Per il viaggiatore che, come Thomas Mann, giunge a San Marco dal mare, la visione di un sogno orientaleggiante sembra sorgere dalla laguna, nel paramento bianco – rosato del palazzo Ducale. Simbolo dello Stato veneziano, replicato in diversi palazzi comunali delle città soggette, il palazzo nacque dalla volontà di autorappresentazione dell’oligarchia patrizia. Dopo la “serata” che nel 1297 aveva chiuso l’accesso al governo alla nuova nobilità, si era infatti ampliato il potere dei rappresentanti delle famiglie più antiche e triplicato il loro numero.
Per essi venne perciò creato l’immensa sala del Maggior Consiglio, incredibilmente sospesa su un doppio loggiato a innalzarli simbolicamente verso il cielo. Attorno a essa crebbe l’interno palazzo, le cui facciate vennero subito prese a modello dai principali palazzi gotici veneziani.
Dopo il rovinoso incendio del 1577, Palladio propose di ricostruirle in forme classicheggianti, ma, in omaggio alla tradizione, esse vennero invece conservate. Il loro aspetto leggiadro, idealmente aperto alla città dai trafori gotici, sta ancora oggi a simboleggiare il consenso di cui sempre godette il governo della Serenissima.
DAL CASTELLO AL PALAZZO – Quando, nell’810, il ducato veneziano si trasferì da Malamoco, insediandosi in città, la ricca residenza del doge Particiaco ebbe l’aspetto di un palazzo fortificato, difeso tutt’intorno da un canale, con torri angolari e corte interna. Nella parziale riedificazione promossa dal doge Sebastiano Ziani tra il 1172 e il 1178, il palazzo venne suddiviso ricavandovi la residenza del doge, il palazzo di giustizia e il palazzo comunale, riservato all’assemblea dei nobili maggiorenni detta Maggior Consiglio.
Il palazzo Ducale mantenne queste stesse funzioni anche nelle successive ricostruzioni. La prima fu decisa nel dicembre 1340 per creare, verso il molo, una più vasta sala consiliare. Da questo primo nucleo si estesero le due ali che si congiunsero alla basilica, fino a formare l’attuale struttura quadrilatera aperta sul vasto cortile interno. La prima, prospiciente la piazzetta, venne conclusa nel 1438 e fu arricchita da un monumentale ingresso, la porta della Carta, ampliata nella profondità dall’arco Foscari.
La seconda, l’ala sul Rio, venne avviata in seguito a un incendio del 1483 e si rispecchiò l’aggiornato linguaggio lombardesco. Verso il 1559 il palazzo era compiuto, ma negli anni Settanta del Cinquecento due rovinosi incendi imposero la ricostruzione in forme manieriste delle principiali sale assembleari.
LA SALA SUL VUOTO – Delle due facciate principali, quella a sud è la più antica e venne eretta tra il 1341 e il 1355 a sostenere la sala del Maggior Consiglio. Illuminano la grande sala le prime cinque finestre acute da sinistra, che comprendono il balcone, simile a un arco trionfale, affiancato dalle statue delle Virtù, e coronato dalla Carità. Contravvenendo alle leggi della statica, la sala è sostenuta da due ordini di colonne. Al progressivo diminuire dei vuoti corrisponde quello dei virtuosismi architettonici, attuati per meglio ripartire il peso del paramento a losanghe, con il moltiplicarsi delle curve nei quadrilobi e nei profili flessi degli archi della loggia, dalla tipica forma di chiglia rovesciata.
Tutto l’esterno un tempo era rivestito da una vivace policromia, che ne esaltava la straordinaria fioritura di decorazioni architettoniche e scultoree. Ogni profilo rettilineo vi appare annullato, dai cordoli sugli spigoli o dai merli traforati nello stile detto fiammeggiante,stemperando la massa dell’edificio contro il cielo.
L’ENCICLOPEDIA SCOLPITA: LE SCULTURE ESTERNE – Tutti i capitelli esterni sono decorati con complesse allegorie. Centinaia di figure creano un vasto sistema simbolico, un’enciclopedia che allude all’importanza del sapere. Come ricorda a tutti il cartiglio in mano all’arcangelo Michele, scolpito sullo spigolo verso le due colonne del molo, la sapienza è l’ispiratrice di giustizia e conduce alla salvezza. Sotto di lui stanno le naturalistiche statue di Adamo ed Eva, a rappresentare l’ignoranza e la colpa originarie da riscattare, in un simbolico rinnovamento che si sviluppa a partire dal capitello d’angolo, dove pianeti e simboli astrologici fanno da corona al Sole.
Anche le statue sugli altri spigoli sviluppano simbolicamente il medesimo tema: così alla giustizia, nel Giudizio di Salomone verso la basilica, si lega di nuovo la salvezza nell’Ebbrezzo di Noè verso il rio. Se Noè prefigura Cristo e il vino l’Eucarestia, la deviazione dei suoi figli sarà quindi anche quella dei devoti veneziani.
All’altezza dell’ottava colonna del portico, dove venne interrotta la prima fase dei lavori, un quadrilobo sulla loggia è chiuso da un rilievo del 1355. Vi è rappresentata, quale allegoria del buon governo in forma di Giustizia, Venezia su un trono dai rilievi leonini evocanti quelli di Salomone.
