lunedì 31 gennaio 2011

Palazzo Schonbrunn – Monumento agli Asburgo


Monumento agli Asburgo, residenza imperiale per estate, centro della politica europea, dimora di Maria Teresa e di Sissi, centro culturale: sono tutte definizioni che ben si adattano a Schloss Schonbrunn. Si tratta di una straordinaria combinazione di architettura e opere paesaggistiche, che descrive il passaggio dal Barocco al Rococò, oltre che di uno dei più interessanti esempi di architettura europea.



Schloss Schonbrunn, che si trova a sud-ovest rispetto a Vienna, nel distretto di Hietzing, fu eretto su un precedente edificio distrutto dai turchi nel 1683. L’imperatore Leopoldo I (1640 - 1705) aveva incaricato Johann Bernhard Fischer von Erlach di erigere una dimora maestosa per il figlio Giuseppe I, con l’intenzione di superare lo splendore di Versailes, residenza del nemico Luigi XIV.



L’impresa si dimostrò irrealizzabile, perché gli enormi costi dell’edificio superarono largamente le disponibilità finanziarie di Leopoldo I. nel 1696, i lavori pressero il via su scala ridotta rispetto al progetto di Fischer von Erlach, che, per quanto possiamo intuire attualmente, era certamente imponente e sicuramente segnò il destino delle finanze imperiali.



I lavori richiesero molto tempo e gli Asburgo furono costretti ad abitare a lungo in un cantiere. Solo con Maria Teresa (1717 – 80) i lavori vennero ripresi con una certa continuità. Ella incaricò Nikolau Pacassi di rielaborare e ampliare gli studi di Fischer, poiché era il suo desiderio vivere a Schonbrunn con il marito, l’imperatore Francesco I, e i loro sedici figli, oltre ai numerosi membri della corte. L’entourage consisteva di 56 macellai, undici sacerdoti, nove dottori, e oltre mille tra ufficiali, ministri, servi e dame di compagnia.



Pacassi smorzò la maestosa pomposità del Barocco introducendo la leggerezza sofisticata del Rococò, in modo particolare nella decorazione dell’interno. Questi tipici caratteri rococò comprendevano tra l’altro le vivaci forme del ‘rocaille’ (specchi e dipinti a parete) e oggetti di fattura cinese, tanto popolari all’epoca. La Piccola Galleria risulta ancora oggi fiancheggiata dal Gabinetto Ovale, da una parte, e dal Gabinetto Rotondo, dall’altra.



Pannelli laccati di diverse forme e dimensioni sono stati inseriti nelle boiseries di legno chiaro, mentre piccole mensole destinate ad accogliere ceramiche cinesi bianche e blu completano le cornici dorate. La Grande e la Piccola Galleria furono ideate come sale per i banchetti e pertanto vennero decorate con stucchi e affreschi fastosi, gli uni realizzati da Albert Bolla tra il 1761 e il 1763, gli altri da Gregorio Guglielmi tra il 1755 ed il 1761.


Nel Salone Cinese Blu, l’11 novembre 1918, si svolsero i negoziati che avrebbero condotto Carlo I a rinunciare al trono. Il giorno dopo nacque la Repubblica Austriaca e Schonbrunn cessò di essere la residenza imperiale degli Asburgo.



Quaranta delle mille e più stanze del castello sono aperte al pubblico: si va dalla Sala delle Lanterne (dove i servitori attendevano di essere chiamati, muniti di lanterna, appunto) alla Sala dei Banchetti costituita dalla Grande Galleria. La maggior parte dei decori e dell’arredamento è originale.



Oltre il palazzo si trova il parco, progettato in stile francese da Johann Ferdinand Hetzendorff negli anni settanta del XVIII secolo. Lo sguardo corre dalla facciatat del giardino all’imponente fontana del Nettuno, al centro della quale Teti implora in ginocchio l’aiuto del dio dal potente Tridente per il figlio Achille, in viaggio per mare.



Sulla collina si trova la Gloriette; qui Fischer, in originale, progettò di realizzare il palazzo. Il porticato neoclassico fu costruito fra il 1772 e il 1775 per commemorare la vittoria sui prussiani nel 1757 nei pressi di Kolin. La sua parte centrale, attualmente, è stata chiusa con una vetrata ed è stata trasformata in un famoso caffè, grazie alla splendida vista su Schonbrunn e Vienna.



