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martedì 21 dicembre 2010

Petra – La città nascosta dei Nabatei (I.)


Le rovine di Petra costituiscono uno dei complessi più singolari e affascinanti del mondo antico, sia per l’eccezionale qualità delle creazioni architettoniche, sia per la straordinaria posizione della città, tra colline dirupate e strettissimi canaloni, cui aggiunge ulteriore  fascino il colore della roccia nella quale sono ricavati gli edifici.


Situata nella Giordania meridionale, questa singolare località è più volte nominata nella Bibbia con il nome di Sela’ – “roccia”, in ebraico – mentre dagli Arabi è chiamata uadi Musa, ossia “Valle di Mosè”: il nome indigeno della città è tuttora ignoto e Petra non è che la traduzione greca del toponimo biblico. Sebbene il più antico insediamento noto risalga all’Eta del Ferro, l’importanza del luogo è legata all’occupazione nabatea, risalente alla seconda metà del IV secolo a. C.


 Nomadi provenienti dalla penisola arabica, una volta divenuti sedentari i Nabatei si organizzarono in una solida monarchia che traeva la propria ricchezza essenzialmente dai commerci; arroccatisi su uno degli speroni rocciosi della zona, nel 312 a. C. riuscirono a resistere al tentativo di conquista da parte di Antigono I, sancendo la propria autonomia e dando cosi inizio a un periodo di notevole splendore.



Petra si sviluppò come città rupestre all’incrocio di tre gole e divenne in breve il centro di raccolta e di difesa delle tribù vicine: la scelta di eleggerla a capitale fu motivata da ragioni di sicurezza, poiché essendo nascosta tra le montagne e con pochi accessi facilmente controllabili, costituiva un rifugio ideale. Il rapido collegamento con il Mar Rosso permise proficue comunicazioni con l’Arabia e la Mesopotamia, mentre la pista attraverso il Negev verso Gaza assicurava la possibilità di sbocco sul Mediterraneo e l’accesso ai porti della Siria. I continui rapporti con le grandi correnti commerciali e una sempre maggiore prosperità determinarono la sua notevole ellenizzazione,  evidente soprattutto nei numerosi monumenti che i sovrani nabatei fecero scavare nelle pareti rocciose durante il I secolo d. C.


 Nel momento di massimo fulgore, la popolazione di Petra doveva essere compresa tra i trenta e quaranta mila abitanti, in massima parte dediti ai commerci. L’occupazione romana e l’istituzione della provincia d’Arabia, sancita nel 106 d. C. da Traiano, ne rallentarono l’evoluzione, ma non la fermarono; tuttavia, con il fiorire di altri centri carovanieri, Cerasa e Palmira in primo luogo, e il trasferimento della capitale a Bosra nel III secolo d. C., l’importanza di Petra andò via via scemando.



Per alcuni secoli la città rupestre continuò caparbiamente a essere un centro importante, insignito del titolo di sede vescovile, e in seguito alla riorganizzazione dell’impero voluta da Diocleziano divenne capitale della provincia “Palaestina Taertia”. Dopo la conquista araba della regione decadde completamente, anche se venne per breve tempo fortificata e difesa dai crociati; dopo il XIII secolo fu definitivamente abbandonata e in Occidente se ne perse memoria fino al 1812, anno in cui fu scoperta da Johann Ludwig Burckhardt. Il celebre viaggiatore e orientalista svizzero, tuttavia, non ebbe il tempo di effettuare un’approfondita ricognizione delle rovine a causa dell’ostilità manifestata dalle locali tribù beduine.



Ventisette anni più tardi, David Roberts riuscì invece a ottenere il permesso di accamparsi a Petra per studiarne i monumenti, e fu uno dei primi occidentali a riportarne un’esauriente documentazione grafica. Scozzese, nato in un contesto sociale assai modesto.


A Petra, Roberts giunse il 6 marzo 1839 e, grazie ai buoni uffici delle sue guide locali, nonché al pagamento di un cospicuo pedaggio, gli fu  concesso di trattenersi per cinque giorni in quello che allora era il territorio di una tribù araba piuttosto bellicosa. La vista che gli si parò innanzi era tale da togliere il fiato. Il luogo in cui sorge la capitale nabatea ha la forma di un anfiteatro racchiuso da alte rocce scoscese e misura circa un chilometro da est a ovest, la metà da nord a sud; il letto di un torrente, spesso totalmente secco, attraversa questa sorta di profondo vallone e, con i suoi affluenti, delimita un basso affiorito roccioso sul quale sorgeva la città vera e propria, ormai in parte spazzata via dalle rovinose piene del corso d’acqua.



