«Graecae magnificae» sono le parole di Plinio il Vecchio per descrivere il tempio.
Il tempio greco è stato sempre considerato la dimora dello spirito, a differenza dell’egizio, che era piuttosto la dimora del dio, e della cattedrale cristiana, ch è la casa del popolo. Il tempio di Artemide potrebbe essere considerato l’espressione dello spirito della Grecia ionica, in larga misura influenzato dal Vicino Oriente.
L’Artemisio era qualcosa di piú di un edificio rettangolare dalle dimensioni eccezionali, cinto da ogni lato da colonne: era una vasta costruzione di marmo splendente, in mezzo a un ampio cortile isolato nel cielo, cosí che lo si potesse scorgere da lontano. Per ammirarne la facciata, bisognava retrocedere fino al cortile dell’altare, altrimenti non era possibile vedere il timpano decorato, perché troppo in alto. Quanto al cortile dell’altare, ornato di colonne e statue, era situato a una certa distanza, in linea retta rispetto al centro della facciata; ma il piccolo altare sacrificale che vi si trovava era in posizione asimmetrica; il sacerdote, intento ad una cerimonia, poteva scorgere le parti alte del tempio, ma era costretto a voltarsi per raggiungere il piccolo altare dei sacrifici.
Questa disposizione si ricollega al Vicino Oriente, dove i templi avevano talora l’entrata laterale e non ingressi sulla fronte, e dove le stanze sacre all’interno erano raggiungibili attraverso passaggi obliqui. L’accesso alla terrazza alta del santuario avveniva a mezzo di scalini di marmo, costruiti tutt’attorno all’edificio, come una gigantesca cornice, con modanature rientranti o strombi, che poggiavano direttamente sul suolo. L’alto basamento era largo circa 78,5 metri e lungo 131. Plinio ci spiega che le colonne erano alte 20 metri , snelle ed elegantemente scanalate. Le basi, molto elaborate, consistevano in anelli di marmo scolpito a rilievo, che «correvano attorno» ai tamburi sottostanti, una meraviglia architettonica, anche se non del tutto nuova nel mondo antico. Bellissimi capitelli ionici, con le loro volute squisitamente e graziosamente scolpite, proteggevano le colonne e sostenevano il blocco orizzontale di marmo sovrastante (trabeazione). Il fregio non aveva figure, ma solo una grossa dentellatura, sulla cimasa piú alta sorreggente il timpano. In quest’ultimo erano state praticate tre aperture sporgenti o finestre: quella centrale era fornita di sportelli e al suo fianco si ergevano due statue di Amazzoni ed altre due sulle grondaie. Il tetto era decorato da antefisse.
Forse, ancor piú sensazionale della visione della facciata, con i suoi «istoriati» tamburi, era lo scorcio che si presentava al visitatore al suo ingresso fra le due colonne centrali. Qui, di fronte al portico, si ergeva una «foresta di colonne» posate su basi rettangolari scolpite. Un’altra «foresta», davanti al portico retrostante del tempio, era contrapposta alla prima. Plinio parla, nel complesso, di centoventisette colonne: per disporle sul terreno in cosí gran numero, l’archeologo moderno dovette immaginarne nove sulla facciata posteriore. La cella, la casa della dea, si trovava esattamente al centro dell’edificio, con i due porticati davanti e dietro. Non abbiamo prove che la statua di Artemide Efesia dominasse la cella, come quella di Pallade ad Atene o quella di Zeus ad Olimpia. Possiamo immaginare tuttavia che la grandezza della statua cultuale di Artemide Eresia fosse quella delle copie d’epoca imperiale romana erette nel cortile del tempio: sovrastate da una elaborata corona, erano ben piú alte della figura umana.
La fama del tempio di Artemide era dovuta anche alle straordinarie dramatis personae che sostennero importanti ruoli nella vita religiosa e politica di Efeso. La dea stessa rispettava il suo ruolo di deus ex machina, quand’era necessario, come in una tragedia di Euripide. Si narra che aiutò l’architetto Chersifrone a sistemare l’architrave sulla porta principale del grande tempio marmoreo (denominato prosaicamente tempio D dagli archeologi): una trave cosí enorme, che l’architetto, considerando il suo compito, si dice avesse meditato il suicidio.
