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sabato 25 febbraio 2012

Santiago de Compostela: Il santuario di San Giacomo


Da più di mille anni i pellegrini percorrono le strade e i sentieri d’Europa diretti alla città di Santiago de Compostela, nella Spagna occidentale. Molti dedicano mesi della loro vita a compiere l’arduo viaggio a piedi o in bicicletta, facendo sosta presso i santuari, gli ospizi e le chiese che trovano lungo il cammino. Ancora oggi l’arrivo nella piazza della cattedrale è celebrato fra le lacrime e risa.


Si ritiene che la magica cattedrale contenga i resti mortali di Giacomo, figlio di Zebedeo, apostolo e cugino di Gesù, e in seguito il santo patrono di Spagna. Con Pietro e Giovanni, Giacomo occupa un posto speciale tra i discepoli, poiché a questi tre soltanto fu concesso di assistere alla trasfigurazione del Cristo. Una tradizione, basata sulla leggenda più che sui fatti, narra che Giacomo viaggiò fino in Spagna dopo la morte di Gesù per predicarvi il Vangelo.


Come mai l’apostolo venne sepolto a Santiago? Giacomo, decapitato da Erode Agrippa I a Gerusalemme nel 44 d. C., fu il primo dei Dodici ad essere martirizzato. La tradizione riferisce che, dopo l’esecuzione, il corpo venne caricato su una barca dai suoi discepoli di Giaffa, in Palestina. Sette giorni più tardi, guidata dalla mano di Dio e dai venti favorevoli, l’imbarcazione raggiunse le rive di Iria Flavia sulla costa atlantica della Spagna, a 32 km di distanza dall’attuale Santiago. Al termine di un viaggio su un carro trainato da buoi, Giacomo fu finalmente sepolto esattamente nel punto in cui le bestie, di comune accordo, miracolosamente si fermarono.


LA SCOPERTA DELLA TOMBA DI GIACOMO
Agli inizi del IX secolo, l’eremita Pelagio, che viveva nelle vicinanze di Iria Flavia, fu condotto da alcune luci misteriose apparse nel cielo fino a una tomba di marmo. Il vescovo locale lo identificò come quella di san Giacomo e convoco il re Alfonso II, che non perse tempo a proclamare l’apostolo patrono del regno.


Re Alfonso aveva assunto un’abile decisione politica, dato che la Spagna cristiana correva il pericolo di essere nuovamente sopraffatta dai Mori, il cui dominio si estendeva dal Marocco e la Spagna fino alla Mesopotamia. Chi meglio di san Giacomo poteva diventare il nuovo difensore della cristianità? Nell’844, durante la battaglia di Clavijo in Castiglia, si narrò che Giacomo era apparso su un cavallo bianco alla guida dell’esercito cristiano che, ispirato dal suo intervento, riuscì facilmente a mettere in rotta il nemico.


La notizia della scoperta della tomba di san Giacomo si diffuse velocemente attraverso tutto l’Occidente. Nel 950, il primo pellegrino straniero ad essere registrato, il vescovo Godescalc di Le Puy in Francia, si recò con molti fedeli a Santiago, città lontana, ma in rapida crescita. Fiorì quindi la tradizione del pellegrinaggio al sacro luogo, grazie soprattutto all’appoggio della potente abbazia benedettina di Cluny, in Francia, che eresse ospedali e priorie lungo la strada. Ben presto sia in Spagna che in Francia sorsero altri santuari, nella zona in cui erano in costruzione le quattro arterie principali di collegamento, a partire da Tours, Vézelay, Le Puy e Arles.


La cattedrale e le reliquie
Il primo santuario edificato da re Alfonso si innalzava sul luogo di un antico altare romano dedicato a Giove. Il numero in costante aumento dei pellegrini comportò, a varie riprese, l’allagramento della chiesa. L’attuale cattedrale, il cui interno simboleggia la tipica chiesa romanica meta di pellegrinaggio, fu iniziata nel 1078. secondo il francese Aimery Picaud, probabile autore di una guida per il pellegrino del XII secolo, la cattedrale “non aveva alcun difetto, essendo mirabilmente costruita, ampia, spaziosa, di dimensioni armoniose e ben proporzionata in lunghezza, larghezza e altezza”.


