venerdì 16 novembre 2012

Vigoleno – Castello e borgo



Il complesso di Vigoleno, nel comune di Vernasca, è composto da due realizzazioni completamente integrate: il castello e il borgo murato che gli si addossa. Forma oggi un insieme di alto valore architettonico e ambientale.


UNA VITA TORMENTATA – Il castello di Vigoleno, arroccato su un poggio dominante la valle dello Stirone, in Emilia, è di origine notevolmente antica. È già documentato nel X secolo. La sua posizione di alto valore strategico ne ha fatto una delle fortificazioni più tormentate del territorio. Entrato nel XII secolo nell’ambito del comune di Piacenza, fu aspramente conteso tra parmesi e piacentini, e al tempo stesso tra le famiglie feudali legati ai due comuni, gli Scotti e Pallavicino, che se lo disputarono per quasi due secoli. Fu anche oggetto di accaniti scontri tra eserciti al soldo della Santa Sede e truppe viscontee, fino a essere completamente demolito nella seconda metà del Trecento per ordine di Gian Galeazzo Visconti.


LA RICOSTRUZIONE DEGLI SCOTTI – Gli Scotti, che ritornano in possesso del feudo all’incirca in quell’epoca, chiesero nel 1389 al duca di Milano il permesso di ricostruirlo: nacque così il complesso che oggi si vede. Quello ricostruito dagli Scotti è un insieme di alto valore sia architettonico sia paesistico-ambientale. Si compone di due parti tra loro integrate: il castello vero e proprio e il borgo che gli si addossa, o, per essere più esatti, che vi si compenetra. Infatti il castello si “innerva” letteralmente nel borgo, venendo a costituire con esso non la somma di due elementi fortificati, ma un unico complesso, tutto racchiuso da mura: una perfetta, quasi didascalica espressione di cosa doveva essere un borgo appenninico del tardo medioevo.


FUSIONE DI MURA E INTERESSI – Nei paesi d’oltralpe, in Francia in particolare, ma anche in Spagna e in Germania, non è infrequente il caso del borgo “filiazione” del castello, con cui vive in simbiosi. In Italia tale situazione, tipicamente legata a una società feudale, è assai meno frequente. I centri abitati, anche piccoli, sono infatti quasi sempre un’alternativa al castello che, se vi si insedia, viene spesso sentito come “interferenza” del signore nella vita, tendenzialmente comunitaria e democratica, dell’abitato stesso. Vigoleno, con la sua completa fusione tra struttura del borgo e strutture castellane, è un’eccezione nel panorama fortificato della  Penisola.




IL VALORE DELL’AMBIENTE – Il fattore ambientale è fondamentale per apprezzare il complesso di Vigoleno. Che, se non fosse tuttora inserito in un ambiente poco o nulla compromesso – situazione sempre più rara in Italia – non avrebbe il valore esemplare che invece presenta. Si tratta in realtà di una situazione che riguarda pressoché tutta l’architettura fortificata, nata a suo tempo come elemento dominante del territorio intorno, e ora assai spesso umiliata e snaturata dalla radicale trasformazione subita dal paesaggio italiano nell’ultimo mezzo secolo.



ALLA RICERCA DEL PARAGONE – Vigoleno è un insieme assai raro nel panorama dell’Italia settentrionale. Per caratteristiche architettoniche e impianto generale ha in tutta questa ampia zona un solo paragone: il complesso fortificato di Castellaro Lagusello, in provincia di Mantova. Nell’esempio emiliano, tuttavia, il nucleo difensivo (castello vero e proprio, rocca, rivellino) assume un’importanza e una caratterizzazione dominanti, che l’esempio lombardo non possiede e che ne fanno un unicum quanto mai notevole.  



UN CASTELLO ATIPICO – Il castello di Vigoleno, cioè l’insieme direttamente occupato dal feudatario e dalla sua famiglia – in senso allargato, comprendente anche servi, armigeri e tutto quanto utile per la vita del signore -, ha una forma curiosissima, scaglionata in varie parti del complesso.
Il nucleo castellano è articolato su un ampio palazzo baronale, riservato alla residenza signorile, e da una rocca con funzioni militari, caratterizzata da un alto mastio quadrato.
Palazzo baronale e rocca sono collegati da un poderoso terrapieno della inusitata larghezza di oltre 5 m, che dà all’insieme un curioso impianto “a bilanciere”, del tutto inedito.
L’ingresso al castello è protetto da un colossale rivellino dall’impostazione assolutamente inconsueta, allungata e terminante a semicerchio: quasi un secondo castello posto a protezione del primo.


