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giovedì 15 novembre 2012

Trujillo – Una fortezza millenaria



Nel X secolo i cavalieri cristiani penetrarono da nord nella Spagna meridionale, occupata dai Musulmani. I califfi di Còrdoba eressero numerose fortificazioni intorno alle maggiori città del loro dominio, tra cui il castello di Trujillo.


OGGETTO DI UNA LUNGA CONTESA – Nel XII secolo Trujillo era una fiorente città araba con scuole, bagni, ospedali, botteghe artigiane e mercati ben forniti. Alla fine del secolo venne però attaccata dai cristiani, che la espugnarono per la prima volta nel 1186 con Alfonso VIII di Castiglia (1155 – 1214). In seguito per varie volte il caposaldo fu riconquistato dagli arabi e di nuovo ripreso dai cristiani.


I combattimenti attorno alla città durarono cinquant’anni, finché i cristiani non ebbero definitivamente la meglio nel 1232. Gli arabi l’avevano circondata con massicce mura, ma non riuscirono a contrastare l’assalto definitivo dell’esercito nemico. La splendida società organizzata dai Mori venne disgregata e sostituita da uno stile molto più austero, improntato a una rigorosa religiosità. Il castello, teatro di queste lotte fu ancora ampliato fra il XIII e XIV secolo e utilizzato come presidio militare, fino a diventare, alla fine del Quattrocento, il quartier generale dei re cattolici, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, nella guerra contro il Portogallo.


CREATRICE DI VENTI STATI – Nel Cinquecento Trujillo fu per antonomasia la città dei conquistadores, che da qui partirono per il Sud America alla ricerca dell’Eldorado, il mitico paese dell’oro. Dice tuttora un proverbio che Trujillo è stata la matrice di 20 stati americani. La maggior parte degli avventurieri partiti pieni di illusioni non diede più sue notizie, ma qualcuno tornò, talvolta carico di tesori, e contribuì ad arricchire il proprio luogo natio.


FRANCISCO PIZARRO, ESPLORATORE E SPIETATO CONQUISTATORE – La maggiore – e più contestata – gloria cittadina, Francisco Pizarro, nacque nel 1475 dalla relazione illegittima di un consigliere comunale. Cresciuto in povertà, lavorò agli inizi come il guardiano di porci prima di guadagnarsi il pane come soldato. Il suo coraggio lo mise in luce in varie ardite spedizioni, per esempio in Centro America, dove prese parte a diverse battaglie, e nell’esplorazione della costa sudamericana. Gli storici non hanno mai chiarito il suo ruolo in una congiura in Spagna; certo è che finì in prigione, ma venne graziato e poi addirittura ricevuto dall’imperatore Carlo V (1500 – 1558), che gli affidò la conquista dell’impero inca e lo nominò governatore del Perù. Nel 1530, dopo aver raccolto soldati nella sua città natale, alzò le vele. Il suo esercito aveva una forza di soli duecento uomini, ma era superiore alle varie migliaia di combattenti incas grazie alle armi da fuoco e alla disciplina di combattimento di tipo europeo. Catturato il re inca Atahualpa, Pizarro pretese come riscatto ingenti quantità d’oro, poi, nonostante gli impegni assunti, uccise il re.


Non solo: nel volgere di dieci anni le sue truppe sterminarono migliaia di indios, rasero al suolo villaggi e città e distrussero la loro civiltà. Nel 1541, però, anche lui fu assassinato a Lima.  
A questo discusso personaggio è dedicato un monumento equestre nella Plaza Mayor di Trujillo.


LA RUDEZZA DELLA NECESSITA’ – In generale le fortificazioni arabe, pur notevolmente efficienti (va ricordato che la civiltà musulmana poteva attingere alle conoscenze del mondo bizantino e persiano, e da queste a quelle romane), erano caratterizzate da una forte tendenza decorativa, che trasmisero anche a molte fortificazioni cristiane della penisola iberica. Niente del genere a Trujillo (anche se bisogna mettere in conto le frequenti ricostruzioni cristiane). La tecnica edilizia è qui essenziale, quasi rude, tutta improntata alla più assoluta necessità, le decorazioni e compiacimenti formali inesistenti. Insomma, un monumento alla funzionalità bellica.