Il giardino è perfettamente simmetrico e su ciascuno dei suoi lati si trova una fontana delle Naiadi, in direzione della quale i sentieri convergono formando una stella. Non mancano numerose statue a oggetto mitologico. Ad ovest è situato il giardino zoologico di Schonbrunn, aperto nel 1752. La forma corcolare, con il padiglione barocco centrale (realizzato nel 1759) e le dodici “logge” circostanti, utilizzate come gabbie, si ispira allo zodiaco.



L’adiacente Serra delle Palme venne invece progettata da Franz Xaver Sengenschnidt. Realizzata nel 1882, rappresenta un esempio di ingegneria d’avanguardia per l’epoca, grazie alla sua struttura in ferro lunga 110 m e larga 30. È attualmente una delle serre più grandi in Europa.



Al-Saraya al-Hamra – Castello di Tripoli


Il castello ospitò la sede del potere in Tripolinia fino al XX secolo e nel corso dei secoli si è trasformato in una cittadella composta da un labirinto di cortili, vicoli e case che occupa una superficie totale di 13.000 mq, compresa la zona racchiusa dalle alte mura difensive ora occupata dal museo.



STORIA – Gli scavi archeologici hanno rivelato che il castello venne costruito sul sito in precedenza occupato da un castrum romano (accampamento fortificato romano; è stato rinvenuto anche un bagno pubblico del II secolo d.C.), ma si ritiene che la fortezza vera e  propria non sia stata eretta prima della invasione araba del 644 d.C. Nel XVI secolo, nel periodo dell’occupazione degli spagnoli e dei Cavalieri di San Giovanni di Malta, furono aggiunte le fortificazioni e le torri difensive a sud-ovest e a sud-est della cittadella. I turchi occuparono il castello nel 1551 e, dopo massicci lavori di trasformazione, i governatori vi stabilirono la loro residenza ufficiale.



Durante il periodo dei Karamanli (1711 – 1835) furono costruiti gli harem e un ampio ‘salaamlik’ (sala delle udienze), nella quale venivano ricevute le personalità in visita ufficiale. Gran parte degli interni del castello era quasi del tutto autosufficiente e includeva una zecca, un tribunale, negozi, prigioni e mulini. Dopo la conquista italiana, il governatore volle stabilire nel castello gli uffici, mentre altre parti del castello furono adibite a museo. Attualmente, la maggior parte degli edifici all’interno del castello ospita il Dipartimento del Patrimonio Antico.



VISITA DEL CASTELLO – Una volta entrati nel castello, si possono ammirare le belle decorazioni di piastrelle che si trovano sulla sinistra. Una rampa conduce nel cuore del castello, ma prima di raggiungerlo, a sinistra si vedono i resti di una piccola residenza con alcune colonne e un pozzo. A sinistra in cima della rampa si accede alle prigioni del castello.



Sempre a sinistra, salendo una breve scalinata, si trovano gli antichi alloggi del governatore, che i dignitari turchi avvicendatisi in città usarono come studio. Fu qui, nel 1790, che avvenne un macabro atto di fratricidio.



Dal piccolo cortile degli alloggi del governatore una porta conduce al cortile spagnolo, realizzato durante il breve periodo dell’occupazione spagnola nel XVI secolo.
Tutt’intorno sono posti alcuni leoni di pietra; questo luogo è particolarmente suggestivo, soprattutto in primavera, quando è interamente ammantato di fiori. Una scalinata conduce poi in un altro cortile, molto più vasto e aperto, con una graziosa fontana e decorazioni di piastrelle che corrono lungo tutto il perimetro.
L’uscita è rivolta a sud-est e conduce all’estremità orientale del Suq al-Mushir. L’imponente portale ad arco in pietra che si vede tornando alla Piazza Verde dal Suq era in origine l’ingresso del castello, ma ora non viene più utilizzato.


IL CASTELLO DEGLI INTRIGHI – La signorile decadenza dell’Al-Saraya al-Hamra nasconde il fatto che questo edificio fece da scenario a molti intrighi e atti di violenza. Quando le armate ottomane di Solimano il Magnifico, sultano della Turchia, sferrarono nel 1551 l’assalto finale per scacciare i cristiani da Tripoli, i bastioni da poco rinforzati ressero saldamente all’attacco, ma non si rivelarono altrettanto combattivi i difensori dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Malta: un soldato, infatti, tradì i cristiani indicando ai nemici il punto più debole delle fortificazioni, cosicché essi poterono aprire una breccia nelle mura. Dopo la resa, il governatore della città venne senza tante cerimonie messo ai ferri, denudato e ridotto in schiavitù.
Una sorte non molto diversa toccò anche a una serie di ‘bey’ (capi) turchi. Suleiman Bey resistette a una missione punitiva inviata contro di lui dal sultano, ma alla fine venne attirato fuori dal castello con l’inganno, trascinato a bordo di una delle navi del sultano e crocifisso sul cassero di poppa. I giannizzeri ordirono un complotto per rovesciare il suo successore, Sharif Pasha, il quale si asserragliò nel castello. Anch’egi fu indotto a uscirne e fatto a pezzi dagli uomini che lo aspettavano in agguato.