Il borgo è protetto da un suo proprio giro di mura che si salda alle cortine del castello, dando origine a un unico insieme integrato, nel quale le varie fortificazioni si potenziano a vicenda. Addirittura palazzo baronale e terrapieno vengono quasi ad “adagiarsi” sulle mura meridionali, che vengono a farne parte integrante.
Nel borgo si segnala la pieve di San Giorgio, forse del XII secolo, a tre navate e tre absidi.
Tra le due guerre mondiali il castello della duchessa Maria di Grammont ospitò autori, poeti, scrittori, musicisti: il bel mondo di quegli anni.


Celano – Un castello atipico



Celano era già in epoca antica un importante centro preromano, e fu poi un potente borgo medievale. Gli antichi conti di Celano dominavano, un tempo, una vasta porzione di territorio. Federico II ne spezzò il potere, ma anche i signori da lui imposti alla città ripresero il prestigioso titolo di conti di Celano.


NASCE IL CASTELLO – L’attuale castello di Celano nacque nello scorcio del XIV secolo. Inizialmente ne fu innalzato, a quanto pare, solo un piano; il secondo fu infatti opera, verso la metà del secolo successivo, del conte Lionello Acclozamora. Tuttavia la sospensione di mezzo secolo non comportò grandi cambiamenti nella costruzione, che si rivela di primo acchito sostanzialmente unitaria.



Concettualmente, si tratta di un tipo di edificio rarissimo in Abruzzo, paese quasi ovunque montagnoso, e dunque tale da favorire lo sviluppo di costruzioni a pianta irregolare, adattata alla variabilissima morfologia del terreno. È infatti un rettangolo regolarissimo, con quattro torri anch’esse quadrate agli angoli. Alle cortine sono addossati quattro corpi di fabbrica regolari, che danno origine a un cortile interno porticato. L’apparato a sporgere è generalizzato sia sulle cortine sia sulle torri.


IL RECINTO DIFENSIVO – Intorno a questa imponente struttura quadrata, così atipica nella sua regolarità geometrica, sta però, una più bassa cortina difensiva, di impianto fortemente irregolare, rafforzata da cinque torri tonde a profilo troncoconico (sovente chiamate in luogo “bastioni”) e da una serie di piccoli torri rompi tratta minori. È questa la vera parte militare del complesso, quella a cui era effettivamente affidata la difesa.


DIVERSITA’ RADICALI – Capita raramente che due strutture castellane facenti parte dello stesso complesso ed erette in epoche vicine siano così profondamente diverse quanto il castello di Celano e la cinta fortificata che lo racchiude. Il primo è un mastodontico e regolare insieme rettangolare, con cortine merlate e torri dotate di doppio apparato a sporgere. La seconda è un inviluppo irregolare, con torri e cortine alla stessa altezza o quasi. Nel primo le torri sono quadrate e a filo cortina, nella seconda, tonde e molto sporgenti. Ma è lo specchio di una realtà: il castello è prima di tutto un’imponente dimora signorile, la cinta è un funzionale strumento di difesa.


LA VENDETTA DELL’IMPERATORE – Gli antichi conti di Celano dominavano, un tempo, una vasta porzione di territorio. Il fatto era in gran parte una naturale conseguenza della felice posizione strategica dell’abitato, a settentrione della Piana Fucense, che già aveva fatto di Celano un importante centro preromano, poi un potente borgo medievale. Ma la loro forza poteva essere un ostacolo per un imperatore accentratore come Federico II. Perciò quando essi osarono entrare in contrasto con lui la sua vendetta fu spietata, così da spezzarne con decisione il potere e farne un esempio per eventuali altri feudatari ribelli. La città fu rasa al suolo; gli abitanti, vennero deportati e sostituiti con coloni fedeli all’imperatore; al luogo venne imposto un nuovo feudatario. Ma la geografia ha i suoi diritti. Tant’è vero che, morto Federico II, i nuovi signori da lui imposti alla città ripresero per sé il prestigioso titolo di conti di Celano (e la loro politica d’autonomia).


UN MONUMENTO CHE SI IMPONE – Splendidi sono sia la situazione ambientale d’insieme sia il rapporto gerarchico castello-abitato, di forte e immediata suggestione visiva e di grande valore simbolico. La dimora del signore si impone sull’ambiente naturale e sulle case dei sudditi.