SOFFIO DI MEDIOEVO – L’interessante centro storico e l’atmosfera medievale rendono Trujillo una meta turistica assai frequentata dell’Estremadura. Il castello domina la città dalla cima di un colle.
Da lontano si notano le alte mura e robusti merli della fortificazione.
Le possenti torri quadrangolari risalgono al periodo arabo, a differenza di quelle cilindriche aggiunte in seguito, in epoca cristiana. Dalle torri gemelle affacciate sul cortile le guardie potevano sorvegliare i movimenti sospetti all’orizzonte.
Dal cammino di ronda si offre un grandioso panorama sulla città e sul paesaggio circostante.
Nel mastio (Torre del Homenaje) si trova una cappella con la statua di Nostra Signora della Vittoria, patrona della città, consacrata nel 1531 in memoria della Reconquista cristiana della Spagna meridionale avvenuta quarant’anni prima.
Il castello fu costruito dai Mori su resti di rovine romane. Altre rovine di età augustea sono state scoperte vicino alla chiesa di San Andrés.

mercoledì 14 novembre 2012

Manzanares el Real – Il castello dei Mendoza



Il castello fu eretto nel Quattrocento dal primo marchese di Santillana. Era una fortificazione imponente che doveva non solo rispecchiare l’importanza della famiglia ma anche difenderne i territori.


E IL RE POSE FINE ALLA CONTESA – La regione di Manzanares, sebbene abitata da pochi pastori, era stata a lungo contesa tra Madrid e Segovia. Il re castigliano Alfonso X (1221 – 1284) pose fine d’autorità a quella controversia occupando il territorio e facendone un possedimento reale (di qui il nome di “El Real”). Nel 1383 Giovanni I l’assegnò in feudo al suo cerimoniere Pedro Gonzàlez Mendoza: da quel momento cominciò l’ascesa della famiglia Mendoza, una delle più potenti di Spagna.


Inigo Lòpez de Mendoza (1398 – 1458), costruttore del castello, fu abile comandante militare, spregiudicato politico e non disprezzabile poeta. Grazie alle vittoriose campagne contro gli Arabi che occupavano la Spagna meridionale e al suo contributo nella repressione di una rivolta contro il re Giovanni II di Castiglia, fu nominato marchese di Santillana. Di conseguenza decise di fare di Manzanares una residenza all’altezza delle ambizioni della famiglia.


DIMORA ALL’ALTEZZA DEL RANGO DUCALE – Più tardi la dinastia scalò un altro gradino, acquisendo il titolo ducale. A questo punto, benché il castello fosse imponente e di bell’aspetto, i Mendoza lo reputarono poco adeguato alla nuova condizione di duchi d’Infantado. Decisero quindi di dare maggiore evidenza all’ornamentazione esterna e di sistemare l’interno con sale che per ricchezza e arredo fossero all’altezza del loro rango. Alla fine del Quattrocento, perciò, il secondo duca affidò all’architetto Juan Guas, allora sulla cresta dell’onda, l’incarico di ristrutturare adeguatamente l’edificio. Le gallerie da lui create sono considerate fra le più belle di Spagna. Ciò nonostante al termine dei lavori il duca non fu del tutto sodisfatto: le torri gli sembravano poco imponenti; e così vi fece aprire alcune feritoie, di scarso valore bellico ma di notevole impatto visivo.


COMMISTIONE DI CIVILTA’ – In Spagna esiste un’arte tipicamente iberica chiamata mudéjar, moresca: era quella praticata dai cristiani in terra islamica, che incrociava forme e metodi costruttivi delle due civiltà. Anche quando l’Islam venne respinto nell’estremo Sud del Paese, e poi addirittura scacciato oltremare, rimase nella cultura spagnola una notevole influenza moresca. Essa appare con vigore e con eccellenti risultati in castelli come quelli di Manzanares el Real, che coniuga l’impianto occidentale con soluzioni formali tipicamente moresche, quali i giri di archetti pensili sotto le merlature, i merli a tettuccio e le palle di cannone inserite nelle murature.


