martedì 20 novembre 2012

Moulineaux – Il castello di Roberto il Diavolo



Il  castello di  Moulineaux  fu eretto da Roberto I, il padre  di quel Guglielmo il Conquistatore, che fu famoso per aver assunto la corona d’Inghilterra dopo averla sottomessa. In seguito la figura di Roberto I venne falsamente identificata con quella, leggendaria, di Roberto “il Diavolo”.


FIERA ROCCA NORMANNA – Rollone il Vichingo, sceso dalla Scandinavia con i suoi Normanni, gli “uomini del Nord” come li chiamavano i Franchi, aveva occupato la Francia settentrionale. Nel 911 era stato nominato dal re di Francia Carlo il Semplice addirittura duca dalla neonata “Normandia”, che da quel popolo prese il nome. Per difenderne l’autonomia il suo discendente Roberto I (1010 – 1035) aveva innalzato il castello.


BALUARDO DEI PLANAGENETI – La fortificazione, posta strategicamente sulla strada per Ruan, diventò un importante baluardo di Riccardo Cuor di Leone nella difesa dei suoi possedimenti continentali.


A sua volta Giovanni Senza Terra, suo fratello e successore, la strappò ai francesi, che nel fratempo l’avevano occupata, e la fece demolire. Dopo la definitiva cacciata dal luogo dei sovrani inglesi, Filippo II la ricostruì a partire dal 1204. tuttavia due secoli più tardi il consiglio comunale di Rouen ancora una volta ne decise lo smantellamento perché non cadesse in mano degli inglesi. La cosa, comunque, non impedì che questi ultimi esercitassero, proprio da quelle rovine, il controllo sulla regione.


PRIGIONE DI GIOVANNA D’ARCO – Nel 1431 Giovanna d’Arco, la Pulzella d’Orleans – che aveva capovolto a favore della Francia una lotta ormai disperata ed era poi caduta in mano inglese – fu rinchiusa nel castello con l’accusa di eresia e stregoneria. Con queste accuse fu arsa sul rogo a Rouen nello stesso anno.


ESTREMO BALUARDO FRANCESE – Durante le guerre di religione che scossero la Francia nel Cinquecento il castello fu nuovamente diroccato. Duramente conteso ancora nel corso del conflitto franco-tedesco del 1870, l’edificio venne infine ricostruito nel 1903 in base al modello medievale, sia non pure completamente e con numerose modifiche rispetto all’originale.


NATURALMENTE FORTE – Non sempre occorrono i ritrovati più moderni per rendere formidabile una fortificazione. Anche trascurando i casi limite, come quello di Montecassino durante la seconda guerra mondiale, bastano le vicende del castello di Moulineaux per dimostrare come una posizione naturalmente forte possa sopperire, perlomeno fino a un certo punto, alle carenze dell’architettura. Nonostante il suo impianto tipicamente medievale, infatti, il castello di Roberto il Diavolo non solo fu una delle fortificazioni più contese della guerra dei Cent’Anni, ma ebbe un ruolo non trascurabile anche durante le guerre di religione del Cinquecento. Solo alla fine di quel secolo cominciò a essere abbandonato perché obsoleto.


LA SAGA DEL FIGLIO DI SATANA – Secondo la tradizione leggendaria del medioevo francese, Roberto, poi chiamato Roberto il Diavolo, sarebbe stato il figlio di Satana e di una contessa sterile, che si era rivolta al diavolo per avere il bambino tanto sospirato. Come espiazione per la sua nascita irregolare, però era condannato a restare muto. Nonostante tale deformazione si consolò combattendo con ferocia gli invasori barbari e conducendo una vita spericolata. Sedusse la giovane figlia di un sovrano, ma in seguito rifiutò il trono che gli veniva offerto, preferendogli una vita da eremita. La saga, comparsa per la prima volta in un romanzo in versi dell’inizio del XII secolo, venne ripresa nel Trecento in una composizione intitolata Miracle de Notre Dame de Robert – le – Diable, e ancora nel Quattrocento in una narrazione in prosa. Nel 1831, in pieno Romanticismo, Meyerbeer ne fece il soggetto di un’opera lirica al cui libretto lavorò lo stesso compositore, insieme a Delavigne e a Scribe, fissando così per sempre la leggenda del figlio disperato di Satana.