Le pareti che la circondano, in alcuni tratti alte trecento metri, vennero adibite dai Nabatei a tombe e ad abitazioni rupestri e paiono quinte scenografiche colossali, di surreale bellezza. Sulla sommità dei picchi circostanti erano posti alcuni luoghi di culto e i fortini che sorvegliavano le vie d’accesso alla città. In virtù del suo aspetto così inconsueto, la splendida capitale dei Nabatei fu già nell’antichità oggetto di stupore e ammirazione.


Quello che oggi è il letto dello uadi Musa era allora la strada principale, interamente lastricata, che iniziava nei pressi di una piscina per i bagni annessa a un ninfeo; più oltre stavano tre mercati disposti su terrazze digradanti, con le botteghe allineate sui lati, un grande tempio corinzio, le terme, l’arco onorario romano, un ginnasio a più ripiani.


La parete rocciosa contrapposta al teatro – capace di oltre sei mila posti e dalla cavea interamente tagliata nel fianco della montagna – presenta un gran numero di strutture rupestri, tutte di eccellente fattura. Al cospetto di una simile meraviglia, l’artista scozzese non nascose la sua emozione: “Sono sempre più stupito e sconcertato da questa straordinaria città….; è stato abitato ogni burrone e persino la cima delle montagne. La valle è disseminata di templi, edifici pubblici, archi di trionfo e ponti… Lo stile architettonico è diverso da ogni altro io abbia mai visto e in molte delle sue parti si nota una curiosa combinazione dello stile egizio con quello romano e quello greco. Il ruscello scorre ancora in mezzo alla città. Cespugli e fiori selvatici abbondano lussureggianti: ogni fenditura nelle rocce ne è piena e l’aria profuma della più deliziosa fragranza”.
Non appena l’accampamento fu sistemato, Roberts volle visitare il Khasné, senz’altro il monumento più celebre di Petra.

 Va ricordato che l’unico accesso agevole alla città si trova a oriente e consiste nell’angusto letto del corso d’acqua cui si è già accennato, che qui è racchiuso tra due pareti distanti in alcuni punti non più di tre metri e mezzo l’una dall’altra. Questo passaggio, oggi noto come Siq, è lungo quattro chilometri; nell’antichità le sue acque correvano in due canali scavati nella roccia e venivano convogliate nell’acquedotto cittadino.


Petra – La città nascosta dei Nabatei (II.)


Dal fascino arcano e inquitante, la gola è perennemente immersa nella penombra: la roccia multicolore appare modellata dall’incessante azione erosiva del vento e del torrentello, la cui portata aumenta paurosamente durante i temporali estivi. In vari punti la fenditura si apre a formare alcuni caravanserragli e spazi riservati un tempo all’accampamento delle carovane in arrivo; a circa metà strada, in un punto in cui il Siq cambia repentinamente direzione, ecco profilarsi il Khasnè, un tempio funerario intagliato nella montagna che non ha eguali al mondo.


Il contrasto tra il tenebroso Siq e la facciata delicatamente rosa del monumento è impressionante, la simmetria della facciata assoluta, le proporzioni di gusto squisito. Roberts ne rimase estasiato: “… non so dire se io sia rimasto più sorpreso dall’aspetto di tale costruzione o dalla sua posizione straordinaria. Sorge, intatta qual era, in un’immensa nicchia della roccia e il tenue colore della pietra, assieme al perfetto stato di conservazione dei minuscoli dettagli danno l’impressione che sia stata determinata di recente”.
La facciata, alta quaranta metri e larga venticinque, è divisa in due piani, di cui quello inferiore è costituito da un portico a frontone, con sei colonne corinzie alte dodici metri e mezzo. Tra le due coppie di colonne esterne vi sono due colossali gruppi equestri realizzati ad altorilievo, ormai molto consunti.