L’incomparabile Portico de la Gloria, intagliato alla fine del XII secolo, è introdotto dalla fiorita facciata barocca del XVIII secolo. Entrando da un ingresso laterale, il fedele è accolto da tre portali riccamente scolpiti, costruiti da file di angeli, apostoli, profeti e antenati. Molti hanno fra le mani strumenti musicai e ubbidiscono tutti alla figura seduta del Cristo in Gloria. Immediatamente sotto, un San Giacomo delicatamente tratteggiato siede sopra l’albero di Jesse. È albero genealogico di Gesù, che mostra la sua discesa da Jesse, padre di David. Nell’albero, cinque intaccature mostrano i punti in cui i pellegrini appoggiavano deferenti le dita prima di entrare nella cattedrale.


La statua dorata di San Giacomo risplende come un faro sopra l’altare maggiore. Ai lati vi sono due scale che i pellegrini salgono per abbracciare l’apostolo dal retro – è uno spettacolo sconcertante vedere due braccia animate apparire all’improvviso attorno al collo della statua dorata durante la Messa. L’ultimo dovere del pellegrino è scendere sotto l’altare e guardare il cofanetto d’argento che contiene le ossa del santo. Dopo di che i pellegrini sono autorizzati ad ornarsi delle conchiglia di Pecten, tradizionale emblema del viaggio a Santiago.


Alcuni scavi compiuti sul finire del XIX secolo in una tomba posta dietro l’altare maggiore hanno riportati alla luce le ossa di tre uomini – tra le quali vi sono forse quelle del santo? La questione sembrò risolta quando un frammento d’osso, di proprietà della cattedrale di Pistoia e ritenuto per lungo tempo parte del cranio di san Giacomo, accostato al teschio di uno dei tre uomini di Santiago vi combaciò perfettamente. Nel 1884, il papa Leone III confermò l’esistenze delle reliquie, ma è improbabile che venga dimostrata la loro reale appartenenza all’apostolo – a giudicare da altri indizi, parrebbero essere quelle di un vescovo spagnolo martirizzato.


La celebrazione del giorno di San Giacomo
Gli abitanti di Santiago e dei villaggi circostanti celebrano il giorno di San Giacomo con grande fervore. Alla vigilia e nell’anniversario, che cadde nel 25 luglio, le vie della città e la Plaza de l’Obradoiro, la più maestosa di Spagna, sono affollate dalla gente del posto e dai pellegrini stranieri.



Mentre la banda suona, gigantesche figure colorate, dette “Xigantes” (i Giganti), sfilano nelle viuzze, seguite da processioni accompagnate da canti e danze. A mezzanotte del 24 luglio si celebra il primo momento cruciale: davanti alla cattedrale viene bruciata una moschea di legno tra frenetici battimenti, fuochi artificiali, musica e balli. Nel giorno dell’anniversario, la Messa solenne nella cattedrale fornisce lo scenario per il secondo grande momento, quando viene acceso il gigantesco turibolo, il Botafumiero.



Trainato da otto uomini e traboccante fuoco e fumo, l’incensiere viene fatto oscillare fra i transetti, sotto un grande arco che si innalza dal pavimento al soffitto. I festeggiamenti raggiungono il culmine negli Anni Santi, quelli in cui l’anniversario di San Giacomo cade di domenica.


Meta finale dei pellegrini è la cattedrale di Santiago – spagnolo per San Giacomo – un tesoro architettonico ricco di altari, cappelle, dipinti e sculture. Prima delle grandi cattedrali spagnole ad essere eretta, fu iniziata verso il 1078 sotto la direzione del vescovo Gelmirez.


Straordinariamente decorato, l’altare maggiore è costruito in argento, diaspro e alabastro. Risalente al 1672, l’altare ha al centro una statua di legno di pinta di San Giacomo che, nel 1765, fu rivestita con una cappa d’argento e decorata con splendenti gioielli.



La strada che giunge a Compostela è percorsa da pellegrini provenienti da tutta Europa. Dalla Francia si dipartono quattro vie principali – da Tours, Vézeley, le Puy e Arles – convergenti in un’unica arteria che conduce a Santiago.


