri colori e rappresenta un’oasi di tranquillità fra la rutilante sontuosità dello scalone e della Sala Imperiale. I grandiosi stucchi di Bossi sono unici per cura dei particolari ed eleganza, e rappresentano a buon diritto uno dei vertici della decorazione rococò.


L’ultimo piano dell’edificio centrale racchiude la Sala Imperiale, certamente la più impressionante e sontuosa della Residenza di Wurzburg: un luogo dove numerosi imperatori hanno ricevuto una degna accoglienza ufficiale. Gli affreschi di Tiepolo, all’interno della cupola, rappresentano una processione nuziale in cui Apollo, sul carro del sole, porta all’imperatore la sua sposa. Opera dell’artista sono anche alcune scene della storia di Wurzburg, dove spicca la figura di Federico Barbarossa. I dipinti che sormontano le porte sono del figlio del Tiepolo, Domenico.


Oltre la Sala Imperiale si trovano gli appartamenti imperiali, lunghi all’incirca 150 metri. Si tratta di stanze sontuose, dalle porte magnifiche e dalle finestre finemente intagliate. La cappella del palazzo, nella parte ovest dell’ala sud, è integrata nel resto del complesso. Entrando, l’effetto scenico è notevole, dal momento che l’edificio sacro è alto due piani. L’intero barocco è reso spettacolare dalle tre cupole.    


giovedì 13 ottobre 2011

Basilica di Santa Maria della Salute a Venezia


Nel simbolismo politico-religioso locale, Venezia venne sempre associata alla Madonna. Nei giorni bui dell’assedio del 1509, ad esempio, il doge Leonardo Loredan definì la città “inviolabile vergine tra le lagune”. Quest’ideologia raggiunse il suo apogeo con la basilica voluta dal Senato veneziano nel 1630, immane ex voto per chiedere alla Madonna la “salute”, ovvero la salvezza dalla terribile pestilenza che stava dimezzando la popolazione. Sulla scenografica Punta della Dogana da Mar la grande massa della Salute, costellata di statue, sembra posta in rotazione dalle sue diverse facciate. Autore dall’ardito progetto fu un architetto appena trentaduenne, Baldassarre Longhena (1598-1682) che si avviava a diventare il massimo interprete del barocco in laguna. Anche se l’originalità della sua architettura precedette le grandi prove di Bernini e Borromini a Roma, essa non fu però propulsiva per lo sviluppo di un vero stile barocco veneziano e anche per questo il grande tempio votivo rimase isolato, ultima grande commissione statale ad alimentare il mito di Venezia.

SIMBOLOGIA DEL PROGETTO – “Una rotonda macchina che mai s’è veduta”. Longhena presentò in questi termini orgogliosi il suo progetto, selezionato tra altri undici nel 1631. Simbolismo e teatralità ne avevano guidato l’elaborazione. La pianta centrale e ottagonale, ispirata a quella delle chiese dipinte da Carpaccio e Raffaello, evocava anche gli antichi battisteri, alludendo dunque alla salvezza portata dalla fede. Concepita come un’ideale “macchina” mobile, la basilica ricorda le “rotonde” galleggianti allestite per le festività più solenni, secondo gli stessi principi seguiti da Bernini nell’ideare il Baldacchino di San Pietro. Alle esigenze di spettacolarità del rito, proprie della Controriforma, Longhena affiancò la razionale definizione degli spazi dell’attiguo convento, eretto per ospitare i padri Somaschi, cui venne affidata la basilica, e dal 1817 divenuto Seminario patriarcale. Fino alla morte egli seguì la fabbrica, che predilesse sulle molte altre affidategli. Gli subentrò l’allievo, Antonio Gaspari, che la concluse cinque anni dopo, nel 1687.


UNA STRUTTURA BAROCCA, BIZANTINA E PALLADINA – La scenografica posizione, protesa verso il bacino di San Marco, mette in relazione la Salute sia con le chiese palladiane sulle isole di San Giorgio e della Giudecca, sia con la basilica di San Marco. Da entrambe Longhena trasse motivi ispiratori, temperando le novità barocche tramite richiami alla tradizione. La basilica si sviluppa su un alto zoccolo, che ne slancia la massa, ed è articolata su due distinti corpi di fabbrica, coperti da cupole. Il principale, a pianta ottagonale, è caratterizzato dagli originali contrafforti, mascherati da volute, che sugli spigoli del tamburo sostengono le spinte verso l’esterno della grande cupola. L’altro, minore, è il presbiterio, che imita le analoghe strutture palladiane, sia per le absidi laterali, sia per il coro retrostante. Le calotte lisce delle cupole, rivestite in piombo secondo la consuetudine locale, richiamano invece la forma archetipica di quelle di San Marco.