Il disegno del fregio consiste in una serie di grifoni affrontati, mentre il timpano, al cui centro stava un’aquila ad ali spiegate, è completato da una decorazione a volute; negli angoli dell’architrave due leoni hanno funzione di acroteri. Il secondo piano, di area eleganza, è diviso in tre elementi: al centro sta una “tholos”, quasi un tempietto rotondo in scala ridotta, tipico dell’architettura locale, con un tetto conico sormontato da un’urna. È proprio da quest’ultima che l’edificio ha preso il suo nome arabo, cioè il “Tesoro”; i beduini pensavano infatti che all’interno vi fossero celate immense ricchezze e nel tentativo di impadronirsene indirizzarono più volte il fuoco dei loro fucili contro essa, con l’intenzione di spezzarla.



La “tholos” è affiancata da due semifrontoni, ciascuno sorretto da quattro colonne angolari. Nelle nicchie vi sono rilievi rappresentanti figure femminili, oggi purtroppo assai erose; quattro gigantesche aquile, infine, fungevano da acroteri.l’interno dell’edificio è costituito dal grande vestibolo, dal quale per mezzo di otto scalini si entra nella stanza centrale: questa sala è un grande vano cubico di dodici metri di lato, affiancato su tre lati da stanze di minori dimensioni. Proprio la disposizione dei locali interni e la mancanza di un altare, oltre alla posizione del monumento nella stretta forra che certo non avrebbe reso agevoli le funzioni religiose, fanno supporre che il Khasné fosse una tomba monumentale piuttosto che un tempio, come si era creduto in passato.


A proposito dell’annosa questione su quale fosse stata la reale funzione delle strutture allineate lungo la valle, occorre dire che approfondite campagne di scavo e studi accurati hanno permesso di appurare che gli usi a cui erano adibiti gli edifici rupestri erano molteplici e che alcuni di essi erano vere e proprie abitazioni, spesso costituite da una grande stanza con colonne e nicchie sui lati e una sorta di triclinio rialzato nel centro; alcune di queste case sono ornate con affreschi a tralci di vite e a motivi floreali. Peraltro, le tipologie costruttive presenti a Petra sono alquanto eterogenee e ciascuna di esse testimonia di un diverso periodo storico, nonché di un differente influsso culturale.


I primi monumenti rupestri della città nabatea presentavano una facciata liscia, molto semplice, sormontata da una o due file di “merli” a scalini, nella quale si apriva inferiormente una porta, talvolta inquadrata da semicolonne; questo tipo di sepolcro, i cui esemplari più antichi si possono far risalire al III secolo D. C., costituiva un adattamento tipicamente nabateo di modeli diffusi nella vicina Siria. Durante i due secoli successivi si svilupparono modelli più complessi: all’origine di una simile novità stava l’adozione su larga scala di motivi architettonici ellenistici, quali il fregio, l’architrave e la lesena. Nel fratempo, era stato elaborato un particolare tipo di capitello, detto appunto “nabateo”, e si andava manifestando un sempre più largo impiego di elementi strutturali a scopo puramente ornamentale.
Il carattere estremamente provinciale dell’arte locale, sviluppatasi in una regione assai remota rispetto al bacino mediterraneo, in pieno deserto, giustificava tuttavia la persistenza di elementi autoctoni e ormai obsoleti nella decorazione, come le rosette e gli animali affrontati araldicamente.


Nella seconda metà del I secolo d. C. comparve infine un nuovo tipo di facciata, che conobbe il suo massimo sviluppo nei decenni successivi. Al  notevole arricchimento del repertorio figurativo a base architettonica si accompagnò allora quella ricerca di grandiosità scenografica che caratterizza la produzione di influenza romana: le facciate rupestri raggiunsero proporzioni colossali, con ordini di colonne sovrapposti a imitare prospetti di templi e quinte teatrali.


A questo periodo di grande fioritura appartengono la Tomba del Palazzo e la contigua Tomba Corinzia, simile al Khasné ma con un piano intermedio più basso interposto tra il frontone e la tholos.


All’epoca ellenistico-romana, così feconda di realizzazioni straordinarie e che potremmo definire “barocche”, appartiene anche lo sbalorditivo edificio noto come el Deir, o Convento. Roberts lo raggiunse nella mattinata dell’8 marzo, accompagnato da un drappello di uomini armati: inoltratosi in una profonda gola lungo un sentiero molto accidentato che ben presto si trasformò in una ripida scalinata, dopo aver superato un dislivello di oltre trecentocinquanta metri, raggiunse finalmente quello che forse è uno dei monumenti meno visitati della città nabatea ma pur tuttavia il più imponente.