La Plaza de l’Obradoiro di fronte alla cattedrale di Santiago riecheggia ancora del suono delle zampogne e dei tamburi di Galizia, durante la festa del Santo. Riccamente abbigliati con i costumi nazionali, dei gruppi folcloristici rieseguono i balli tradizionali al cospetto di folle di entusiasti pellegrini e gente del luogo. Le celebrazioni hanno fine con uno spettacolare crepitio di fuochi artificiali che illuminano la cattedrale in un trionfo di incandescente splendore.


Emblema del pellegrinaggio è la conchiglia di Pecten, simbolo di Venere. Non si sa perché la conchiglia sia divenuta il contrassegno dei pellegrini, ma dal XII secolo la troviamo scolpita sui muri delle chiese di cui è disseminato il cammino fino al santuario.

giovedì 13 ottobre 2011

Basilica di Santa Maria della Salute a Venezia


Nel simbolismo politico-religioso locale, Venezia venne sempre associata alla Madonna. Nei giorni bui dell’assedio del 1509, ad esempio, il doge Leonardo Loredan definì la città “inviolabile vergine tra le lagune”. Quest’ideologia raggiunse il suo apogeo con la basilica voluta dal Senato veneziano nel 1630, immane ex voto per chiedere alla Madonna la “salute”, ovvero la salvezza dalla terribile pestilenza che stava dimezzando la popolazione. Sulla scenografica Punta della Dogana da Mar la grande massa della Salute, costellata di statue, sembra posta in rotazione dalle sue diverse facciate. Autore dall’ardito progetto fu un architetto appena trentaduenne, Baldassarre Longhena (1598-1682) che si avviava a diventare il massimo interprete del barocco in laguna. Anche se l’originalità della sua architettura precedette le grandi prove di Bernini e Borromini a Roma, essa non fu però propulsiva per lo sviluppo di un vero stile barocco veneziano e anche per questo il grande tempio votivo rimase isolato, ultima grande commissione statale ad alimentare il mito di Venezia.

SIMBOLOGIA DEL PROGETTO – “Una rotonda macchina che mai s’è veduta”. Longhena presentò in questi termini orgogliosi il suo progetto, selezionato tra altri undici nel 1631. Simbolismo e teatralità ne avevano guidato l’elaborazione. La pianta centrale e ottagonale, ispirata a quella delle chiese dipinte da Carpaccio e Raffaello, evocava anche gli antichi battisteri, alludendo dunque alla salvezza portata dalla fede. Concepita come un’ideale “macchina” mobile, la basilica ricorda le “rotonde” galleggianti allestite per le festività più solenni, secondo gli stessi principi seguiti da Bernini nell’ideare il Baldacchino di San Pietro. Alle esigenze di spettacolarità del rito, proprie della Controriforma, Longhena affiancò la razionale definizione degli spazi dell’attiguo convento, eretto per ospitare i padri Somaschi, cui venne affidata la basilica, e dal 1817 divenuto Seminario patriarcale. Fino alla morte egli seguì la fabbrica, che predilesse sulle molte altre affidategli. Gli subentrò l’allievo, Antonio Gaspari, che la concluse cinque anni dopo, nel 1687.


UNA STRUTTURA BAROCCA, BIZANTINA E PALLADINA – La scenografica posizione, protesa verso il bacino di San Marco, mette in relazione la Salute sia con le chiese palladiane sulle isole di San Giorgio e della Giudecca, sia con la basilica di San Marco. Da entrambe Longhena trasse motivi ispiratori, temperando le novità barocche tramite richiami alla tradizione. La basilica si sviluppa su un alto zoccolo, che ne slancia la massa, ed è articolata su due distinti corpi di fabbrica, coperti da cupole. Il principale, a pianta ottagonale, è caratterizzato dagli originali contrafforti, mascherati da volute, che sugli spigoli del tamburo sostengono le spinte verso l’esterno della grande cupola. L’altro, minore, è il presbiterio, che imita le analoghe strutture palladiane, sia per le absidi laterali, sia per il coro retrostante. Le calotte lisce delle cupole, rivestite in piombo secondo la consuetudine locale, richiamano invece la forma archetipica di quelle di San Marco.