PICCOLO PAESE DI GRANDE STORIA CULTURALE – Manzanares el Real conta appena 3000 abitanti, ma è uno dei luoghi più significativi della letteratura spagnola. Qui infatti il re Alfonso X il Saggio, dopo aver acquisito il territorio alla Corona, compose alcune poesie e prose che diedero inizio alla letteratura spagnola e contribuirono a fondare la lingua nazionale scritta. Lo stesso Inigo Lòpez de Mendoza, costruttore del castello, è entrato nella storia letteraria con il titolo di marchese di Santillana: redasse nel suo castello alcune tra le prime poesie mai scritte nella lingua spagnola, per le quali si ispirò a Francesco Petrarca (1304 1374). Il proemio al suo Canzoniere fu inoltre il primo saggio critico sulla poesia nella letteratura spagnola. Manzanares ha trovato posto anche nella cultura, o meglio nello spettacolo, del Novecento, avendo fatto da sfondo a numerosi film: diversi western e importanti scene di due colossal di Anthony Mann con Sophia Loren, El Cid (1961) e La caduta dell’impero romano (1964).


FANTASIA NEI DECORI – Verso la fine del Quattrocento il celebre architetto Juan Guas aggiunse al castello una serie di vivaci elementi decorativi, che ne fecero uno degli edifici più caratteristici della Spagna.
L’edificio con il declino della famiglia Mendoza andò in rovina fino alla metà del Novecento quando cominciarono i lavori di restauro.


Il castello ha una pianta quadrangolare con al centro un patio porticato e due gallerie con colonne ottagonali.
Merli e feritoie furono disposti nel castello alla fine del Quattrocento non a scopi difensivi ma piuttosto per abbelire le mura.


Le quattro torri – tre cilindriche e una quadrangolare chiamata torre de Homenaje – sono ornate da file sovrapposte di palle di pietra.
La torre de Homenaje è sormontata da una torretta ottagonale.


Le grandiose gallerie e la loggia meridionale sono veri capolavori dell’architettura del tempo.
Nel perimetro del castello si trovano i resti di un ermo duecentesco in stile mudéjar, cioè ispirazione araba.


Nel complesso è custodita inoltre una collezione si splendidi arazzi seicenteschi.
Un piccolo museo interno al castello è dedicato interamente alla storia dei castelli in Spagna.


   

Santander – Palazzo Reale di Maddalena



Per convincere la famiglia reale a trascorrere le vacanze estive a Santander, la municipalità della città basca decise nel 1908 di costruire un sontuoso palazzo di vacanze sulla penisola di Maddalena. Cinque anni dopo re Alfonso XIII ne prese possesso.


UN DONO PER IL RE ALFONSO XIII – Nel 1908 i cittadini di Santander si autotassarono per erigere una degna residenza estiva per il re di Spagna, Alfonso XIII (1886 – 1941). Tutti erano entusiasmi all’idea di accogliere ogni anno il sovrano. Il 4 agosto 1913 la famiglia reale giunse in città e ricevette il dono. Fino al 1930 il re trascorse una parte dell’anno nel palazzo. Nel 1931, tuttavia, dovette andare in esilio e l’edificio venne destinato dal nuovo governo a sede dei corsi dell’università estiva.
Fu però solo dal 1949, terminati da tempo gli sconvolgimenti della guerra civile, che il palazzo di Maddalena divenne stabilmente la sede amministrativa e didattica dell’università estiva internazionale, intestata al grande concittadino e critico letterario Marcelino Menéndez y Pelayo.


UN CENTRO CONGRESSUALE MOLTO ALL’AVANGUARDIA – Nel 1977, infine, il comune di Santander riacquistò la tenuta dal conte di Barcellona, Giovanni Borbone, figlio di Alfonso XIII e padre dell’attuale re Juan Carlos. Circa vent’anni dopo, nel ambito di un radicale piano di ristrutturazione, l’intero complesso fu trasformato in un moderno centro congressuale. Dotato di strutture tecniche d’avanguardia, come computer, impianti video, cabine per la traduzione simultanea in ogni sala, il palazzo e le vecchie stalle ospitano oggi numerose e frequenti conferenze scientifiche di livello internazionale.