Ricavata interamente nella viva roccia, la facciata del tempio è larga quarantanove metri e alta trentanove; la decorazione è simile a quella del Khasné, ma più elaborata. Il piano inferiore è delimitato da pilastri e ha otto semicolonne che inquadrano due nicchie ad arco sui lati e una porta a frontone al centro. L’ingresso introduce in una stanza quadrata, nella cui parete di fondo era scavato l’altare, inserito tra due scale.



Nel piano superiore, la facciata presenta, oltre alla tholos centrale e al frontone spezzato, due pilastri agli angoli, mentre un bel fregio dorico attraversa tutta la fronte. Roberts rimase ammaliato dal superbo spettacolo che si godeva da quella balconata di roccia, protesa sulla valle di el Ghor: “Da qui il panorama è meraviglioso, lo sguardo abbraccia la vallata, il Monte Hor -  coronato in vetta dalla tomba di Aronne – e l’intera gola montana, che si insinua in mezzo a picchi rocciosi dall’aspetto vertiginoso; l’antica città, in tutta la sua ampiezza, si estende lungo la valle”.


Fonte: Meraviglie dell'antichità, Splendori delle civiltà perdute

Le grandi tombe rupestri di Petra (I.)


Numerose sono le ragioni che rendono Petra un luogo unico al mondo. Lo scorrere del torrente noto oggi come Wadi Musa ha scavato nel corso dei secoli la valle e le strette gole che furono poi occupate dalla città antica, formando pareti scoscese di arenaria ed evidenziando le sequenze geologiche, caratterizzate da diversi colori, dal grigio al giallo tenue, al viola intenso, con una dominante rosa.


 A questo prodigioso risultato della natura si è aggiunto l’intervento dell’uomo, che ha costruito e soprattutto scolpito le facciate rocciose, nelle quali sono ricavate le tombe dei re e dei personaggi più importanti di Petra.



Oltre al loro stato di conservazione, al loro elevato numero e alle notevoli dimensione, i monumenti funerari presentano particolarità stilistiche e compositive uniche, dove si uniscono elementi di tradizioni architettoniche del tutto differenti, risalenti all’antico Egitto, all’ambiente ellenistico e al mondo del Vicino Oriente. Oltre a ciò, le tombe di Petra presentano un’ulteriore singolarità: per una crudele casualità solo tre edifici funerari hanno conservato iscrizioni, mentre gli altri mausolei hanno perduto le dediche, dal momento che queste erano incise sulla tenera pietra esposta all’azione dei venti o erano dipinte sugli stucchi, ormai caduti.



A tale silenzio si aggiunge il fatto che tutte le tombe sono state spogliate dei corredi, per cui non si hanno elementi per una datazione precisa, il che ha comportato numerose discussioni scientifiche in merito alla cronologia e all’attribuzione dei singoli edifici.


Le prime tombe si trovano nell’area davanti all’accesso principale alla città, lungo i fianchi dell’alveo prosciugato del Wadi Musa. Tra queste spiccano due tombe che manifestano in modo evidente la compresenza di tradizioni architettoniche del tutto differenti: la Tomba degli Obelischi e il Triclinio di Bab-el-Siq, due edifici sovrapposti che hanno la fronte con allineamenti diversi, sebbene le camere funerarie scavate in roccia siano quasi perfettamente parallele.


 La Tomba degli Obelischi presenta una facciata priva di confronti nell’edilizia di Petra: quattro obelischi, originariamente alti quasi sette metri, sono impostati su un ordine inferiore, nel quale si apre la porta di accesso alla camera funeraria, inquadrata da due pilastri coronati da un fregio dorico a metope e triglifi.



Tra i due obelischi centrali, in corrispondenza della porta, c’è una nicchia che presenta la stessa decorazione e nella quale vi era il rilievo di una figura maschile stante, vestita alla greca, ormai del tutto erosa. La commistione di tradizioni architettoniche del tutto eterogenee, tipica di Petra, è in questo caso quanto mai evidente: gli obelischi, monumento-simbolo dell’Egitto faraonico e  tolemaico, sono combinati con elementi classici, peraltro rielaborati in modo originale, essendo metope e triglifi inusualmente di pari larghezza.