Ramadan Bey, che venne immediatamente dopo, si lasciò convincere da un astuto corsaro si nome Mohammed Saqizli a cedergli il proprio potere. L’astuto Saqizli escogitò di sposare Miryam bint-Fawz, moglie di un capotribù, avvelenò il marito della donna e poi la invitò a recarsi al castello per le nozze. Alla fine, però, giustizia fu fatta: Mohammed Saqizli morì per mano del suo medico cristiano, che gli servì una mela avvelenata.
Daq uel momento, e fino all’ascesa al potere dei Karamanli nel 1711, si susseguì un numero sorprendentemente elevato di sovrani. Uno morì di peste, diversi furono assassinati e gli altri vennero deposti e mandati in esilio, soltanto uno riuscì a morire di vecchiaia.



Nel 1790 i tre figli del governatore (o pascià) Karamanli si riunirono nello studio del padre. L’incontro era stato caldeggiato dal più giovane dei tre, l’ambizioso principe ereditario Yusuf Karamanli, con il pretesto di risolvere le tensioni riguardo alla successione. Egli chiese anche alla madre di essere presente in qualità di testimone. La riunione procedeva bene e le parti sembravano essere vicine a una riconciliazione. Il principe domandò ai suoi fratelli di giurare sul Corano la loro fedeltà all’accordo e ordinò a un servo di portare il libro sacro. In base a un piano concordato in precedenza, tuttavia, al posto del Corano fu portata una scatola contenente una pistola con la quale il principe uccise i suoi due fratelli. In seguito, egli succedette al padre e governò la Libia dal 1795 al 1832.   


Fonte: Anthony Ham - Libia

sabato 29 gennaio 2011

Canossa – Dove si umiliò un imperatore


Nel gennaio 1077 l’imperatore Enrico IV, scomunicato dal papa Gregorio VII, attese il perdono per tre giorni sotto le mura del castello, al gelo, scalzo, indossando un saio: una storica umiliazione, passata addirittura in proverbio (“andare a Canossa”).



IL NODO D’ACQUILA DEI MARCHESI DI TOSCANA – Eretto intorno al 940 da Azzo Adalberto, figlio di Sigifredo di Lucca e capostipite della famiglia degli Attoni, il castello di Canossa era il perno di una rete di fortificazioni che presidiavano la pianura e le valli circostanti.
Nel 950 accolse Adelaide, vedova del re d’Italia Lotario I, in fuga da Berengario II, marchese di Ivrea, che assediò la roccaforte nel 952.
Grazie all’aiuto prestato ad Adelaide, Azzo Adalberto ottenne il titolo di marchese dall’imperatore Ottone I di Germania. Con i suoi discendenti, soprattutto con Bonifacio III, il potere della famiglia si consolidò ulteriormente.
Il castello di Canossa conobbe, tuttavia, il suo periodo di massimo fulgore nel corso dell’XI secolo, sotto la grande marchesa Matilde, figlia di Bonifacio III, che da qui comandava un vastissimo territorio, esteso dal Piemonte e dalla Bassa Lombardia fino alla Toscana. Si svolse proprio in questo castello, infatti, una tappa importante della lotta per le investiture.



IL PAPA E L’IMPERATORE – Fu a Canossa che, il 25 gennaio 1077, si recò l’imperatore Enrico IV, implorando il perdono e la revoca della scomunica da parte di papa Gregorio VII, ospite di Matilde. Solo dopo tre giorni, in cui l’imperatore rimase fuori dal castello indossando un saio e a piedi scalzi sulla neve, il papa revocò la scomunica, grazie anche alla mediazione della marchesa. La parvenza di distensione non durò a lungo ed Enrico IV, colpito da una nuova scomunica, rispose proclamando decaduto Gregorio VII. Nel 1084 l’imperatore assediò Castel Sant’Angelo, dove si era rifugiato il papa deposto, e insediò l’antipapa Clemente III.