NEOGOTICO D’IMPORTAZIONE – Costruito tra il 1908 e il 1913, su progetto di Javier Gonzàlez Riancho e Gonzalo Bringas Vega, il palazzo per Alfonso XIII è un esempio allo stesso tempo sovraccarico e ingenuo di architettura eclettica, ispirata a un neogotico d’importazione, di matrice inglese. E questo in un paese che, all’epoca, poteva vantare un modernismo (la versione spagnola del floreale) di tutto rispetto, assai originale e creativo. Giustamente, tuttavia, Luis de la Fuente Salvador, il progettista che negli anni ’90 ha curato i lavori di ristrutturazione e trasformazione del complesso in centro congressuale, ha mantenuto le forme d’inizio secolo. Per detestabili che possano essere, sono tuttavia una testimonianza, e non secondaria, della loro epoca.



LETTERATO E FILOSOFO – Marcelino Menéndez y Pelayo è una delle glorie di Santander, dove vide la luce nel 1856. a soli 22 anni ottenne la cattedra di scienze letterarie all’università di Madrid, e tre anni dopo divenne membro dell’Accademia spagnola. Scrisse saggi fondamentali sulla storia della letteratura iberica e fu lui stesso apprezzato poeta. Restano famosi il suo studio sull’estetica nell’arte in Spagna e il trattato in quattro volumi sulla storia del romanzo spagnolo. Dal 1898 diresse la Biblioteca Nazionale e curò la pubblicazione critica delle opere di celebri autori, ad esempio di Lope de Vega (1562 – 1635). Lascio alla città natale una ricchissima biblioteca privata con oltre 40 000 volumi di argomento letterario e filosofico, che possono essere consultati nel Museo di Belle Arti, di fronte alla sua abitazione. Mosso da profonda religiosità, rivolse tutto il suo lavoro alla superiore gloria di Dio. Menéndez y Pelayo morì a Santander il 19 maggio 1912, e il suo nome è ora portato con orgoglio dall’università estiva internazionale di Maddalena.


PARCO E SPIAGGE – L’ex palazzo reale sorge nel punto più alto della penisola di Maddalena, ed è attualmente circondato dal maggior parco cittadino.
Ispirato al neogotico inglese, l’edificio si caratterizza per l’enorme quantità di ornamenti, balconi, frontoni e terrazze. Secondo il gusto romantico dell’epoca, fu innalzata anche una torre esagonale coronata da bertesche cilindriche.


L’intera penisola è occupata da un parco aperto al pubblico ma chiuso alle auto, in cui si trovano moderne opere d’arte, un piccolo zoo, campi gioco per bambini e caffè. Dai sentieri che attorniano il palazzo si godono bellissimi scorci.


Nel porto sono visibili alcune navi a vela ricostruite sull’esempio di quelle antiche, che ricordano le esplorazioni spagnole in partenza da Santander, in particolare il galeone di Francisco de Orellara, scopritore dell’Amazzonia.


Nella baia lungo la costa meridionale della penisola inizia inoltre la sconfinata spiaggia atlantica del Sardinero. Numerosi alberghi e una grande casa da gioco si affacciano sulla strada costiera.


sabato 25 febbraio 2012

Santiago de Compostela: Il santuario di San Giacomo


Da più di mille anni i pellegrini percorrono le strade e i sentieri d’Europa diretti alla città di Santiago de Compostela, nella Spagna occidentale. Molti dedicano mesi della loro vita a compiere l’arduo viaggio a piedi o in bicicletta, facendo sosta presso i santuari, gli ospizi e le chiese che trovano lungo il cammino. Ancora oggi l’arrivo nella piazza della cattedrale è celebrato fra le lacrime e risa.


Si ritiene che la magica cattedrale contenga i resti mortali di Giacomo, figlio di Zebedeo, apostolo e cugino di Gesù, e in seguito il santo patrono di Spagna. Con Pietro e Giovanni, Giacomo occupa un posto speciale tra i discepoli, poiché a questi tre soltanto fu concesso di assistere alla trasfigurazione del Cristo. Una tradizione, basata sulla leggenda più che sui fatti, narra che Giacomo viaggiò fino in Spagna dopo la morte di Gesù per predicarvi il Vangelo.