RICORDO DELLE ORIGINI – Già la splendida veduta sulla valle della Senna consiglierebbe da sola la visita del castello. Qui è infatti possibile rintracciare le radici della potenza normanna, che ebbe un ruolo determinante nella futura storia europea.



Il castello appartiene ai privati: le modalità di visita e i tempi di apertura dipendono quindi dai proprietari.
Nel castello si trova un modello della tipica nave vichinga, il drakkar, lungo 20 m circa, con cui un tempo Rollone e i suoi uomini giunsero nella Francia del Nord dalla Scandinavia.
Una serie di statue di cera aiuta a ripercorrere gli inizi del ducato di Normandia. In una scena si vede il conferimento del titolo di duca a Rollone da parte del re Carlo III. Vengono anche presentati l’albero genealogico della famiglia e i successori nella carica.
L’aspetto originale del castello è visibile ora in un modello ricostruttivo in scala. Un rilievo raffigura invece il duca Roberto I.


È documentata anche la vita del celebre Guglielmo il Conquistatore.
Alcuni studiosi hanno criticato – giustamente – come troppo superficiale e fantastica la ricostruzione storica. Questa, tuttavia, avrebbe il merito di evidenziare, presso il grande pubblico, gli enormi cambiamenti di quel periodo, quando gli scandinavi presero il potere nella Francia del Nord e da li partirono alla conquista dell’Inghilterra.


sabato 17 novembre 2012

Castiglione del Lago – Un dono del papa



Nel 1550 il papa Giulio III regalò alla sorella Giacoma, in occasione delle sue nozze, l’imponente castello medievale di Castiglione sul Trasimeno, cui corrispondeva anche il rango marchionale. Il marchesato, in seguito promosso ducato, rimase alla famiglia fino al 1643.


LA ROCCA DEL LEONE – La rocca di Castiglione del lago esisteva già da secoli quando l’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen dovette riconoscere la supremazia della città di Perugia e la fortificazione fu smantellata. Il luogo, infatti, in virtù della sua eccellente posizione costituiva una costante fonte di pericolo per il Comune umbro. Il successore di Enrico, però, Federico II, salito nel 1220 sul trono dei suoi avi, la ricostruì, intorno alla metà del secolo, con il simbolico nome di rocca del Leone, da cui forse derivò con il tempo il nome di Castiglione. Ma non era la prima distruzione e ricostruzione che l’edificio dovette subire. Un secolo prima, nel 1091, infatti, era stato l’imperatore Enrico IV a demolire la fortificazione, che era tra i capisaldi dei suoi nemici.


IL PALAZZO DEI  DELLA CORGNA – Il castello donato dal pontefice alla sorella venne in seguito ampiamente rimaneggiato dal figlio di quest’ultima, Ascanio della Corgna. Egli aveva sposato Giovanna Baglioni, erede della famiglia perugina che un tempo dominava su Castiglione. La casa-forte posseduta dai Baglioni in prossimità del castello fu trasformata da Ascanio in uno sontuoso palazzo, destinato a diventare residenza dei marchesi, e quindi dei duchi, Della Corgna.


LO STUPORE DI MACHIAVELLI – La rocca di Leone, ritenuta all’epoca praticamente inespugnabile, era uno dei più grandi edifici militari d’Europa. Visitandola, lo scrittore Nicolò Machiavelli (1469 – 1527) restò colpito dal suo aspetto minaccioso, che esprimeva visivamente la forza dell’autorità. Gli sembrò un muto testimone di pietra di quei processi del potere, che in seguito cominciò a mettere a nudo, dando dignità di studio scientifico alle sue osservazioni sul cinismo politico dei principi, sui loro metodi e sui loro inganni. Il risultato fu un rigoroso trattato di politica applicata condensato in un celebre libro – Il principe, del 1513 – che purtroppo fu spesso inteso come una giustificazione della sopraffazione, della tirannia e della legge della forza piuttosto che una disincantata e realistica analisi dei meccanismi della politica.