Guardando con attenzione non è difficile riconoscere le varie fasi dell’intervento: la parte iniziale eretta, nell’ultimo decennio del Trecento, dal conte Pietro di Celano; le strutture alto rinascimentali (1450 circa) del conte Lionello Acclozzamora; i completamenti di Antonio Piccolomini, che nel 1463 aveva avuto in feudo la contea da Alfonso d’Aragona.



Sul percorso d’accesso s’incontrano tre difese successive: un portale d’ingresso cui si giunge attraverso una passerella, difeso da una delle torri tonde; la porta della cinta più interna, cui si perviene attraverso un percorso “sceo”; un portale che immette finalmente nel castello vero e proprio. La fortificazione è decisamente più difficile da assalire di quanto non appaia da lontano.
Il grande cortile, circondato da portici ad arcate ogivali su pilastri rotondi, si apre al piano superiore in un’area loggia ad archi a pieno centro, di sapore ormai rinascimentale. Al centro vi si trova un pozzo.



Il complesso, gravemente danneggiato da un terremoto nel 1915, è stato ampiamente restaurato nel secondo dopoguerra, con risultati non sempre felicissimi.
Il castello oggi appartiene al Ministero per Beni e le Attività culturali.  

giovedì 15 novembre 2012

Villa Borghese – Il parco più bello di Roma



Sono numerose, a Roma, le ville circondate dai parchi. Il cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, se ne fece costruire all’inizio del Seicento una denominata appunto casino Borghese, immersa in un enorme giardino.


GALLERIA BORGHESE , LA “REGINA DELLE COLLEZIONI ARTISTICHE” – L’aristocratica famiglia romana dei Borghese, originaria di Siena, raggiunse potere e ricchezza all’inizio del XVII secolo, con l’ascesa al soglio pontificio, nel 1605, del cardinale Camillo Borghese (1552 – 1621). Egli utilizzò a piene mani il denaro del Vaticano per favorire i suoi parenti, finanziando fra l’altro la dispendiosa passione per l’arte del “cardinale nipote”, Scipione Borghese (1576 – 1633).


LA RAFFINATEZZA DEL CARDINALE – Nel 1613 il cardinale Scipione affidò all’architetto olandese Jan Van Santen (più noto con il nome italianizzato di Giovanni Vasanzio) l’incarico di costruirgli appena fuori dell’abitato di Roma una non grande, ma raffinata villa suburbana. Contemporaneamente l’alto prelato cominciò a raccogliere opere d’arte e a commissionare a diversi artisti dell’epoca numerosi lavori. Questi furono riuniti da Marcantonio Borghese nel XVIII nel casino, da quel momento chiamato Galleria Borghese. Nel frattempo sorsero anche i vasti giardini della villa, per i quali Scipione poté usufruire di generosi contributi dal bilancio papale e che oggi sono considerati tra i più belli della capitale.


UNA FACCIATA SIMBOLICA – Splendido esempio di villa tardo manierista, curata da Jan Van Santen (Giovanni Vansanzio), su progetto quasi certamente di Flaminio Ponzio, villa Borghese è, già in facciata, un grandioso inno alla smania collezionistica e antiquaria del committente. Le sue numerosissime opere di scultura, inserite in nicchie, tondi e frontoni, fanno delle mura stesse della costruzione una sorprendente e curiosa galleria.


GALOPPATOIO E ZOO – Allo fine del Settecento Christoph Unterberger progettò per conto di Marcantonio Borghese una nuova sistemazione del parco. Risalgono a questo periodo i tre graziosi tempietti di Esculapio, Diana e Faustina. L’area è costellata di statue e monumenti, due dai qualli celebrano altrettanti famosi poeti: l’inglese Lord Byron (opera di Bertel Thorvaldsen, ma si tratta di una copia) e il tedesco Johann Wolfgang Goethe, per mano di Gustav Eberlein. Assai frequentati sono ancora in particolare il galoppatoio e il giardino zoologico.


UNA RASSEGNA DI PITTORI DI ECCELLENZA – A villa Borghese, eccellentemente restaurata alla fine del Novecento, è allestita una delle maggiori collezioni di quadri e sculture del mondo.





Vi figurano tra l’altro tre celebri capolavori di Gian Lorenzo Bernini (1590 – 1680): il David, in cui si è ritratto lo stesso artista, l’Apollo e Dafne, splendida, sensuale dimostrazione di virtuosismo plastico che coglie il momento in cui la ninfa, in fuga di fronte al dio che cerca di possederla, si trasforma in albero; il Ratto di Proserpina, ispirato con grande realismo a uno dei miti più noti della classicità.