TRA SANTI E VOLUTE: L’ESTERNO – Dopo esser stati banditi nel 1606 per rappresaglia verso l’interdetto papale, i gesuiti ritornarono in città nel 1657 e subito vi alimentarono il culto mariano. La Vergine, mediatrice di grazia, prevalse perciò sui tradizionali protettori della peste, come Rocco o Sebastiano, al punto che anche nel programma iconografico della Salute si registra questa variazione. Sopra l’arco trionfale d’ingresso, al quale si giunge salendo quindici scalini, lo stesso numero di quelli del biblico tempio di Salomone, si sviluppa il tema dell’Annunciazione. A essa, vista come annuncio di salvezza per l’umanità, alludono anche le due Sibille sull’arcone e gli Evangelisti ai lati. In alto, sui timpani e sulle volute, la folla di statue mostra simboli che ricordano le virtù di Maria Immacolata, trionfante sulla lanterna della cupola. Il gioco teatrale creato dal proliferare degli ornamenti scultorei spiazza l’osservatore, che distingue a fatica la struttura architettonica tra l’affollarsi dinamica di statue e motivi decorativi.

LA LANTERNA, CORONA DI OBELISCHI PER LA VERGINE – Alla sommità della chiesa, la statua dell’Immacolata è attorniata da otto obelischi, innalzati sui contrafforti della lanterna. A prima vista essi formano un’ideale corona, simbolo di trionfo, come indicò lo stesso Longhena. Va però ricordato che su alcuni palazzi lungo il Canal Grande gli obelischi stanno a indicare che tra i membri della casata vi fu un ammiraglio. Il trionfo della Vergine, che esibisce vesti e bastone di comando da capitano da mar, diviene così anche quello della Dominante. Con questa visione barocco di una Venezia – Vergine trionfante sul mare – a sua volta evocato dalle volute simili a onde – si celebravano anche i contemporanei trionfi nell’Egeo. Pochi anni prima della consacrazione della basilica, la temporanea riconquista della Morea (1683-99) aveva infatti lavato l’onta della recente perdita dell’isola di Creta, avvenuta nel 1669.

SPACCATO ASSONOMETRICO DELLA BASILICA – L’edificio sorge su un alto podio preceduto da una scalinata di quindici gradini ed è sovrastato da un’enorme cupola impostata su otto poderosi pilastri e caratterizzata  all’esterno da dodici contrafforti barocchi a volute, detti “orecchioni”. Il Longhena si ispirò per la sua grande chiesa a una corona simbolica, la corona di Maria, Regina dei Cieli. Nelle note di spiegazione che accompagnavano il suo modello nell’aprile del 1630 scrisse infatti che: “Avendo essa Chiesa mistero nella sua dedicazione, essendo dedicata alla Beata Vergine, mi parve […] di farla in forma rotonda, essendo in forma di corona, per essere dedicata a essa Vergine […]”. La statua della Vergine, con una corona di stelle, sormonta la cupola ed è posta anche sull’altare maggiore sotto un’enorme corona che pende dalla volta.

SOTTO LA CUPOLA, UNO SPAZIO TEATRALE E SIMBOLICO – All’interno, il luminosissimo spazio ottagonale è suddiviso ai vertici da semicolonne giganti, addossate ai pilastri triangolari. Esse sorreggono un’ampia trabeazione, sulla quale si alza il tamburo, aperto da alte finestre e ornato da statue di profeti. L’insieme è improntato a una grande linearità, quasi disegnativa, anche se Longhena aveva previsto di ornare la bianca cupola con stucchi e dipinti a olio. Al centro della chiesa, l’iscrizione latina sul pavimento “Unde origo, inde salus” sta a ricordare che da Dio deriva la “salute” o salvezza, nella sua doppia accezione sia fisica, sia spirituale. Osservati da quel punto, gli archi tra le semicolonne sembrano inquadrare le cappelle radiali, aperte lungo il deambulatorio, come fossero altrettante scenografie teatrali.

Percorrendo il deambulatorio, che sostituisce le navate laterali, lo spazio appare movimentato dal chiaroscuro e ricco di prospettive sempre diversificate. Esso, come tutta la chiesa, è simbolicamente basato su misure perfette e simboliche, in quanto multiple del cinque, simbolo mariano dei misteri del Rosario: di cinque piedi è lo spessore dei pilastri, di dieci la larghezza del deambulatorio, di quindici quella dell’ingresso.