Fin dai tempi piú remoti Artemide attrasse pellegrini e viandanti, traendo da essi e dai naviganti che attraccavano al porto sacro il denaro per il sostentamento del tempio. Aveva anche la sua parte nei profitti dei mercanti che affollavano il vasto cortile: artigiani e venditori di copie in argento, e in miniatura, della sua statua cultuale e del tempio, maghi pronti a predire la sorte e a vendere oracoli, sacerdoti e sacerdotesse che mercanteggiavano resti delle carni dei sacrifici. Infatti ossa spezzate di animali furono rinvenute nel santuario, a dimostrare che il cibo consumato lí proveniva direttamente dagli altari. Artemide venne in soccorso di Creso, l’ultimo re di Lidia che aveva contribuito a far erigere in suo onore il monumentale tempio (D), e fece intervenire una Sibilla proprio nel momento in cui Ciro il Grande, il re conquistatore persiano, stava per sacrificare Creso sul rogo nel 546 a . C.
La dea, però, non riuscí ad essere presente, quando il suo tempio fu minacciato di totale rovina: la parte voluta da Creso (D) fu arsa dalle fondamenta da un certo Erostrato, il quale sperò con un simile atto di rendere il proprio nome immortale; questo strano personaggio finí come voleva per entrare nella storia del mondo, ma il suo nome divenne per antonomasia sinonimo di «infame». Plutarco, che scriveva nel II secolo d. C., narra che Erostrato forní materia per un aneddoto ancora più gustoso: la dea non fu in grado di portar soccorso al suo tempio minacciato perché troppo occupata ad assistere alla nascita di Alessandro Magno, evento che si verificò proprio la stessa notte dell’incendio dell’Artemisio, il 21 luglio del 356 a . C.
Quando Alessandro Magno entrò trionfatore a Efeso, aveva solo ventidue anni; sapeva che solo pochi anni prima una statua di suo padre Filippo II era stata eretta nel tempio ricostruito di recente (dagli archeologi denominato E) e aveva anche saputo che il nome di Creso era stato iscritto in caratteri lidi e greci sulle colonne decorate del tempio primitivo (D). Era certo al corrente che, contribuendo alla costruzione, il donatore acquisiva il diritto ad un ricordo onorifico, e cercò d’ingraziarsi gli Efesini, patrocinando un sacrificio e una processione in occasione di una festa in onore d’Artemide; ma quando si offerse di pagare la completa ricostruzione del tempio, a patto che il suo nome venisse inciso sull’edificio, un cittadino, con molta diplomazia e discrezione, gli fece presente che non era il caso che un dio offrisse doni a un altro dio.
Il diritto d’asilo elargito dal tempio di Diana accrebbe la sua fama, e i denari. Come molti antichi santuari, anch’esso ebbe la doppia funzione di banca e di istituzione religiosa. Fra tutti i supplici che cercarono rifugio nel tempio, le piú affascinanti furono le leggendarie Amazzoni. La loro richiesta d’asilo dovette essere esaudita, dato che guadagnarono, con altri, il nome di fondatrici del santuario, e le loro statue furono collocate in mezzo al timpano. Colui che viene generalmente considerato il fondatore del primo, monumentale tempio di marmo (D), è Creso, il re Lidio. Nel corso di una battaglia fra lui e un suo nipote, gli Efesini tesero una fune tra l’Acropoli, che già aveva subito danni, e una colonna del tempio, provvedendo cosí un asilo all’intera città. Piú tardi, ma sempre nel VI secolo a. C., un brutale tiranno, Pitagora, non riuscendo a impadronirsi di una fanciulla che aveva cercato rifugio nel santuario, ve la tenne prigioniera; purtroppo la giovane s’impiccò per la disperazione. Serse, il re persiano sconfitto dai Greci, inviò i suoi figli a rifugiarsi nel tempio di Artemide; qui furono custoditi da una delle donne piú pittoresche della storia greca, quell’Artemisia che partecipò in qualità d’ammiraglio alla battaglia navale di Salamina contro la flotta greca.