Come mai l’apostolo venne sepolto a Santiago? Giacomo, decapitato da Erode Agrippa I a Gerusalemme nel 44 d. C., fu il primo dei Dodici ad essere martirizzato. La tradizione riferisce che, dopo l’esecuzione, il corpo venne caricato su una barca dai suoi discepoli di Giaffa, in Palestina. Sette giorni più tardi, guidata dalla mano di Dio e dai venti favorevoli, l’imbarcazione raggiunse le rive di Iria Flavia sulla costa atlantica della Spagna, a 32 km di distanza dall’attuale Santiago. Al termine di un viaggio su un carro trainato da buoi, Giacomo fu finalmente sepolto esattamente nel punto in cui le bestie, di comune accordo, miracolosamente si fermarono.


LA SCOPERTA DELLA TOMBA DI GIACOMO
Agli inizi del IX secolo, l’eremita Pelagio, che viveva nelle vicinanze di Iria Flavia, fu condotto da alcune luci misteriose apparse nel cielo fino a una tomba di marmo. Il vescovo locale lo identificò come quella di san Giacomo e convoco il re Alfonso II, che non perse tempo a proclamare l’apostolo patrono del regno.


Re Alfonso aveva assunto un’abile decisione politica, dato che la Spagna cristiana correva il pericolo di essere nuovamente sopraffatta dai Mori, il cui dominio si estendeva dal Marocco e la Spagna fino alla Mesopotamia. Chi meglio di san Giacomo poteva diventare il nuovo difensore della cristianità? Nell’844, durante la battaglia di Clavijo in Castiglia, si narrò che Giacomo era apparso su un cavallo bianco alla guida dell’esercito cristiano che, ispirato dal suo intervento, riuscì facilmente a mettere in rotta il nemico.


La notizia della scoperta della tomba di san Giacomo si diffuse velocemente attraverso tutto l’Occidente. Nel 950, il primo pellegrino straniero ad essere registrato, il vescovo Godescalc di Le Puy in Francia, si recò con molti fedeli a Santiago, città lontana, ma in rapida crescita. Fiorì quindi la tradizione del pellegrinaggio al sacro luogo, grazie soprattutto all’appoggio della potente abbazia benedettina di Cluny, in Francia, che eresse ospedali e priorie lungo la strada. Ben presto sia in Spagna che in Francia sorsero altri santuari, nella zona in cui erano in costruzione le quattro arterie principali di collegamento, a partire da Tours, Vézelay, Le Puy e Arles.


La cattedrale e le reliquie
Il primo santuario edificato da re Alfonso si innalzava sul luogo di un antico altare romano dedicato a Giove. Il numero in costante aumento dei pellegrini comportò, a varie riprese, l’allagramento della chiesa. L’attuale cattedrale, il cui interno simboleggia la tipica chiesa romanica meta di pellegrinaggio, fu iniziata nel 1078. secondo il francese Aimery Picaud, probabile autore di una guida per il pellegrino del XII secolo, la cattedrale “non aveva alcun difetto, essendo mirabilmente costruita, ampia, spaziosa, di dimensioni armoniose e ben proporzionata in lunghezza, larghezza e altezza”.


L’incomparabile Portico de la Gloria, intagliato alla fine del XII secolo, è introdotto dalla fiorita facciata barocca del XVIII secolo. Entrando da un ingresso laterale, il fedele è accolto da tre portali riccamente scolpiti, costruiti da file di angeli, apostoli, profeti e antenati. Molti hanno fra le mani strumenti musicai e ubbidiscono tutti alla figura seduta del Cristo in Gloria. Immediatamente sotto, un San Giacomo delicatamente tratteggiato siede sopra l’albero di Jesse. È albero genealogico di Gesù, che mostra la sua discesa da Jesse, padre di David. Nell’albero, cinque intaccature mostrano i punti in cui i pellegrini appoggiavano deferenti le dita prima di entrare nella cattedrale.