IL PRESBITERIO E LA CHIESA “LONGITUDINALE” – Di fronte all’ingresso sta l’altare maggiore, preceduto da un ampio presbiterio a due absidi, memoria di quelli delle chiese palladiane. Nella chiesa, a pianta centrale, viene così a crearsi un percorso visivo longitudinale, simile a quello inaugurato dalla chiesa di San Vitale a Ravenna: un ulteriore omaggio, quindi, alle mitiche origini bizantine di Venezia. Fulcro visivo della chiesa e capolavoro della scultura barocca è l’altare. Se ne voleva affidare il progetto a Bernini, che però non rispose alle richieste. Disegnato perciò da Longhena, esso venne ornato tra il 1670 e il 1674 dal gruppo allegorico del fiammingo Giusto Le Court, il miglior scultore attivo in città. Vi è rappresentata la Vergine col Bambino che allontana la peste, vecchia strepitante, da una Venezia genuflessa e vestita da dogaressa. Da Creta giunse nel 1670 l’icona della Vergine che vi si conserva e che nell’iconografia greca dell’Hodigitria o Condottiera sembrò indicare il risorgere della potenza veneziana.

lunedì 10 ottobre 2011

Castello di Moritzburg


Schloss Moritzburg è un edificio barocco piacevolmente insolito, con le sue torri rivestite di ceramica rossa e la sua facciata di un giallo brillante. Dal punto di vista architettonico è il risultato di una continua conversione di un complesso costruito in epoca rinascimentale.

I boschi a nord di Dresda hanno rappresentato per secoli la riserva di caccia dei principi elettori e dei re sassoni. Per questo non sorprende che l’elettore Moritz possa avere eretto qui una palazzina di caccia nel 1542, che venne chiamata Motirtzburg dopo la sua morte.


Si trattava di una costruzione rinascimentale, continuamente ampliata e modificata seguendo l’evoluzione dal Rinascimento al Barocco. Ma fu soprattutto l’elettore Federico Augusto I, meglio conosciuto come Augusto il Forte, a ricostruire completamente il castello in stile barocco. Essendo un appassionato di caccia ed avendo frequentato la palazzina di Moritzburg in gioventù, Augusto desiderava trasformarla in una residenza dove poter alloggiare e ospitare la propria corte.

Per riuscire in questo intento, dovette modificarla in modo tale da permettere  affollate battute di caccia e renderla idonea a festeggiamenti e banchetti. Il lavoro di conversione della struttura fu realizzato fra il 1723 ed il 1733, sotto la supervisione di Matthàus Daniel Poppelmann, che si occupò anche dello Zwinger di Dresda.


Il piano terra è inusuale, con le sue torri angolari, sporgenti e tuttavia integrate nell’insieme. Esse sono unite al corpo principale da strette maniche di collegamento. I’imponente sala da pranzo fu costruita per i magnifici banchetti di Augusto, come contraltare architettonico della cappella, che venne invece edificata sul lato ovest, tra il 1661 e il 1672.


Gli edifici sorgono su un’area pressoché quadrata (90 x 95 m), come su un piedistallo, dal quale le scalinate dotate di balaustre, decorate da sculture, conducono all’isola sottostante. Il lago, creato nel 1730 dopo il completamento del castello, si integra perfettamente in questo panorama, anche grazie alla presenza di altri numerosi specchi d’acqua. L’imponenza del castello è enfatizzata da otto piccoli padiglioni che lo circondano. Il giardino venne realizzato in stile barocco francese e  si estende in direzione nord.


L’armoniosa decorazione interna dello Schloss Moritzburg riflette perfettamente quella esterna. Essa è opera dell’architetto di corte di Augusto, Raymond Leplat, che riprese costantemente il carattere di palazzina di caccia proprio del complesso. Raffinati arazzi in pelle dipinta con raffigurazioni correlate alla caccia, come la Festa dei pescatori al lago di Moritzburg e scene tratte dalla mitologia greca che vedono la dea Diana come protagonista, ispirarono l’appellativo “Dianenburg”. Si tratta di capolavori di inestimabile valore, sia sotto il profilo storico, sia sotto quello della lavorazione artigianale. Consistono infatti in singoli pezzi, coperti da una lamina d’argento e dipinti con colori brillanti.


Gli alti muri bianchi della sala da pranzo sono decorati dai palchi dei cervi, ma anche le altre sale sono ricche di trofei venatori.


Due scaloni d’onore conducono, tanto da est quanto da ovest, al piano superiore, dove si trovano le decorazioni più antiche di tutto complesso. Muri e soffitti sono coperti di banchi stucchi, impreziositi solo da piccole dorature.

Qui si trova la cappella del castello, il cui altare è l’opera di Johann Fink, autore anche delle volte.



Di fronte all’ingresso principale si trovano le vecchie stalle, che oggi ospitano la stazione di monta più importante della Sassonia. Qui si svolge, nei primi tre week end di settembre, una famosa mostra equina di stalloni.
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