IL DECLINO  - Dopo la morte di Matilde, il castello fu più volte l’oggetto di distruzione e ricostruzione. Le uniche tracce di ristrutturazione, tuttora riscontrabili, sono riferibili al periodo di dominio degli Estensi. In seguito venne abbandonato e cadde in rovina. Nel 1878 fu acquistato dal governo italiano, che lo dichiarò monumento nazionale. Oggi è ridotto a una porzione molto ridotta dell’originaria area fortificata, a causa dello sfaldamento del terreno e dell’instabilità sismica della regione. Rimangono solo le rovine delle mura e i resti di due colonne dell’antica cappella, dedicata a Sant’Apollonio.



I CASTELLI DELLE ORIGINI – Canossa appartiene alla tipologia di castello più antica riscontrabile in Italia, quella della rocca ‘appollaiata’ su una cima montana, con pianta irregolare, grosse mura, torri quasi o del tutto assenti. La difesa era affidata più all’inacessibilità del luogo e allo spessore dei muri che a specifici accorgimenti ossidionali. Un tipo di fortificazione, apparsa verso il X secolo, che duro fino all’XI circa.



UNA FIERA SIGNORA MEDIEVALE – Matilde di Canossa nacque nel 1046 da Beatrice di Lorena e Bonifacio III, marchese di Toscana appartenente alla dinastia feudale degli Attoni di Canossa. Dopo la morte del padre (1052) e dei fratelli (1055), ereditò i vastissimi domini della famiglia. In seguito alle nozze di Beatrice con Goffredo il Barbuto, duca di Lorena, fu promessa al figlio del patrigno, Goffredo il Gobbo. Venne però imprigionata con la madre in Germania da Enrico III, timoroso della potenza che avrebbero avute le due dinastie così unite. Riavuta la libertà nel 1056, nel 1069 Matilde sposò Goffredo, e ben presto tornò in Italia. Nel corso della lotta per le investiture, che oppose il papato all’impero, Matilde fu sempre schierata dalla parte della Chiesa, non esitando a prendere le armi per difendere i pontefici. Rimasta vedova, nel 1089 sposò il giovane Guelfo V di Baviera, alleato di papa Urbano II. Nel 1115, dopo aver difeso il papato durante tutta la sua vita, Matilde, morendo, lasciò per testamento tutti i suoi beni alla Chiesa; ma l’imperatore Enrico V ne rivendicò una parte, spettante, in mancanza di eredi diretti, all’Impero. Ne seguì una lunga questione che si risolse, col tempo, proprio a favore dell’Impero.



STORICA SUGGESTIONE – Per le vicende storiche alle quali è legato, il castello di Canossa presenta un fascino straordinario, ampliato dalla bellezza del severo paesaggio appenninico che si sviluppa tutt’intorno.
Le uniche strutture ancora riconoscibili nelle rovine del castello, eretto su un’aspra rupe di arenaria bianca, sono i resti di un ‘palazzo’ risalente al XVI secolo, costruito dagli Estensi e la cripta della ‘chiesa di Sant’Apollonio’, che già nel 1116 era un importante centro di culto benedettino.
Presso il castello è il ‘Museo Naborre Campanini’, intitolato allo studioso che, alla fine dell’Ottocento, iniziò a raccogliere i materiali rinvenuti durante gli scavi compiuti nell’area. Degno di nota una fonte battesimale romanico proveniente dalla chiesa di Sant’Apollonio, presumibilmente di scuola lombarda, databile all’inizio del XII secolo, ornato da raffigurazioni simboliche ed elementi tipici medievali.
Tra gli altri reperti, capitelli romanici, frammenti di epigrafi e di ceramiche, proiettili, oltre a una ricca testimonianza iconografica di documenti canossiani. Sparse vestigia di un orgoglioso castello davanti a cui si inginocchiò un imperatore.


venerdì 28 gennaio 2011

Castello Sforzesco (parte I) – La reggia fortificata di Milano


Poco dopo il suo ingresso a Milano Francesco Sforza fece erigere un castello sulle rovine di quello dei Visconti, diroccato dopo la fine della dinastia. Non era solo un ripristino della tradizione familiare, ma anche un modo di esaltare la dinastia con una grande opera architettonica.