LA PORTA DELLA CARTA – Non è certo se il suo nome derivi da un archivio in qualche locale adiacente, o dagli scrivani che vi offrivano i loro servizi. Commissionato nel 1438 a Bartolomeo Bon, che la eresse tra il 1442 e il 1457, la porta della Carta concluse la costruzione dell’ala est del palazzo, iniziata nel 1422. Capolavoro tardogotico, un tempo splendente di dorature, i suoi motivi vegetali ornano una cornice mistilinea, tipica di quello stile. Sotto la splendida trifora vi è celebrato il doge Francesco Foscari, inginocchiato davanti al leone alato, simbolo di San Marco.
Un atto di sottomissione del tutto consono allo spirito del governo veneziano, per il quale il doga non era un sovrano, ma doveva uniformarsi alle volontà dell’assemblea dei nobili. Simbolo di questo bene comune è, alla sommità del coronamento, la Giustizia, che veniva amministrata in questa parte del palazzo, idealmente sorretta dalle altre Virtù cardinali poste sulle nicchie dei pilieri laterali.
SALIRE VERSO LA GLORIA, TRA MARTE E NETTUNO: LA SCALA DEI GIGANTI – Fu lo scenario dove venne acclamato ogni doge appena eletto e anche ne venne ignominiosamente decapitato uno, Marin Faliero, reo di cospirare contro la Repubblica.
La Scala dei Giganti, realizzata da Antonio Rizzo tra il 1485 e il 1496, prese nome dalle colossali statue di Marte e Nettuno, dovute alla bottega del Sansovino e poste nel 1565 a esaltare la potenza guerriera di Venezia. Con i suoi minuti bassorilievi di trofei d’armi sui fianchi e di Vittorie alate sulla terrazza la scala si pose tra i primi, compiuti esempi di classicismo nella scultura veneziana e costituì un laico e paganeggiante contraltare ai temi sacri delle antistanti sculture dell’arco Foscari, del quale, se inquadrata dalla piazzetta, costituì il fondale scenografico.
Immettendo al loggiato orientale, al scala era anche idealmente congiunta alla vicina Scala d’Oro, progettata dal Sansovino nel 1556 e decorata con squisiti stucchi dorati da Alessandro Vittoria, primo capolavoro dello stile manierista nel palazzo.
TRA FUNZIONALITA’ E RAPPRESENTANZA, LE SALE DI GOVERNO – La Scala d’Oro conduce al secondo piano, dove si trovano le vaste sale di governo, riprogettate dopo il rovinoso incendio nel 1574 dai “proti” o architetti ducali Andrea Palladio e Antonio Rusconi.
Il loro vasto atrio è la sala delle Quattro Porte. Le allegorie dei rilievi sulla scala vengono riecheggiate nelle statue poste sui timpani delle porte, simboli delle virtù civili che dovevano ispirare le attività negli ambienti contigui, il Collegio e il Senato.
Preceduta dalla scala dell’Anticollegio, lussuosa anticamera dotata di una ricca volta ornata di stucchi, la sala del Collegio era destinata al comitato ristretto deputato all’elaborazione legislativa e alle udienze degli ambasciatori stranieri, mentre l’adiacente e vasta sala del Senato era adibita a dibattere sia le questioni amministrative e politiche dei domini veneti, sia la politica estera. In entrambe, ornate da dipinti votivi di diversi dogi e da soffitti intagliati e dorati posti a incorniciare allegorie del potere veneziano, troneggiano il tribunale ligneo destinato al doge e alle più alte cariche, e significativamente, gli orologi destinati a scandire in modo ferreo la durata delle orazioni.
AL CENTRO DEL POTERE: IL MAGGIOR CONSIGLIO – Gran parte dell’ala meridionale è occupata dall’immensa sala del Maggior Consiglio, cuore politico e scenografico del palazzo. Capace di ospitare assemblee fino a millecinquecento membri, fu il più vasto ambiente coperto al mondo privo di sostegni interni fino all’avvento del calcestruzzo armato. Il pavimento e il soffitto, come ogni altra sala a Venezia, sono infatti sostenuti da lunghe ed elastiche travi di larice.
Tradisce in parte questa struttura il telaio principale del magnifico soffitto intagliato e dorato, ideato da Cristoforo Sorte dopo l’incendio del 1577, quando venne devastata anche la vicina sala dello Scrutinio, adibita alle operazioni di voto. La sala venne progressivamente rivestita da grandi teleri, celebrativi della storia e della potenza di Venezia, affidati ai più celebri pittori locali. La decorazione del soffitto venne terminata nel 1584, mentre i dipinti alle pareti furono eseguiti tra il 1590 e l’inizio del secolo successivo.
IL PALAZZO E LA GIUSTIZIA – Nel sottotetto furono ricavate le prigioni vecchie, dette Piombi dal materiale del rivestimento esterno. Insieme alla tetra Camera del Tormento, a sala di tortura, esse stanno a ricordare che il palazzo era anche la sede dell’amministrazione giudiziaria. Vi operavano, oltre ai tribunali civili, gli Inquisitori di Stato e il Consiglio dei Dieci, che perseguivano i crimini politici. Nel 1581 Antonio da Ponte iniziò le antistanti Prigioni Nuove, uno dei primi carceri europei, che venne concluso nel 1610. organizzate autonomamente come un blocco compatto attorno al cortile, il loro prospetto si impone sul molo con l’alto porticato in bugnato rustico, che sostiene gli ambienti riservati al tribunale per i reati penali. Dal 1600 i condannati le raggiunsero attraversando il Rio di Palazzo sul ponte dei Sospiri, edificato da Antonio Contin con eleganti curve barocche, quasi a suggerire la poppa di un vascello.