TRA SANTI E VOLUTE: L’ESTERNO – Dopo esser stati banditi nel 1606 per rappresaglia verso l’interdetto papale, i gesuiti ritornarono in città nel 1657 e subito vi alimentarono il culto mariano. La Vergine, mediatrice di grazia, prevalse perciò sui tradizionali protettori della peste, come Rocco o Sebastiano, al punto che anche nel programma iconografico della Salute si registra questa variazione. Sopra l’arco trionfale d’ingresso, al quale si giunge salendo quindici scalini, lo stesso numero di quelli del biblico tempio di Salomone, si sviluppa il tema dell’Annunciazione. A essa, vista come annuncio di salvezza per l’umanità, alludono anche le due Sibille sull’arcone e gli Evangelisti ai lati. In alto, sui timpani e sulle volute, la folla di statue mostra simboli che ricordano le virtù di Maria Immacolata, trionfante sulla lanterna della cupola. Il gioco teatrale creato dal proliferare degli ornamenti scultorei spiazza l’osservatore, che distingue a fatica la struttura architettonica tra l’affollarsi dinamica di statue e motivi decorativi.

LA LANTERNA, CORONA DI OBELISCHI PER LA VERGINE – Alla sommità della chiesa, la statua dell’Immacolata è attorniata da otto obelischi, innalzati sui contrafforti della lanterna. A prima vista essi formano un’ideale corona, simbolo di trionfo, come indicò lo stesso Longhena. Va però ricordato che su alcuni palazzi lungo il Canal Grande gli obelischi stanno a indicare che tra i membri della casata vi fu un ammiraglio. Il trionfo della Vergine, che esibisce vesti e bastone di comando da capitano da mar, diviene così anche quello della Dominante. Con questa visione barocco di una Venezia – Vergine trionfante sul mare – a sua volta evocato dalle volute simili a onde – si celebravano anche i contemporanei trionfi nell’Egeo. Pochi anni prima della consacrazione della basilica, la temporanea riconquista della Morea (1683-99) aveva infatti lavato l’onta della recente perdita dell’isola di Creta, avvenuta nel 1669.

SPACCATO ASSONOMETRICO DELLA BASILICA – L’edificio sorge su un alto podio preceduto da una scalinata di quindici gradini ed è sovrastato da un’enorme cupola impostata su otto poderosi pilastri e caratterizzata  all’esterno da dodici contrafforti barocchi a volute, detti “orecchioni”. Il Longhena si ispirò per la sua grande chiesa a una corona simbolica, la corona di Maria, Regina dei Cieli. Nelle note di spiegazione che accompagnavano il suo modello nell’aprile del 1630 scrisse infatti che: “Avendo essa Chiesa mistero nella sua dedicazione, essendo dedicata alla Beata Vergine, mi parve […] di farla in forma rotonda, essendo in forma di corona, per essere dedicata a essa Vergine […]”. La statua della Vergine, con una corona di stelle, sormonta la cupola ed è posta anche sull’altare maggiore sotto un’enorme corona che pende dalla volta.

SOTTO LA CUPOLA, UNO SPAZIO TEATRALE E SIMBOLICO – All’interno, il luminosissimo spazio ottagonale è suddiviso ai vertici da semicolonne giganti, addossate ai pilastri triangolari. Esse sorreggono un’ampia trabeazione, sulla quale si alza il tamburo, aperto da alte finestre e ornato da statue di profeti. L’insieme è improntato a una grande linearità, quasi disegnativa, anche se Longhena aveva previsto di ornare la bianca cupola con stucchi e dipinti a olio. Al centro della chiesa, l’iscrizione latina sul pavimento “Unde origo, inde salus” sta a ricordare che da Dio deriva la “salute” o salvezza, nella sua doppia accezione sia fisica, sia spirituale. Osservati da quel punto, gli archi tra le semicolonne sembrano inquadrare le cappelle radiali, aperte lungo il deambulatorio, come fossero altrettante scenografie teatrali.