UN PRESIDIO A CAVALLO DELLE MURA CITTADINE – Quello che oggi si chiama ‘Castello Sforzesco’ e fino all’Ottocento ‘Castello di Porta Giovia’, dall’antica porta romana cui si affiancava, nacque tra il 1358 e il 1360 circa per opera di Galeazzo II Visconti, e fu continuato tra il 1380 e il 1390 da Gian Galeazzo Visconti. Sorgeva a cavallo delle mura urbiche, con la parte militare all’interno, rivolta verso la città, e quella residenziale, ospitante il signore, la sua famiglia e gli ambienti di rappresentanza, all’esterno, verso la campagna. Una collocazione comune a tutti i castelli di signori cittadini, che consentiva di dominare l’abitato e anche, in caso di rivolta, di fuggire verso la campagna.



LA RICOSTRUZIONE SFORZESCA – Alla caduta dei Visconti, nel 1447, Milano fu governata per tre anni da un’effimera repubblica, che iniziò la demolizione del castello. Ma la sua ricostruzione fu uno dei primi atti di Francesco Sforza appena si impadronì della città. L’edificio mantenne sostanzialmente la pianta originale, con le sue tre corti (d’armi, ducale della Rocchetta) separate tra loro. La doppia visione della parte residenziale – ripresa dal castello visconteo, ma con l’introduzione di alcune variazioni – prevedeva una zona accentrata intorno alla corte ducale, per gli ambienti ufficiali della rappresentanza, e una seconda, la Rocchetta, come residenza privata del signore e della sua famiglia. Molte innovazioni furono apportate soprattutto sul lato verso la città, dove due scenografiche torri tonde con paramento esterno a bugnato sostituirono le precedente torri quadrate e dove un’alta torre a volumi sovrapposti (quella detta ‘del Filerete’) venne innalzata a segnare l’ingresso principale. Sul lato verso la campagna fu costruita una cinta esterna, la ‘Ghirlanda’, che fungeva da primo antemurale contro nemici esterni; raccordava tra loro le mura cittadine che si attestavano alle murature del castello, consentendo un agevole passaggio tra le due estremità senza entrare nel castello stesso.


DA CASTELLO A CITTADELLA – Quando nel Cinquecento gli spagnoli entrano in possesso di Milano impiegarono il catsello, ormai inutile come reggia, come fortificazione, visto che non c’era più un duca regnante, ma solo un governatore nominato dal sovrano spagnolo. Per rimediare alla sua concezione ormai obsoleta lo avvolsero in una poderosa ‘stella’ di sei bastioni e lo trasformarono in una munitissima cittadella a controllo della città, che resistette fino alla distruzione ordinata nel 1800 da Napoleone.



LA TORRE LOMBARDA – La cosiddetta ‘torre del Filarete’ del castello di Milano è certamente la più impressionante, ma non certo l’unica costruzione di questo tipo tra i castelli sforzeschi, o di area sforzesca. Altri esempi, come Sartirana Lomellina nel Pavese, o Cusago – questo addirittura d’età viscontea – dimostrano che tale scelta architettonica era diffusa in Lombardia, e corrispondeva a una precisa caratterizzazione locale.


UN RESTAURO APPASSIONATO – Privato delle sue difese esterne e ridotto a caserma delle truppe occupanti, il castello di Milano era ormai nella seconda metà dell’Ottocento un gigantesco rudere, di cui molti chiedevano l’abbattimento. Se riuscì a salvarsi fu per merito di un celebre architetto dell’epoca, Luca Feltrami, che convinse le autorità a non abbattere l’importante opera e mobilitò per il suo salvataggio le energie della città. Il suo restauro, condotto appassionatamente per molti anni, con una lunga sequela di studi, rilievi e indagini, è forse la maggior realizzazione del ‘restauro storico’ teorizzato all’epoca, e non solo salvò il castello ma gli diede una funzione centrale all’interno dell’abitato, tanto che oggi il castello è il simbolo stesso di Milano