UN RECIPROCO AIUTO – Il castello non esaurisce le fortificazioni di Castiglione del Lago. Anche il borgo vanta una sua cinta difensiva, che si allacciava alle cortine del castello venendo a costituire un’unica realtà difensiva. È uno dei pochi casi in cui il castello signorile, anche se grande e ben munito, non prevarica sull’abitato, di cui costituisce l’arx, l’estrema difesa. A sua volta, il borgo costituiva l’antemurale del castello: una reciproca collaborazione che andava a vantaggio di ambedue le realtà.


HANNIBAL AD PORTAS – Nel 217. a.C. notizie tremende giunsero a Roma: le truppe del console Gaio Flaminio erano state accerchiate sulla riva nord del lago Trasimano, a circa 15 km dall’attuale abitato di Castiglione. Quindicimila soldati e lo stesso console erano caduti in battaglia, e più nulla si frapponeva tra Annibale e l’Urbe: la strada per Roma era aperta. Tuttavia il condottiero cartaginese deviò per le Puglie, dove un anno dopo annientò presso Canne quasi l’intero esercito romano. La lunga marcia che aveva portato Annibale dalla Spagna all’Italia meridionale, valicando le Alpi, sembrava conclusa. Eppure, Annibale mancò la sua occasione. Infatti, i Romani passarono al contrattacco e nel 202 sconfissero Annibale , costringendolo prima alla fuga in Siria e poi al suicidio. Restò la frase Hannibal ad portas, “Annibale è alle porte” come ricordo di uno dei momenti più tragici di Roma.


UNA FORMIDABILE POSIZIONE DIFENSIVA – Le isole sono da sempre tra i più apprezzati luoghi difensivi. Se poi l’isola presenta fianchi scoscesi, difficili da risalire per eventuali attaccanti, la posizione difensiva diventa veramente formidabile. Questo è quello che è accaduto a Castiglione del Lago, nata inizialmente come roccaforte insulare nel Trasimeno.


UN CASTELLIERE ANTICO – La località di Castiglione era molto probabilmente abitata già in epoca etrusca – parecchi reperti di tale civiltà sono stati rinvenuti nel territorio – e quasi certamente in età romana. Del resto, si trattava di una posizione che favoriva, si potrebbe dire richiedeva, un insediamento: un isolotto roccioso affiorante dal lago, a poca distanza dalla riva, tanto che con il tempo si è formato un istmo alluvionale che l’ha unito alla costa. È un tipo di località in cui si potrebbe persino aspettare un castelliere preistorico; e non è detto che in futuro non se ne trovino le tracce.


IL PRIMO CASTELLO – Una posizione così favorevole non poteva essere trascurata. Già nell’alto medioevo, infatti, sorse un castello di cui non si conoscono natura e forme, ma di cui restano vari documenti. Uno è quello con cui l’imperatore Ottone III, nel 996, lo cedette al marchese Ugo di Toscana; altri poi ne provano, in un certo periodo, l’appartenenza all’abbazia di San Germano di Corteleone. Purtroppo questa rocca originaria andò pressoché totalmente distrutta a opera dell’imperatore Enrico IV, nel corso della lunga lotta che lo oppose al papato e alle recalcitranti città dell’Italia centro-settentrionale.


L’ATTUALE FORTIFICAZIONE – Il castello e il borgo ai sui piedi (che si completavano reciprocamente) risorsero comunque ben presto, e costituirono nei secoli successivi uno dei punti di forza di Perugia, sebbene a più riprese Cortona, Orvieto, Arezzo provarono a contendergliene il possesso. A quest’epoca appartengono le strutture fortificate visibili tuttora, sorte nel XIII secolo e integrate a più riprese fino al Cinquecento, quando la fortificazione venne sostanzialmente abbandonata a favore del palazzo sottostante.


UN IMMENSO GIRO DI MURA – Più che un castello, la fortificazione che corona Castiglione del Lago sembra una piccola città racchiusa tra le sue mura. E forse nel suo tracciato c’è il ricordo degli abitanti che si erano succeduti sulla collina dall’epoca etrusca in poi. Tuttavia dal punto di vista militare l’imponente fortezza non era particolarmente temibile, se non per la sua posizione privilegiata. Troppo lontane le torri per aiutarsi con il reciproco tiro di fiancheggiamento, relativamente modeste le difese avanzate, troppo ampio il perimetro per le truppe di solito a disposizione, scarsamente compartimentato l’interno, così che una breccia in un punto avrebbe procurato il crollo dell’intera difesa. Eppure Castiglione fu per secoli una delle chiavi per il dominio sull’intera Umbria.