Percorrendo il deambulatorio, che sostituisce le navate laterali, lo spazio appare movimentato dal chiaroscuro e ricco di prospettive sempre diversificate. Esso, come tutta la chiesa, è simbolicamente basato su misure perfette e simboliche, in quanto multiple del cinque, simbolo mariano dei misteri del Rosario: di cinque piedi è lo spessore dei pilastri, di dieci la larghezza del deambulatorio, di quindici quella dell’ingresso.



IL PRESBITERIO E LA CHIESA “LONGITUDINALE” – Di fronte all’ingresso sta l’altare maggiore, preceduto da un ampio presbiterio a due absidi, memoria di quelli delle chiese palladiane. Nella chiesa, a pianta centrale, viene così a crearsi un percorso visivo longitudinale, simile a quello inaugurato dalla chiesa di San Vitale a Ravenna: un ulteriore omaggio, quindi, alle mitiche origini bizantine di Venezia. Fulcro visivo della chiesa e capolavoro della scultura barocca è l’altare. Se ne voleva affidare il progetto a Bernini, che però non rispose alle richieste. Disegnato perciò da Longhena, esso venne ornato tra il 1670 e il 1674 dal gruppo allegorico del fiammingo Giusto Le Court, il miglior scultore attivo in città. Vi è rappresentata la Vergine col Bambino che allontana la peste, vecchia strepitante, da una Venezia genuflessa e vestita da dogaressa. Da Creta giunse nel 1670 l’icona della Vergine che vi si conserva e che nell’iconografia greca dell’Hodigitria o Condottiera sembrò indicare il risorgere della potenza veneziana.

martedì 27 settembre 2011

Duomo di Firenze - Basilica di S. Maria del Fiore


L’importante mole del Duomo offre al primo ed emozionante colpo d’occhio un’immagine appartenente unitaria, mentre in realtà è il risultato di numerosi interventi susseguitisi nel corso dei secoli. Quarta chiesa della cristianità per dimensioni (153 m di lunghezza, 39 di larghezza alle navate e 90 al transetto) dopo la Basilica di S. Pietro a Roma, la Cattedrale londinese di St. Paul e il Duomo di Milano, la basilica fu commissionata ad Arnolfo di Cambio “affinché l’industria e la potenza degli uomini non inventino, né possano mai intraprendere qualcosa di più grande e di più bello”.


Sul progetto di Arnolfo, avviato nel 1296 per sostituire la precedente Cattedrale di S. Reparata, intervennero via via Giotto, Andrea Pisano e l’architetto fiorentino Francesco Talenti. Solo nel 1421 fu completata la parte absidale, con il tamburo predisposto a sostenere la cupola, che Filippo Brunelleschi avrebbe terminato 15 anni più tardi. Fu necessario un ulteriore decennio per vedere ultimata la lanterna, che il Verrocchio coronò con la grande sfera sormontata da una croce di bronzo nel 1468, a 172 anni dall’apertura della fabbrica.

ESTERNO DI S. MARIA DEL FIORE – La facciata, realizzata in parte da Arnolfo di Cambio, fu abbattuta nel 1587 perché ritenuta sorpassata, il prospetto attuale risale alla fine dell’800. Sul fianco destro spicca, prima della tribuna, la tardo-trecentesca porta dei Canonici, in stile gotico fiorito.

La parte posteriore si presenta come un movimentato insieme di absidi e absidiole, coperte da semicupole e contraffortate  da archi rampanti: la vista migliore, davvero indimenticabile, si ha dall’angolo tra le vie del Proconsolo e dell’Oriuolo. L’alto tamburo ottagonale è in parte coronato da un ballatoio la cui costruzione fu interrotta su suggerimento di Michelangelo, che l’aveva definita “gabbia da grilli”.

La grande cupola ottagonale di Brunelleschi, la più ardua e audace impresa architettonica del ‘400, si slancia nel cielo a completare la costruzione. La particolare difficoltà dell’impalcatura, conseguente alle dimensioni della cupola (circa 42 m di diametro), fu genialmente risolta con l’introduzione da parte dell’architetto di una tecnica maturata studiando le cupole d’epoca romana, che non prevedevano il ricorso alle armature di legno.  