MUSEI E PARCO – Il Castello Sforzesco ospita oggi parecchi musei civici: una scelta fatta all’epoca del restauro di Feltrami, allorché si decise di fare dell’edificio il simbolo e il ‘contenitore’ delle memorie della città. Dietro il complesso si stende il parco Sempione, sulla cui area si apriva un tempo il parco della residenza ducale, poi declassato a piazza d’armi.
Gioiello delle collezioni artistiche del castello è la cosiddetta ‘Pietà Rondanini’, intensa opera ultima di Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564), entrata tra le collezioni d’arte milanesi nel secondo dopoguerra.
Notevole anche l’arca Bernabò Visconti, sormontata dalla statua equestre del crudele e imprevedibile, ma grande, signore di Milano (1323 – 1385), opera somma dello scultore Bonino da Campione.
Le ‘Civiche Raccolte’ custodiscono una pregevole quadreria, reperti preistorici ed egizi, ceramiche e prodotti artigianali, una sontuosa collezione d’armie corazze e una raccolta di antichi strumenti musicali.
Nella ‘Biblioteca Trivulziana’ sono conservati notevoli manoscritti: da un’opera dell’VIII secolo a edizioni dantesche del 1337, a un libretto di appunti di Leonardo da Vinci.
La ‘sala delle Asse’ è decorata con affreschi attribuiti a Leonardo da Vinci (peraltro fortemente restaurati).
Dietro al castello si stende un parco all’inglese, opera dell’architetto Alemagna, che ospita l’Arena (sede di manifestazioni sportive e musicali) e il palazzo ‘dell’Arte’, sede della prestigiosa Triennale milanese. All’estremità del parco s’innalza l’ottocentesco ‘arco della Pace’, nato per celebrare Napoleone ma terminato in epoca austriaca.


Castello Sforzesco (parte II) – Il ‘grandioso’ come programma


I Visconti e gli Sforza furono tra i migliori costruttori di castelli d’Italia. Le loro opere spiccano tra quelle del tempo per imponenza e inventiva progettuale. Quello di Milano è tra i maggiori esempi cittadini d’Europa, insieme sfarzosa residenza ducale e caposaldo fortificato.



L’ARTE COME STRUMENTO AL SERVIZIO DEL POTERE – Al pari di molti principi italiani gli Sforza diedero un grande impulso all’arte e alla cultura, da essi utilizzata quale strumento di potere, come per dimostrare al mondo che, pur essendo gli ultimi arrivati, o quasi, non erano per nulla inferiori ai vecchi casati nobiliari. Chiamarono a Milano alcuni tra i più celebri artisti del tempo, come per esempio Antonio Averlino o Averulino, detto Filerete. Sua è la grande torre a volumi sovrapposti che domina l’ingresso del castello, anche se la torre attuale è opera del restauro di Luca Feltrami. Ludovico il Moro Sforza ingaggiò anche altri famosi architetti, dal Bramante al grande Leonardo da Vinci, che realizzò proprio a Milano alcune delle sue opere principali. Furono proprio loro a introdurre in Lombardia il Rinascimento.



ASCESA E CADUTA DI UNA DINASTIA – Alla fine del Quattrocento gli Sforza erano una delle potenze europee, anche se non ‘la’ potenza italiana per eccelenza che erano stati i Visconti. Ma tutto cambiò in pochi mesi. Luigi XII, divenuto il re di Francia nel 1498, si ricordò di avere tra gli antenati una Visconti e rivendicò la sua presunta dignità di ‘vero’ duca milanese. Rifiutò di riconoscere la signoria degli Sforza (a cui in realtà non perdonava di essere stati gli alleati di Borgogna) e si giunse così a una guerra, nel corso della quale castello e città furono conquistati dalle truppe francesi.
Il duca Ludovico il Moro fuggì in Germania, da dove cercò poi invano di riconquistare Milano. Fatto prigioniero, fu incarcerato a Loches, in Francia, dove morì nel 1508. il figlio maggiore Massimiliano riuscì a tornare fuggevolmente al potere, grazie all’aiuto svizzero, ma solo il figlio più giovane, Francesco, potè riprendersi il castello nel 1522, dopo la nomina a duca da parte dell’imperatore Carlo V. Francesco morì tuttavia senza lasciare eredi, e il ducato rientrò nelle disponibilità dell’imperatore.
Fu così che a Milano cominciarono le dominazioni straniere (spagnoli, austriaci, francesi). Nei secoli successivi il castello cominciò una parabola discendente: più volte danneggiato, cadde in forte degrado, per essere brillantemente riscattato solo all’inizio del Novecento grazie a un lungo restauro, curato dall’architetto Luca Feltrami.