La statua dorata di San Giacomo risplende come un faro sopra l’altare maggiore. Ai lati vi sono due scale che i pellegrini salgono per abbracciare l’apostolo dal retro – è uno spettacolo sconcertante vedere due braccia animate apparire all’improvviso attorno al collo della statua dorata durante la Messa. L’ultimo dovere del pellegrino è scendere sotto l’altare e guardare il cofanetto d’argento che contiene le ossa del santo. Dopo di che i pellegrini sono autorizzati ad ornarsi delle conchiglia di Pecten, tradizionale emblema del viaggio a Santiago.


Alcuni scavi compiuti sul finire del XIX secolo in una tomba posta dietro l’altare maggiore hanno riportati alla luce le ossa di tre uomini – tra le quali vi sono forse quelle del santo? La questione sembrò risolta quando un frammento d’osso, di proprietà della cattedrale di Pistoia e ritenuto per lungo tempo parte del cranio di san Giacomo, accostato al teschio di uno dei tre uomini di Santiago vi combaciò perfettamente. Nel 1884, il papa Leone III confermò l’esistenze delle reliquie, ma è improbabile che venga dimostrata la loro reale appartenenza all’apostolo – a giudicare da altri indizi, parrebbero essere quelle di un vescovo spagnolo martirizzato.


La celebrazione del giorno di San Giacomo
Gli abitanti di Santiago e dei villaggi circostanti celebrano il giorno di San Giacomo con grande fervore. Alla vigilia e nell’anniversario, che cadde nel 25 luglio, le vie della città e la Plaza de l’Obradoiro, la più maestosa di Spagna, sono affollate dalla gente del posto e dai pellegrini stranieri.



Mentre la banda suona, gigantesche figure colorate, dette “Xigantes” (i Giganti), sfilano nelle viuzze, seguite da processioni accompagnate da canti e danze. A mezzanotte del 24 luglio si celebra il primo momento cruciale: davanti alla cattedrale viene bruciata una moschea di legno tra frenetici battimenti, fuochi artificiali, musica e balli. Nel giorno dell’anniversario, la Messa solenne nella cattedrale fornisce lo scenario per il secondo grande momento, quando viene acceso il gigantesco turibolo, il Botafumiero.



Trainato da otto uomini e traboccante fuoco e fumo, l’incensiere viene fatto oscillare fra i transetti, sotto un grande arco che si innalza dal pavimento al soffitto. I festeggiamenti raggiungono il culmine negli Anni Santi, quelli in cui l’anniversario di San Giacomo cade di domenica.


Meta finale dei pellegrini è la cattedrale di Santiago – spagnolo per San Giacomo – un tesoro architettonico ricco di altari, cappelle, dipinti e sculture. Prima delle grandi cattedrali spagnole ad essere eretta, fu iniziata verso il 1078 sotto la direzione del vescovo Gelmirez.


Straordinariamente decorato, l’altare maggiore è costruito in argento, diaspro e alabastro. Risalente al 1672, l’altare ha al centro una statua di legno di pinta di San Giacomo che, nel 1765, fu rivestita con una cappa d’argento e decorata con splendenti gioielli.



La strada che giunge a Compostela è percorsa da pellegrini provenienti da tutta Europa. Dalla Francia si dipartono quattro vie principali – da Tours, Vézeley, le Puy e Arles – convergenti in un’unica arteria che conduce a Santiago.


La Plaza de l’Obradoiro di fronte alla cattedrale di Santiago riecheggia ancora del suono delle zampogne e dei tamburi di Galizia, durante la festa del Santo. Riccamente abbigliati con i costumi nazionali, dei gruppi folcloristici rieseguono i balli tradizionali al cospetto di folle di entusiasti pellegrini e gente del luogo. Le celebrazioni hanno fine con uno spettacolare crepitio di fuochi artificiali che illuminano la cattedrale in un trionfo di incandescente splendore.


Emblema del pellegrinaggio è la conchiglia di Pecten, simbolo di Venere. Non si sa perché la conchiglia sia divenuta il contrassegno dei pellegrini, ma dal XII secolo la troviamo scolpita sui muri delle chiese di cui è disseminato il cammino fino al santuario.

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