Sul fianco sinistro si apre per prima l’incantevole porta della Mandorla, detta così per l’elemento contenuto nella cuspide gotica con l’altorilievo dell’Assunta, opera di Nanni di Banco (1414-21). Nella lunetta compare un mosaico (Annunciazione) realizzato intorno al 1491 da un cartone di Domenico e Davide Ghirlandaio.

OPERE D’ARTE IN S. MARIA DEL FIORE – L’interno della basilica, a croce latina, è diviso in tre lunghe navate scandite da poderosi pilastri, che trasmettono un effetto di austera grandiosità.

 Il Duomo di Firenze è la chiesa italiana più ricca di vetrate antiche: se ne contano 44 su 55 finestre. Nella lunetta del portale centrale, il trecentesco mosaico dell’Incoronazione della Vergine è attribuito a Gaddo Gaddi.

 Sulla destra, la tomba di Antonio Orso, vescovo di Firenze, si deve a Tino di Camaino (inizi XIV secolo).

Sopra la crociera, la spettacolare cupola è interamente ricoperta dall’affresco del Giudizio universale di Giorgio Vasari e Federico Zuccari (1572-79), in basso sono poste otto statue cinquecentesche di apostoli. Il recinto ottagonale del coro, in marmo circonda l’altare maggiore di Baccio Bandinelli, sovrastato da un Crocifisso di Benedetto da Maiano (1497).

Attorno alla corciera si aprono le tre tribune del transetto e del presbiterio. Fra la tribuna destra e quella centrale, la porta della sagrestia vecchia reca un’Ascensione di Luca della Robbia (1450 circa).

Sotto l’altare della tribuna centrale si trova l’arca di S. Zanobi, capolavoro di Lorenzo Ghiberti (1442). Nella lunetta della sagrestia delle Messe si ammira un’altra terracotta (Risurrezione, 1444) di Luca della Robbia, cui si deve anche la splendida porta in bronzo (1445-69):

la mattina del 26 aprile 1478 trovò qui scampo Lorenzo il Magnifico, mentre il fratello Giuliano cadeva ucciso nell’agguato teso loro dai Pazzi.

Nella 4° campata della navata sinistra si trova la famosa tavola di Domenico di Michelino (1465) raffigurante Dante e i suoi mondi.

Nella 3° e nella 2° campata giganteggiano i cosiddetti monumenti equestri dedicati a Giovanni Acuto e a Niccolò da Tolentino, condottieri dell’esercito fiorentino, affrescati rispettivamente da Paolo Uccello (1436) e da Andrea del Castagno (1456).

Si scende quindi, dalla 2° campata della navata destra, ai resti (IV-V secolo) della Cattedrale di S. Reparata, impropriamente indicati come “cripta”. Le rovine furono riportate alla luce durante gli scavi iniziati nel 1966, che rivelarono anche interessanti reperti romani e paleocristiani.

Da una porticina in fondo alla navata sinistra, 463 gradini salgono alla cupola: dopo una sosta sul ballatoio del tamburo, con suggestivi scorci sull’interno del tempio, inizia la parte più impegnativa dell’ascesa, che termina al ballatoio sommitale: dai suoi 91 m d’altezza si può ammirare un magnifico panorama di Firenze.

CAMPANILE DI GIOTTO – Così chiamato perché da lui progettato, innalza alla destra del Duomo i suoi 84 m di altezza, progressivamente alleggeriti da bifore e trifore e rivestiti di marmi policromi. La base, quadrata (m 14.45 per lato), è rafforzata agli angoli da contrafforti ottagonali. Giotto avviò la costruzione della torre nel 1334, ma tre anni dopo, alla sua morte, ne era stato realizzato solamente il basamento. La direzione dei lavori passò ad Andrea Pisano, cui si devono il piano con le feritoie e le nicchie per le statue, quindi a Francesco Talenti, che portò a compimento l’opera nel 1359.

Parti integranti della struttura, e non semplici elementi decorativi, vanno considerati sculture, rilievi e statue, i cui originali sono conservati nel Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore. Nelle formelle del basamento sono illustrate, nella prima fascia le attività umane (originali di Andrea Pisano e di Luca della Robbia), nella seconda i Pianeti, le Virtù, le Arti liberali e i Sacramenti (secolo XIV).