IL FIGLIO DEL CONTADINO DIVENTA SIGNORE – Giacomuzzo Attendolo, rampollo di una famiglia contadina dalle parti di Ravenna, era divenuto nel Trecento capitano di una truppa di soldati. Allora questo era considerato un buon lavoro: molti comuni italiani non avevano una propria forza armata e impiegavano mercenari come corpi militari e di polizia. Dopo una serie di successi al servizio di Milano, Firenze e Napoli, Giacomuzzo cambiò nome della famiglia in Sforza, con riferimento alle proprie capacità di vittoria, spesso ottenuta ‘sforzando’ il destino. Francesco, suo figlio illegittimo (1401 – 1466), proseguì la lucrativa attività di famiglia soprattutto per conto del duca milanese Filippo Maria Visconti, giungendo nel 1441 a sposare la figlia Bianca, anche lei illegittima. Quando il duca morì improvvisamente, nel 1447, all’età di 54 anni, senza lasciare eredi maschi, scoppiarono disordini che sfociarono quasi nella guerra civile. A Milano fu proclamata la Repubblica Ambrosiana e il castello, simbolo del potere visconteo, venne praticamente distrutto. Nel 1450 Francesco entrò a Milano, dissanguata dalle continue controversie interne, proclamò la moglie erede legittima dei Visconti e se stesso nuovo duca. Lo seguirono sul trono milanese il figlio Galeazzo Maria e, dopo di lui, almeno sulla carta, il nipote Giangaleazzo. In realtà quest’ultimo aveva solo sette anni, sicchè il secondo figlio di Francesco, Ludovico il Moro (così detto per la pelle scura), assunse la reggenza in suo nome e nel 1494, dopo la precoce morte del nipote, salì a sua volta sul trono.



IL CASTELLO ‘SALVATO’ – Il castello di Milano sfuggi varie volte alla distruzione. In epoca napoleonica, lo si voleva trasformare in palazzo neoclassico con una vastissima piazza circolare. Verso il 1880 se ne propose la demolizione lasciando in piedi la sola Rocchetta, a favore di edifici ‘in stile sforzesco’. Nel secondo dopoguerra un architetto propose addirittura di ridurlo a spartitraffico cittadino.
All’interno del castello è visibile l’unico tratto della cerchia dei navigli interna tuttora esistente a cielo aperto. Il cosiddetto ‘fossato morto’, che separa le varie corti, altro non è che un tratto del naviglio che un tempo circondava tutte le mura cittadine, fungendo da fossato.
Sulle pareti interne della ‘corte d’Armi’ sono state spostate alcune facciate di antichi palazzi lombardi demoliti. Le facciate, smontate pezzo a pezzo, sono state poi rimontate nella nuova localizzazione.



Davanti al castello troneggia oggi una fontana costruita in occasione di una visita di Mussolini a Milano, negli anni Trenta. Demolita negli anni Sessanta per far passare gli scavi della metropolitana, è stata ricostruita negli anni Novanta.



La chiesa di Santa Maria delle Grazie, a sud-ovest del castello, è un capolavoro di arte rinascimentale. Nel 1492 Donato Bramante aggiunse all’edificio tardogotico esistente uno splendido coro rinascimentale. Nel refettorio a sinistra della chiesa si può ammirare il ‘Cenacolo’ di Leonardo da Vinci.

giovedì 27 gennaio 2011

Cotehele House – Il berretto che salvò Sir Richard


Cotehele non è una fortificazione, bensì una semplice ‘dimora da nobile’ di belle linee Tudor. Quando nel 1483 i soldati del luogotente reale Henry Trenowth of Bodrugan assaltarono l’edificio, il proprietario, Sir Richard Edgecumbe, fuggì sulla riva del vicino fiume Tamar e si nascose fra i cespugli. Per depistare gli inseguitori mise una pietra nel berretto e lo gettò in acqua. Pensando che fosse annegato, i soldati si ritirarono e Sir Richard ebbe salva la vita.


CASA AVITA DEGLI EDGECUMBE – Cotehele prende il nome da un’antica dinastia feudale, ma la casa è la dimora ancestrale di un’altra famiglia. Infatti Filaria de Cotehele, erede della tenuta, sposò nel 1353 William Edgecumbe. Da allora, per sei secoli, la casa restò di proprietà di questa famiglia. Sir Richard Edgecumbe effettuò nel Quattrocento i primi restauri all’antica dimora del Cotehele, oltre a far innalzare una cappella nel bosco in segno di ringraziamento per essere così fortunatamente scampato alle truppe di Henry Trenowth. Suo figlio, Sir Piers Edgecumbe, dispose altri lavori, che diedero all’edificio un aspetto molto simile a quello attuale.



AVVISI IN CUCINA E RIGIDA REGOLAMENTAZIONE ALIMENTARE – La ‘Great Hall’, oggi decorata con armi e armature, fu completata nel 1520. anche la cucina ha mantenuto i caratteri dell’epoca, e offre un0interessante sguardo sulla preparazione dei pasti nel medioevo. Vi è appeso tra l’altro il curioso avviso in base al quale a pranzo e a cena (per gli uomini anche a collazione) era consentito bere fino a mezzo litro di birra, mentre nel resto della giornata era assolutamente proibito il consumo di alcolici.