Alessandro Magno diede una prova del suo carattere notoriamente incostante chiedendo educatamente una prima volta al capo dei sacerdoti che gli fosse consegnato uno schiavo fuggitivo; e un’altra volta rompendo invece le regole, quando strappò a forza due supplici, per mandarli alla morte per lapidazione. In una delle tragiche vicende dei Tolomei d’Egitto, Tolomeo Fiscone, fratellastro di Tolomeo Evergete, nel 259 a . C. fuggí con la consorte Irene e cercò asilo nel tempio; qui furono entrambi assassinati. In un altro fatto tragico, Marco Antonio costrinse il primo sacerdote a portar fuori dal santuario Arsinoe, sorella di Cleopatra, che poi uccise, assicurando cosí, a Cleopatra e a se stesso, il trono d’Egitto.
Il tempio di Artemide fu anche un polo d’attrazione per filosofi, poeti e artisti. Eraclito, filosofo del VI secolo a. C., vi si chiuse volontariamente, non per sottrarsi a qualche uomo, ma, come si disse, per rifuggire dall’intera umanità. Chersifrone, il tormentato architetto del santuario primitivo (D), , ricevette aiuto non solo dalla dea, ma anche da suo figlio Metagene, architetto egli pure, e da un altro ancora, Teodoro, che aveva già affrontato analoghi problemi architettonici nella vicina Samo. Il celebre scultore Prassitele modellò statue per l’altare del tempio di Creso (D), e piú tardi Scopa decorò le basi delle colonne del tempio posteriore, d’epoca classica (E).
Di tutte le competizioni svoltesi fra i Greci – atletica, poesia, teatro, musica – quelle di scultura nel V secolo a. C. furono uniche sotto molti punti di vista. Gli scultori delle statue di bronzo delle Amazzoni furono invitati ad esporle in pubblico, e le quattro giudicate piú belle (erano quelle di Fidia, Policleto, Cresila e Fradmone) furono poi scelte per decorare il tempio D. La celebrazione della pace di Callia del 450 a . C. e il completamento del tempio di Creso furono l’occasione per questo avvenimento artistico. Non ci poteva essere un simbolo piú adatto delle Amazzoni per sottolineare la fine di un conflitto tra Est e Ovest. Le Amazzoni, infatti, non erano le donne guerriere con un solo seno, ma il simbolo di popolazioni orientali: forse le bellicose sacerdotesse di Ma, una dea madre dell’Anatolia orientale, o l’orda degli invasori ittiti o di qualche altra tribú periferica dell’Oriente. Collocate sul frontone del tempio, nel V secolo, rappresentavano i Persiani che, provenendo dall’est avevano sconfitti i Lidi e si erano impadroniti dell’Artemisio.
Nel I secolo dell’era cristiana san Paolo giunse da Corinto a Efeso, città ricca e fiorente. Antichi scrittori ne descrivono il lusso all’orientale, le colonne d’oro, i dipinti artistici del tempio; altri invece parlano di Efeso come di una città piena di lupanari, di cantanti, di attori, di bellimbusti e prostitute. Il famoso confronto fra Paolo e Demetrio, l’argentiere che arringava la folla, avvenne in un teatro, non nel tempio. Quando san Paolo inveì contro gl’idoli d’argento, la folla espresse la propria ostilità gridando: «Grande è l’Artemide degli Efesini» (Atti 19.24-34). Si può facilmente presumere che san Paolo fosse urtato dalla volgarità dell’immagine cultuale di Diana, di cui ci giunse un’altra vivida descrizione da parte di un santo uomo (o più uomini?), Giovanni, che pure visitò Efeso, nel I secolo d. C. Pare che Giovanni avesse maggior successo presso gli abitanti di quanto non ne ottenne Paolo, ma la verità è che il culto di Artemide non fu abbandonato dagli Efesini fino agli ultimi anni del IV secolo d. C. Durante la sua visita, Giovanni vide una statua dipinta di Diana, con le labbra dorate e il volto velato; visitò anche il teatro, dove, durante le feste in onore della dea, il fumo dei sacrifici era cosí fitto da oscurare il sole; ed ebbe pure lo spettacolo di una processione, con i sacerdoti che soffiavano nei corni mentre si recavano al tempio.