Ma oltre all’aspetto architettonico, nella Tomba degli Obelischi si può osservare la compresenza di tradizioni differenti anche per ciò che riguarda il modo di impersonare i defunti. Si uniscono in questo caso, infatti, il concetto orientale del simbolo aniconico, privo di immagine, espresso qui dagli obelischi e quello occidentale, di ispirazione greca, della rappresentazione del defunto.


Si avrebbe così un totale di cinque personaggi ai quali sarebbe stata destinata la tomba, numero che del resto coincide con quello dei loculi presenti all’interno della camera funeraria, dei quali quello più importante era sulla parete di fondo, ad arcosolio.


Al di sotto della Tomba degli Obelischi c’è la facciata interamente ricavata nella parete rocciosa del Triclinio di Bab-el-Siq, costituita da due ordini sovrapposti. Quello inferiore è scandito da quattro semicolonne centrali e da due pilastri laterali, sui quali ci sono capitelli di tipo nabateo, molto consunti; l’ordine è coronato da un frontone spezzato, al quale si sovrappone un basso attico, decorato da quattro corte paraste. Al centro si apre la porta d’ingresso alla camera funeraria (munita di una semplice banchina a ferro di cavallo, appunto il triclinio), coronata da un timpano ad arco ribassato.



L’ordine superiore è molto basso, decorato da quattro corti semipilastri e anch’esso coronato da un frontone spezzato. Completano il monumento due camere aperte ai lati della composizione architettonica, prive di allestimenti particolari, ma con la caratteristica di avere le sepolture nel piano pavimentale.le facciate architettoniche ricorrono frequentemente nell’architettura funeraria di Petra, ma nel caso del Triclinio di Bab-el-Siq l’effetto d’insieme è quello di una costruzione alquanto schiacciata, che contrasta visibilmente con la verticalità degli obelischi slanciati della tomba superiore.


Oltre a particolarità stilistiche che suggeriscono una data più antica per la tomba superiore, appare evidente come la preesistenza della Tomba degli Obelischi abbia determinato l’impostazione tozza e quasi compressa del Triclinio. Essa fu realizzata ai tempi di un re Malichos (tra il 62 e il 30 a. C).

Le grandi tombe rupestri di Petra (II.)


Sulle pareti sono incise nicchie che possono presentarsi vuote  o avere all’interno betili di diverse forme: figure stilizzate, obelischi, pilastri.


Spesso queste raffigurazioni hanno un valore religioso (rappresentazioni antropomorfe o aniconiche degli dèi) ma talvolta si tratta di “nefesh” – monumenti che rappresentano e commemorano il defunto. Il nefesh esprime il “soffio vitale”, l’anima del morto e può anche non coincidere con la tomba vera e propria, come indica un’iscrizione nel Siq, dove si ricorda un abitante di Petra morto e sepolto nella città di Gerasa.



Al termine del primo tratto del Siq, le pareti si avvicinano impedendo quasi la luce, per poi aprirsi in una vasta corte naturale, sul cui sfondo c’è il monumento più celebre di petra: el-Khazneh el-Faroun.


Per otenere lo spazio utile per la creazione del monumento, dopo aver regolarizzato la parete scoscesa, fu praticato un colossale riquadro all’interno del quale si ottenne, abbassando la parete di fondo, una facciata architettonica a due ordini sovrapposti, larga 25,30 metri e alta 39,1.



Al pari della maggior parte dei monumenti funerari di Petra, il Khazneh è completamente scolpito nella pietra, ma lo stato di conservazione è eccezionale: la sua ubicazione isolata e il fatto che fosse stato realizzato notevolmente all’interno del fianco roccioso hanno straordinariamente preservato l’elaborata decorazione architettonica, di qualità elevatissima, e di gran parte di quella scultorea.



Nei due ordini sono infatti presenti numerose figure: in basso, tra gli intercolumni laterali ci sono le immagini a rilievo dei  Di oscuri, raffigurati su un basamento secondo l’iconografia classica e accompagnati dai cavalli, mentre nell’ordine superiore ci sono nove rilievi di figure femminili stanti su basi: tre nelle edicole frontali, quattro in quelle interne e due in quelle di fondo.