ALLA MODA DEI POTENTI – La cessione di papa Giulio III ai Della Corgna creò sulle rive del Trasimeno un piccolo stato principesco che durò fino al 1643, elevando la cittadina di Castiglione al rango di piccola ma orgogliosa capitale. La consacrazione di questo ruolo avvenne ai tempi di Ascanio I della Corgna, nipote del pontefice: un ardimentoso e abile capitano che doveva coprirsi di gloria a Lepanto. Egli infatti fece costruire un ampio palazzo dalle forme manieristiche, che doveva costituire la reggia del minuscolo dominio. Tale palazzo venne poi collegato alla rocca mediante un passaggio coperto, munito di feritoie, che consentiva di andare da un edificio all’altro senza interferenze dall’esterno. La realizzazione entrava nel relativamente vasto novero di strade coperte che collegavano palazzi e castelli, di cui il Corridoio vasariano di Firenze, il Passetto romano o la strada coperta di Vigevano sono alcune tra le testimonianze più note. E mostra l’ambizione dei Della Corgna che, in piccolo, ripresero un espediente spesso usato da grandi personaggi. Il passaggio, crollato nel 1963, fu ripristinato qualche anno dopo, ed è tuttora in funzione, costituendo uno degli elementi di maggior interesse del complesso.


FORZA E ARTE – In origine il roccione calcareo su cui s’innalza il castello medievale era un’isola del lago Trasimeno.
La rocca del Leone, a pianta pentagonale, con quattro torri d’angolo e le mura merlate, è un’importante testimonianza della grande architettura militare in epoca Hohenstaufen. Questo nonostante non assomigli per nulla ai tradizionali castelli federiciani, a pianta regolare e di dimensioni ridotte, compensate dall’imponenza delle strutture.
Percorrendo il cammino di ronda si può avere uno sguardo d’insieme sul complesso. Vale la pena di salire sul mastio, alto ben 29 m, per godere il bellissimo panorama del lago Trasimeno e del paesaggio circostante.
Uno dei motivi di attrazione del complesso è il passaggio coperto che collega il castello al palazzo.
Il palazzo della Corgna, sede attuale del Municipio, venne eretto, secondo la tradizione, su disegni del famoso architetto Galeazzo Alessi (1512 – 1572), ma si fa anche il nome di un altro celebre architetto, Iacopo Barozzi detto il Vignola.

venerdì 16 novembre 2012

Vigoleno – Castello e borgo



Il complesso di Vigoleno, nel comune di Vernasca, è composto da due realizzazioni completamente integrate: il castello e il borgo murato che gli si addossa. Forma oggi un insieme di alto valore architettonico e ambientale.


UNA VITA TORMENTATA – Il castello di Vigoleno, arroccato su un poggio dominante la valle dello Stirone, in Emilia, è di origine notevolmente antica. È già documentato nel X secolo. La sua posizione di alto valore strategico ne ha fatto una delle fortificazioni più tormentate del territorio. Entrato nel XII secolo nell’ambito del comune di Piacenza, fu aspramente conteso tra parmesi e piacentini, e al tempo stesso tra le famiglie feudali legati ai due comuni, gli Scotti e Pallavicino, che se lo disputarono per quasi due secoli. Fu anche oggetto di accaniti scontri tra eserciti al soldo della Santa Sede e truppe viscontee, fino a essere completamente demolito nella seconda metà del Trecento per ordine di Gian Galeazzo Visconti.


LA RICOSTRUZIONE DEGLI SCOTTI – Gli Scotti, che ritornano in possesso del feudo all’incirca in quell’epoca, chiesero nel 1389 al duca di Milano il permesso di ricostruirlo: nacque così il complesso che oggi si vede. Quello ricostruito dagli Scotti è un insieme di alto valore sia architettonico sia paesistico-ambientale. Si compone di due parti tra loro integrate: il castello vero e proprio e il borgo che gli si addossa, o, per essere più esatti, che vi si compenetra. Infatti il castello si “innerva” letteralmente nel borgo, venendo a costituire con esso non la somma di due elementi fortificati, ma un unico complesso, tutto racchiuso da mura: una perfetta, quasi didascalica espressione di cosa doveva essere un borgo appenninico del tardo medioevo.