Alcuni archeologi inglesi scoprirono anche un’iscrizione, posteriore alle visite dei due santi, che offre uno splendido quadro di un corteo in onore di Artemide. Un benefattore, Gaio Vibio Salutare, aveva indetto una processione per la ricorrenza della nascita di Diana. Sembra che vi prendesse parte tutta la città di Efeso: amministratori, magistrati, sacerdoti e sacerdotesse del tempio, musici, danzatori, giovani; alcuni reggevano l’occorrente per il sacrificio, altri conducevano gli animali al sacrificio stesso, qualcuno a cavallo e, ciò che piú conta, vi era chi recava statue della dea. Scopo principale della processione era quello di portare l’immagine del culto fuori dal tempio, così che Artemide potesse assistere allo spettacolo in teatro – spettacolo soprattutto di giochi – poi, al ritorno, essere presente ai sacrifici nel santuario.
L’Artemide Efesia era epifanica, una divinità che «appariva» in modo che i suoi adoratori la vedessero e la venerassero: poteva affacciarsi a una finestra sacra o essere portata in processione su una specie di carro trionfale. Questa apparizione ritualistica della dea è una tradizione orientale vecchia di secoli in Anatolia, Siria, Mesopotamia ed Egitto. Nel frontone del tempio vi era un’apertura abbastanza larga per permettere ad Artemide di essere vista dai suoi fedeli in basso; l’apertura aveva la sua origine nei templi di Frigia, un impero che aveva perso potenza con la morte del suo ultimo re, Mida (c. 700 a . C.), ma la cui influenza religiosa si era trasmessa di generazione in generazione.
Anche i Frigi adoravano una dea che faceva rituali apparizioni, Cibele, la grande dea madre. Essa emergeva dai fianchi di pietra della montagna; talvolta, pur non avendo forma materiale, era presente nella pietra stessa; oppure era raffigurata come una colonna di pietra, custodita dai suoi leoni, o in forme umane in mezzo ad essi. Una nicchia naturale nella roccia che la inquadrava produceva una sorta di finestra per l’apparizione; e due aperture del genere erano realmente scavate sul timpano del tempio rupestre, ciascuna con racchiuso un simbolo celestiale. L’Artemide di Efeso aveva pressappoco gli stessi attributi della dea madre frigia, Cibele. Infatti, in parecchi dialetti dell’Anatolia, Artemide era detta Kubaba (Cibele). L’uso frequente in greco dell’aggettivo megale, ossia «grande», accanto al suo nome, suggerisce che Diana era la magna mater, la grande dea madre; in ciò l’Artemide di Efeso differisce dalla dea cacciatrice della più conosciuta mitologia greca: le sue origini si collocano in Oriente, non sono greche.
La strana statua dalle molte mammelle dell’Artemide Efesia rappresenta una dea madre, poiché il seno è il simbolo della fertilità femminile. La statua è rigida, la parte bassa assomiglia al sarcofago di una mummia egizia. Gli elementi decorativi, come cervi, tori, leoni, grifoni, sfingi, sirene e api, sono esseri originari dell’Est. Non c’è dubbio che la polimastica Artemide fu l’immagine cultuale da circa il III secolo a. C. fino alla distruzione del tempio da parte dei Goti nel III secolo d. C.
Il problema è quale fosse l’immagine del culto prima di quell’epoca.
Testo di Bluma L. Trell
Fonte: Clayton P.A. e Price M. J. - Le Sette Meraviglie del Mondo
1 commento:
Questo post mi appassiona particolarmente perché Artemide è non solo la dea della caccia, come giustamete ricorda il post, ma è anche la dea della Luna: la mezza luna ricorda l'arco di cui Artemide è armata e in questo si ricollega alle sue qualità di esploratrice entusiasta e coraggiosa, e per questo è simbolo stesso dell'intraprendenza e dell'autonomia femminile. Il suo tempio ad Efeso era giustamente grandioso. Grazie per queste tue gemme di storia, Ziamame!
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