Forse ancora più universalmente celebre è il ritratto, scolpito da Antonio Canova (1757 – 1822), di Paolina, sorella di Napoleone sposata con un principe Borghese, sdraiata languidamente seminuda su un divano di forme classiche.
Tra i tantissimi quadri vanno almeno ricordati la Deposizione di Cristo realizzata nel 1507 da Raffaello (1483 – 1520), Venere e Amore di Lucas Cranah il Vecchio (1472 – 1553), Amor sacro e amor profano di Tiziano (1477 – 1576), il Compianto sul Cristo morto di Peter Paul Runebs (1577 – 1640), nonché varie opere di grandi maestri come il Perugino (1448 – 1523), il Correggio (1489 – 1534), Paolo Veronese (1528 – 1588), il Caravaggio (1573 – 1610) e Anthonie Van Dyck (1599 – 1641).


SCRIGNO D’ARTE – La combinazione fra il riposante verde dei giardini e la visita a musei di notevole interesse artistico fanno di villa Borghese una delle tappe obbligate di una vacanza romana, anche veloce.  
L’area di villa Borghese, di circa 6 km di circonferenza, ospita numerose attrazioni tra cui musei, gallerie, accademie, un lago artificiale e vari padiglioni.
Il parco invita a passeggiate (anche in bicicletta, che è possibile noleggiare) e picnic tra gli alberi. Al centro vi si trova il giardino del Lago con un laghetto artificiale e barche a remi.
Allo scultore Pietro Canonica (1869 – 1959) e alle sue opere è dedicato un museo in forma di castello medievale, la cosiddetta Fortezzuola.
Il palazzo delle Belle Arti, eretto nel 1911, ospita la Galleria nazionale d’Arte moderna. Nel vasto panorama della produzione otto e novecentesca sono presentati scultori come Antonio Canova, Medardo Rosso, Henry Moore e pittori come Paul Cézanne, Edgar Degas, Vasilij Kandinsky. Con Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini, Giorgio de Chirico e altri sono anche documentate le correnti, tipicamente italiane, del Futurismo e della pittura metafisica.
Merita una visita villa Giulia dove ha sede il Museo nazionale archeologico, con una ricchissima collezione di reperti di epoca preromana.
Il monte Pincio offre una fantastica veduta della città.


Trujillo – Una fortezza millenaria



Nel X secolo i cavalieri cristiani penetrarono da nord nella Spagna meridionale, occupata dai Musulmani. I califfi di Còrdoba eressero numerose fortificazioni intorno alle maggiori città del loro dominio, tra cui il castello di Trujillo.


OGGETTO DI UNA LUNGA CONTESA – Nel XII secolo Trujillo era una fiorente città araba con scuole, bagni, ospedali, botteghe artigiane e mercati ben forniti. Alla fine del secolo venne però attaccata dai cristiani, che la espugnarono per la prima volta nel 1186 con Alfonso VIII di Castiglia (1155 – 1214). In seguito per varie volte il caposaldo fu riconquistato dagli arabi e di nuovo ripreso dai cristiani.


I combattimenti attorno alla città durarono cinquant’anni, finché i cristiani non ebbero definitivamente la meglio nel 1232. Gli arabi l’avevano circondata con massicce mura, ma non riuscirono a contrastare l’assalto definitivo dell’esercito nemico. La splendida società organizzata dai Mori venne disgregata e sostituita da uno stile molto più austero, improntato a una rigorosa religiosità. Il castello, teatro di queste lotte fu ancora ampliato fra il XIII e XIV secolo e utilizzato come presidio militare, fino a diventare, alla fine del Quattrocento, il quartier generale dei re cattolici, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, nella guerra contro il Portogallo.


CREATRICE DI VENTI STATI – Nel Cinquecento Trujillo fu per antonomasia la città dei conquistadores, che da qui partirono per il Sud America alla ricerca dell’Eldorado, il mitico paese dell’oro. Dice tuttora un proverbio che Trujillo è stata la matrice di 20 stati americani. La maggior parte degli avventurieri partiti pieni di illusioni non diede più sue notizie, ma qualcuno tornò, talvolta carico di tesori, e contribuì ad arricchire il proprio luogo natio.