FUSIONE DI MURA E INTERESSI – Nei paesi d’oltralpe, in Francia in particolare, ma anche in Spagna e in Germania, non è infrequente il caso del borgo “filiazione” del castello, con cui vive in simbiosi. In Italia tale situazione, tipicamente legata a una società feudale, è assai meno frequente. I centri abitati, anche piccoli, sono infatti quasi sempre un’alternativa al castello che, se vi si insedia, viene spesso sentito come “interferenza” del signore nella vita, tendenzialmente comunitaria e democratica, dell’abitato stesso. Vigoleno, con la sua completa fusione tra struttura del borgo e strutture castellane, è un’eccezione nel panorama fortificato della  Penisola.




IL VALORE DELL’AMBIENTE – Il fattore ambientale è fondamentale per apprezzare il complesso di Vigoleno. Che, se non fosse tuttora inserito in un ambiente poco o nulla compromesso – situazione sempre più rara in Italia – non avrebbe il valore esemplare che invece presenta. Si tratta in realtà di una situazione che riguarda pressoché tutta l’architettura fortificata, nata a suo tempo come elemento dominante del territorio intorno, e ora assai spesso umiliata e snaturata dalla radicale trasformazione subita dal paesaggio italiano nell’ultimo mezzo secolo.



ALLA RICERCA DEL PARAGONE – Vigoleno è un insieme assai raro nel panorama dell’Italia settentrionale. Per caratteristiche architettoniche e impianto generale ha in tutta questa ampia zona un solo paragone: il complesso fortificato di Castellaro Lagusello, in provincia di Mantova. Nell’esempio emiliano, tuttavia, il nucleo difensivo (castello vero e proprio, rocca, rivellino) assume un’importanza e una caratterizzazione dominanti, che l’esempio lombardo non possiede e che ne fanno un unicum quanto mai notevole.  



UN CASTELLO ATIPICO – Il castello di Vigoleno, cioè l’insieme direttamente occupato dal feudatario e dalla sua famiglia – in senso allargato, comprendente anche servi, armigeri e tutto quanto utile per la vita del signore -, ha una forma curiosissima, scaglionata in varie parti del complesso.
Il nucleo castellano è articolato su un ampio palazzo baronale, riservato alla residenza signorile, e da una rocca con funzioni militari, caratterizzata da un alto mastio quadrato.
Palazzo baronale e rocca sono collegati da un poderoso terrapieno della inusitata larghezza di oltre 5 m, che dà all’insieme un curioso impianto “a bilanciere”, del tutto inedito.
L’ingresso al castello è protetto da un colossale rivellino dall’impostazione assolutamente inconsueta, allungata e terminante a semicerchio: quasi un secondo castello posto a protezione del primo.


Il borgo è protetto da un suo proprio giro di mura che si salda alle cortine del castello, dando origine a un unico insieme integrato, nel quale le varie fortificazioni si potenziano a vicenda. Addirittura palazzo baronale e terrapieno vengono quasi ad “adagiarsi” sulle mura meridionali, che vengono a farne parte integrante.
Nel borgo si segnala la pieve di San Giorgio, forse del XII secolo, a tre navate e tre absidi.
Tra le due guerre mondiali il castello della duchessa Maria di Grammont ospitò autori, poeti, scrittori, musicisti: il bel mondo di quegli anni.


Celano – Un castello atipico



Celano era già in epoca antica un importante centro preromano, e fu poi un potente borgo medievale. Gli antichi conti di Celano dominavano, un tempo, una vasta porzione di territorio. Federico II ne spezzò il potere, ma anche i signori da lui imposti alla città ripresero il prestigioso titolo di conti di Celano.


NASCE IL CASTELLO – L’attuale castello di Celano nacque nello scorcio del XIV secolo. Inizialmente ne fu innalzato, a quanto pare, solo un piano; il secondo fu infatti opera, verso la metà del secolo successivo, del conte Lionello Acclozamora. Tuttavia la sospensione di mezzo secolo non comportò grandi cambiamenti nella costruzione, che si rivela di primo acchito sostanzialmente unitaria.