Salendo i 414 gradini di una scala a spirale si raggiunge la terrazza posta sulla sommità del campanile, con straordinaria visione ravvicinata dalla cupola brunellaschiana e grandiosa vista dell’intera città.

UNA CONGIURA DA “PAZZI” – Se la tradizione storica l’ha tramandata come congiura, i mezzi d’informazione d’oggi parlerebbero di tentato golpe: l’intento della famiglia Pazzi, appoggiata dall’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati e da Gerolamo Riario, potente nipote di papa Sisto IV, era infatti di porre fine alla signoria dei Medici. Il piano scattò la mattina del 26 aprile 1478, domenica di Pasqua, durante la celebrazione della messa in S. Maria del Fiore: nel mirino dei congiurati erano Lorenzo de’ Medici e il fratello Giuliano. Questi cadde sotto i fendenti dei sicari, ma il magnifico riuscì a trovare scampo nella sagrestia. La notizia dell’attentato, avvenuto davanti a una folla strabocchevole di fedeli, corse di bocca in bocca per tutta la città, i cui abitanti si schierarono senza esitazioni a favore dei Medici, propiziando la cattura dei congiurati e la loro condanna all’impiccagione. Diametralmente opposta fu la reazione del pontefice, che scomunicò Lorenzo e tutte le magistrature cittadine, scagliando il proprio interdetto su Firenze. Tali provvedimenti scatenarono una dura presa di posizione da parte del sinodo dei vescovi e dei prelati della Signoria medicea.

BATTISTERO DI S. GIOVANNI – Esprime l’ideale del romanico fiorentino, al quale guardarono tutti i grandi innovatori dell’architettura cittadina, da Arnolfo di Cambio a Brunelleschi e a Michelangelo. Pur non derivando da un tempio pagano, come voleva tradizione medievale, il Battistero è uno tra i più antichi edifici religiosi di Firenze, eretto tra l’XI e il XIII secolo su costruzioni di epoca romana. Fino all’800 ospitava l’unico fonte battesimale della città: “il fonte del mio battesimo”, come ricordava Dante ma poteva dire ogni fiorentino. L’edificio a pianta ottagonale con rivestimento esterno a motivi geometrici in marmo bianco e verde, ha una trabeazione continua che divide il piano inferiore, scandito da lesene e colonne, da quello superiore, a semicolonne ottagonali che sostengono tre archi a tutto sesto. Un terzo ordine, di epoca posteriore, nasconde la cupola. L’abside, rettangolare, risale al 1202.

LE PORTE E L’INTERNO DEL BATTISTERO – La porta sud, di Andrea Pisano, è la più antica delle tre (1330), è suddivisa in 28 formelle: nelle 20 superiori sono raffigurati episodi della vita del Battista, patrono del capoluogo toscano, in quelle inferiori l’Umiltà e le Virtù cardinali e teologali. La porta nord, opera di Lorenzo Ghiberti (1403-24), reca nelle formelle superiori scene del Nuovo Testamento, nelle otto inferiori gli Evangelisti e i Padri della Chiesa: lo stile, ancora tardogotico, evidenzia un notevole realismo delle fisionomie. La porta est, chiamata da Michelangelo del Paradiso, è una coppia dell’originale, in mostra presso il Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore. Commissionata al GHiberti nel 1425, rivala nelle dieci formelle con scene del Vecchio Testamento la maestria e la personalità raggiunte dall’eclettico artista fiorentino, apprezzato sia come scultore e architetto, sia nella veste di pittore.

La pianta ottagonale e la disposizione delle colonne all’interno ricordano il Pantheon di Roma. In mezzo all’ottagono centrale si trovava l’antico fonte battesimale, rimosso nel 1576 e sostiuito con un esemplare decorato da sei bassorilievi di scuola pisana (1371), collocato lungo la parete.

 A destra dell’abside è il sepolcro di Baldassarre Cossa, l’antipapa Giovanni XXIII, mirabile opera di Donatello eseguita in collaborazione con Michelozzo. Completano il palinsesto decorativo le splendide tessere dorate dei mosaici (secolo XIII) dell’abside e della cupola, influenza bizantina.
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