FRANCISCO PIZARRO, ESPLORATORE E SPIETATO CONQUISTATORE – La maggiore – e più contestata – gloria cittadina, Francisco Pizarro, nacque nel 1475 dalla relazione illegittima di un consigliere comunale. Cresciuto in povertà, lavorò agli inizi come il guardiano di porci prima di guadagnarsi il pane come soldato. Il suo coraggio lo mise in luce in varie ardite spedizioni, per esempio in Centro America, dove prese parte a diverse battaglie, e nell’esplorazione della costa sudamericana. Gli storici non hanno mai chiarito il suo ruolo in una congiura in Spagna; certo è che finì in prigione, ma venne graziato e poi addirittura ricevuto dall’imperatore Carlo V (1500 – 1558), che gli affidò la conquista dell’impero inca e lo nominò governatore del Perù. Nel 1530, dopo aver raccolto soldati nella sua città natale, alzò le vele. Il suo esercito aveva una forza di soli duecento uomini, ma era superiore alle varie migliaia di combattenti incas grazie alle armi da fuoco e alla disciplina di combattimento di tipo europeo. Catturato il re inca Atahualpa, Pizarro pretese come riscatto ingenti quantità d’oro, poi, nonostante gli impegni assunti, uccise il re.


Non solo: nel volgere di dieci anni le sue truppe sterminarono migliaia di indios, rasero al suolo villaggi e città e distrussero la loro civiltà. Nel 1541, però, anche lui fu assassinato a Lima.  
A questo discusso personaggio è dedicato un monumento equestre nella Plaza Mayor di Trujillo.


LA RUDEZZA DELLA NECESSITA’ – In generale le fortificazioni arabe, pur notevolmente efficienti (va ricordato che la civiltà musulmana poteva attingere alle conoscenze del mondo bizantino e persiano, e da queste a quelle romane), erano caratterizzate da una forte tendenza decorativa, che trasmisero anche a molte fortificazioni cristiane della penisola iberica. Niente del genere a Trujillo (anche se bisogna mettere in conto le frequenti ricostruzioni cristiane). La tecnica edilizia è qui essenziale, quasi rude, tutta improntata alla più assoluta necessità, le decorazioni e compiacimenti formali inesistenti. Insomma, un monumento alla funzionalità bellica.


SOFFIO DI MEDIOEVO – L’interessante centro storico e l’atmosfera medievale rendono Trujillo una meta turistica assai frequentata dell’Estremadura. Il castello domina la città dalla cima di un colle.
Da lontano si notano le alte mura e robusti merli della fortificazione.
Le possenti torri quadrangolari risalgono al periodo arabo, a differenza di quelle cilindriche aggiunte in seguito, in epoca cristiana. Dalle torri gemelle affacciate sul cortile le guardie potevano sorvegliare i movimenti sospetti all’orizzonte.
Dal cammino di ronda si offre un grandioso panorama sulla città e sul paesaggio circostante.
Nel mastio (Torre del Homenaje) si trova una cappella con la statua di Nostra Signora della Vittoria, patrona della città, consacrata nel 1531 in memoria della Reconquista cristiana della Spagna meridionale avvenuta quarant’anni prima.
Il castello fu costruito dai Mori su resti di rovine romane. Altre rovine di età augustea sono state scoperte vicino alla chiesa di San Andrés.

Scone – L’incoronazione dei sovrani scozzesi



È uno dei luoghi più antichi e sacri della Scozia. Ma come edificio è tra i più recenti: fu eretto in forme neogotiche a partire dal 1802. qui si trovava la Stone of Scone e i re di Scozia vi ricevevano la corona.

DA MONASTERO A CASTELLO – All’epoca in cui il luogo fu scelto per incoronare i re scozzesi vi sorgeva soltanto un monastero. Anche in seguito, quando ormai da tempo gli inglesi avevano portato a Londra la “pietra dell’incoronazione”, la cerimonia continuò a svolgersi qui. Proprio per accogliere gli ospiti che intervenivano alla cerimonia accanto al monastero fu innalzato un primo castello, sulle cui fondamenta sorge quello attuale, di forme neogotiche.


L’incoronazione più spettacolare e carica di significati fu quella del 25 marzo 1306 quando Roberto Bruce (1274 – 1329) si autoproclamò re. Quella più precaria avvenne nel 1651, quando decise di farsi incoronare qui anche Carlo II che, durante la guerra civile e l’intermezzo repubblicano di Oliver Cromwell, provò a insediarsi sul trono di Scozia, nove anni prima di essere riconosciuto re di Scozia e Inghilterra.