Altrettanto complesso è l’interno della tomba, costituito da un vestibolo sul quale si aprono tre porte (riccamente decorate) che conducono ad altrettante camere, delle quella centrale è la maggiore, munita di tre nicchie destinate a ospitare sarcofagi. L’effetto scenografico dato dal contrasto tra l’oscurità del Siq e la luce che illumina la grandiosa facciata del Khazneh è impressionante e sicuramente esso fu tenuto debitamente in considerazione al momento della realizzazione, ma ciò che è veramente eccezionale è il complesso programma decorativo e scultoreo, del tutto diverso da quelli delle altre tombe di Petra.



Numerosi sono gli elementi che risentono di influssi esterni al mondo nabateo – l’originalità dei capitelli, l’arcoterio centrale con il disco solare (simbolo della dea egizia Hathor e poi Iside).
A questo si contrappone la totale assenza di dati epigrafici, aspetto che ha comportato attribuzioni cronologiche del tutto diverse, con quasi tre secoli di differenza. Le ultime analisi hanno dato per certo che la cronologia del Khazneh è da porre tra la seconda metà del I secolo a. C, e gli inizi del I d. C, mentre risulta a lungo difficile stabilire a quale re nabateo essa fosse dedicata.



Di tutt’altro tipo sono la maggior parte delle altre tombe di Petra, visibili nel tratto finale del Siq e lungo le pareti rocciose dei vari “wadi” che affluivano nella valle, a tratti realizzate una sopra all’altra, venendo a formare delle quinte a più piani. Sono facciate lineari, a forma di torre, coronate da uno o più attici, nei quali compaiono frequentemente decorazioni a merli digradanti o a forma di scale a gradoni, motivi di ispirazione orientale di ambito assiro-persiano. In questi monumenti è rara la presenza di apparati figurati, come lo è quella di elementi appartenenti alla tradizione classica, limitati a sporadici inserimenti nella decorazione architettonica: la maggior parte di essi presenta caratteristiche peculari dell’architettura nabatea, come i capitelli, la cui forma richiama quella del capitello corinzio, ma il cui corpo è ridotto ad un blocco liscio.
Le tombe a torre sono la reale espressione dell’architettura funeraria nabatea, costruite per dignitari di corte e soprattutto per i ricchi mercanti che resero ricca e potente Petra.



Un gruppo che si distingue notevolmente dalla maggior parte dell altre tombe è quello denominato delle “Tombe Reali”. Il nome è giustificato non solo dalla grandiosità delle facciate, ma anche dalla loro posizione: ricavate nel fianco occidentale del Jebel el-Kubtha, esse dominano il centro abitato di Petra, venendo a costruire lo sfondo dell’asse viario principale della città. A sud c’è la Tomba dell’Urna, ben identificabile da lontano anche grazie a una serie aggiunte nel V secolo d. C, quando la tomba fu trasformata in una chiesa. La trasformazione della tomba in chiesa ha reso impossibile la comprensione di particolari, ma è molto probabile che la Tomba dell’Urna fosse destinata ad accogliere le spoglie di un re, forse Areta IV.



Nei pressi della Tomba dell’Urna vi è la Tomba Corinzia, la cui facciata richiama a prima vista la Khazneh, sebbene essa sia in un peggiore stato di conservazione a causa degli agenti atmosferici.
A lato della Tomba Corinzia c’è la cosiddetta Tomba Palazzo, una colossale facciata articolata in tre piani. Nonostante la ripetizione quasi monotona degli elementi architettonici, privi di qualsiasi elemento figurativo, le dimensioni imponenti della Tomba Palazzo la rendono uno degli edifici funerari più impressionanti di Petra.
Più modeste da un punto dimensionale, ma ugualmente significative per la loro decorazione o per gli aspetti figurativi, sono altre tombe che ripropongono facciate architettoniche.



La tomba più grande di Petra, ubicata su un colle a occidente della città, è nota con il nome di ed-Deir, il Monastero, per la frequentazione di monaci in età medievale.  La posizione topografica lontana dalla città, l’assenza di rilievi figurativi, il sensibile distacco dal gusto ellenistico, la scelta intenzionale di motivi architettonici locali sono gli elementi che hanno fatto ipotizzare che si  tratti della tomba di Rabbel II, ultimo re di Petra prima della conquista romana del 106 d. C., noto per il suo fiero attaccamento alle tradizioni e al popolo nabateo.


Fonte: Meraviglie dell'antichità, Le dimore eterne
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