GLI ARAZZI DI COTEHELE – Cotehele House è arredata con pregevoli mobili d’epoca in legno di quercia, ma è giustamente famosa anche per i bellissimi arazzi che ne sono la gloria. Si ricordano l’Orfeo ed Euridice, eseguito ad Anversa verso il 1700 (nella ex sala da pranzo), i Giovani servitori di Bacco nella sala del Punch, oppure quelli che ornano la camera da letto o ancora la rappresentazione del tragico amore fra Ero e Leandro nella King Charles Room, in cui si narra che abbia trascorso una notte, nel 1644, il re Carlo I, del quale porta da allora il nome.



NOBILI DI CAMPAGNA – Nobiltà e castelli formano un binomio per molti versi indissolubile. Tuttavia, non sempre un titolo nobiliare o una proprietà terriera richiedevano nel passato, per forza, un castello.
Succedeva spesso, in particolar modo in Inghilterra, che il nobile di campagna – quello che doveva diventare il rinomato ‘squire’ britannico – si accontentasse di un’ampia e comoda dimora. Magari con qualche simbolo di nobiltà come, a Cotehele, i fini merli sul corpo d’ingresso. Eppure qui visse uno dei nobili più importanti dell’Inghilterra Tudor.



LA GUERRA DELLE DUE ROSSE E LA LEALTA’ DI EDGECUMBE – Il luogotenente reale che aveva cercato di catturare Sir Richard Edgecumbe nella sua villa di Cotehele era stato inviato dal re Riccardo III, la cui ascesa e caduta sono oggetto dell’omonima, celeberrima tragedia di William Shakespeare. In quegli anni il trono d’Inghilterra era conteso fra le due case dei Lancaster (con il simbolo della rosa rossa) e degli York (rosa bianca), che si combattevano nella cosiddetta guerra delle Due Rose. Dopo la morte del fratello Edoardo IV nel 1483, Riccardo aveva rivendicato a sé la Corona e aveva fatto rinchiudere i due leggitimi eredi, i figli minorenni di Edoardo, nella torre di Londra, dove vennero, in seguito, trucemente uccisi.
Questo delitto suscitò l’indignazione di Sir Edgecumbe, che si schierò con gli avversari dell’usurpatore e fu costretto a fuggire. Edgecumbe riparò in Francia, dove si era rifugiato Enrico Tudor, discendente dei Lancaster per parte di madre. I due costituirono un esercito e tornarono in Inghilterra per affrontare Riccardo III, che sconfissero e uccisero nel 1485 nella battaglia di Bosworth. Durante il regno di Enrico VII Tudor, Sir Richard Edgecumbe assunse alti incarichi, fu ambasciatore e ottenne anche i beni di quell’Henry Trenowth che l’aveva perseguitato. Nel 1489 morì a Morlaix, dove era accorso in difesa della giovane duchessa Anna di Bretagna.



IL SUGGESTIVO PARCO SUL FIUME TAMAR – Cotehele House ha uno dei suoi punti di forza nell’ampio, ameno parco, assai frequentato dai gitanti, che si estende dalla villa di Cotehele fino al fiume Tamar, attraverso una serie di idilliche visioni campestri, suggestioni medievali e addirittura un veliero.
Dai giardini a terrazza, sistemati verso il 1865, un sentiero porta fino al parco lungo il fiume. Il clima è mite e permette la coltivazione di piante esotiche accanto a laghetti, siepi di tasso e molte altre specie floreali che lo rendono ricco di colori per tutto l’anno.
All’interno del parco è possibile ammirare una piccionaia, risalente probabilmente all’epoca di Sir Richard Edgecumbe.    
 Della tenuta fa parte anche un piccolo villaggio con un ristorante, l’Edgecumbe Arms, sul molo fluviale. Un altro ristorante si trova in un ex fienile della stessa Cotehele House.
Il National Trust e il National Marittime Museum hanno allestito un museo per presentare l’importanza economica del fiume Tamar. Ne fa parte anche il veliero ‘Shamrock’, attraccato sul molo, dopo un accurato restauro.
Merita una visita anche il museo all’aperto del maniero, con le sue antiche officine artigiane e un mulino ad acqua d’epoca.




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