Il monastero venne distrutto nel 1559, dopo un’appassionata predica del riformatore John Knox a Perth. Il castello invece fu risparmiato, e passò nelle mani della famiglia Gowrie. Nel 1604, quando questa famiglia risultò implicata in una congiura contro il re Giacomo I Stuart, scoperta grazie a David Murray, il delatore ricevette in compenso la tenuta di Scone, che appartiene tuttora alla sua famiglia. William Murray, signore di Scone, elevato nel 1776 al rango di conte di Mansfield, è considerato uno dei giudici più importanti nella storia inglese. Nel 1812 David Murray, terzo conte di Mansfield, modificò e ampliò l’edificio, che venne completamente rifatto in stile neogotico su progetto dell’architetto William Atkinson.


RICOSTRUIRE “IN STILE” – A vederlo da lontano, il castello di Scone sembra proprio un fortizio medievale, nonostante le incongrue finestre bianche che campeggiano sulle facciate. Avvicinandosi, si scoprono i particolari che denunciano l’età assai più recente della costruzione. Considerando le cose secondo i criteri di oggi, si tratta di edifici incongrui. Ma, visto con l’ottica del tempo, la situazione appare ben diversa. Queste ricostruzioni stilistiche di opere medievali sono uno dei mezzi con cui il nascente Romanticismo si “riappropriava” della tradizione artistica dei vari paesi, soprattutto nordici, per secoli “conculcata” dal successo delle forme artistiche di derivazione classica, messe in circolo dal Rinascimento italiano.


I SEGRETI DELLA PIETRA DI SCONE – Secondo la leggenda questa sarebbe la pietra sulla quale Giacobbe sognò la scala celeste (“Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran.  Capitò così in un luogo, dove passò la notte…; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo.  Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.”: Genesi 28, 10 - 12). Un’altra leggenda sostiene che la pietra sarebbe invece un pezzo del trono del faraone egiziano, portato in dono dalla figlia Scotia (progenitrice dagli scozzesi) dopo il matrimonio con un capotribù celtico.


Certo è comunque che Kenneth MacAlpin nell‘838 portò la pietra a Scone, vi si sedette sopra e venne incoronato come re. La cerimonia, da allora, fu ripetuta da tutti i successori, finche il re inglese Edoardo I nel 1296 non fece trasportare la pietra a Londra come bottino di guerra e la fece porre in Westminster. Ciò nonostante l’incoronazione dei sovrani scozzesi continuò ad avvenire a Scone, anche senza la pietra. Quando Elisabetta II diventò regina, nel 1953, la pietra di Scone si trovava sotto il trono. Ma era quella vera? Diverse sono le voci in proposito: secondo alcuni i monaci avrebbero consegnato a Edoardo I una pietra falsa e sepolto quella originale; altre leggende sostengono che la vera pietra sarebbe stata trovata e segretamente scambiata con l’attuale nel 1818, dopo di che se ne sarebbero perse le tracce; una terza versione accrediterebbe un furto per mano di nazionalisti scozzesi nel 1950, seguito da un ritrovamento e dalla restituzione alla famiglia reale, ma è sorto in seguito il sospetto che fosse una copia. Vera o falsa, la pietra tornò in Scozia nel 1996 e appartiene ora ai gioielli della Corona custoditi nel castello di Edinburgo. Ora Lord Mansfield la vorrebbe riportare a Scone Palace, dove per altro è custodita una copia sul luogo su cui doveva poggiare l’originale.


AVORIO, PORCELLANE E CARTAPESTA – Arredato con pregiati mobili francesi, il castello di Scone è noto anche per i suoi notevoli oggetti di porcellana, avorio e cartapesta.
La collezione d’avorio è esposta nella Dining Room e comprende oltre 70 pezzi di provenienza bavarese, fiamminga, italiana e francese. I più raffinati sono una Sacra Famiglia francese del Seicento e una Venere sulla spalla di Cupido di provenienza italiana.
Nell’Ante Room campeggia un quadro di David Murray, primo conte di Mainsfield.
Le porcellane, sistemate nella biblioteca, si segnalano in particolare per diversi rari pezzi di Meissen e Ludwigsburg.
La collezione di oggetti di cartapesta, unica al mondo, si basa in gran parte sulla produzione settecentesca della famiglia francese Martin.


Nel parco si trova la Moot Hill, l’antico luogo dove era posizionata la famosa pietra.
I dintorni del castello sono caratterizzati da un parco giochi, da sentieri escursionistici e aree per picnic, da un labirinto e dall’interessante vegetazione.

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