Concettualmente, si tratta di un tipo di edificio rarissimo in Abruzzo, paese quasi ovunque montagnoso, e dunque tale da favorire lo sviluppo di costruzioni a pianta irregolare, adattata alla variabilissima morfologia del terreno. È infatti un rettangolo regolarissimo, con quattro torri anch’esse quadrate agli angoli. Alle cortine sono addossati quattro corpi di fabbrica regolari, che danno origine a un cortile interno porticato. L’apparato a sporgere è generalizzato sia sulle cortine sia sulle torri.


IL RECINTO DIFENSIVO – Intorno a questa imponente struttura quadrata, così atipica nella sua regolarità geometrica, sta però, una più bassa cortina difensiva, di impianto fortemente irregolare, rafforzata da cinque torri tonde a profilo troncoconico (sovente chiamate in luogo “bastioni”) e da una serie di piccoli torri rompi tratta minori. È questa la vera parte militare del complesso, quella a cui era effettivamente affidata la difesa.


DIVERSITA’ RADICALI – Capita raramente che due strutture castellane facenti parte dello stesso complesso ed erette in epoche vicine siano così profondamente diverse quanto il castello di Celano e la cinta fortificata che lo racchiude. Il primo è un mastodontico e regolare insieme rettangolare, con cortine merlate e torri dotate di doppio apparato a sporgere. La seconda è un inviluppo irregolare, con torri e cortine alla stessa altezza o quasi. Nel primo le torri sono quadrate e a filo cortina, nella seconda, tonde e molto sporgenti. Ma è lo specchio di una realtà: il castello è prima di tutto un’imponente dimora signorile, la cinta è un funzionale strumento di difesa.


LA VENDETTA DELL’IMPERATORE – Gli antichi conti di Celano dominavano, un tempo, una vasta porzione di territorio. Il fatto era in gran parte una naturale conseguenza della felice posizione strategica dell’abitato, a settentrione della Piana Fucense, che già aveva fatto di Celano un importante centro preromano, poi un potente borgo medievale. Ma la loro forza poteva essere un ostacolo per un imperatore accentratore come Federico II. Perciò quando essi osarono entrare in contrasto con lui la sua vendetta fu spietata, così da spezzarne con decisione il potere e farne un esempio per eventuali altri feudatari ribelli. La città fu rasa al suolo; gli abitanti, vennero deportati e sostituiti con coloni fedeli all’imperatore; al luogo venne imposto un nuovo feudatario. Ma la geografia ha i suoi diritti. Tant’è vero che, morto Federico II, i nuovi signori da lui imposti alla città ripresero per sé il prestigioso titolo di conti di Celano (e la loro politica d’autonomia).


UN MONUMENTO CHE SI IMPONE – Splendidi sono sia la situazione ambientale d’insieme sia il rapporto gerarchico castello-abitato, di forte e immediata suggestione visiva e di grande valore simbolico. La dimora del signore si impone sull’ambiente naturale e sulle case dei sudditi.


Guardando con attenzione non è difficile riconoscere le varie fasi dell’intervento: la parte iniziale eretta, nell’ultimo decennio del Trecento, dal conte Pietro di Celano; le strutture alto rinascimentali (1450 circa) del conte Lionello Acclozzamora; i completamenti di Antonio Piccolomini, che nel 1463 aveva avuto in feudo la contea da Alfonso d’Aragona.



Sul percorso d’accesso s’incontrano tre difese successive: un portale d’ingresso cui si giunge attraverso una passerella, difeso da una delle torri tonde; la porta della cinta più interna, cui si perviene attraverso un percorso “sceo”; un portale che immette finalmente nel castello vero e proprio. La fortificazione è decisamente più difficile da assalire di quanto non appaia da lontano.
Il grande cortile, circondato da portici ad arcate ogivali su pilastri rotondi, si apre al piano superiore in un’area loggia ad archi a pieno centro, di sapore ormai rinascimentale. Al centro vi si trova un pozzo.



Il complesso, gravemente danneggiato da un terremoto nel 1915, è stato ampiamente restaurato nel secondo dopoguerra, con risultati non sempre felicissimi.
Il castello oggi appartiene al Ministero per Beni e le Attività culturali.  

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