LE ORIGINI – L’attuale borgo di San Leo deriva probabilmente da un originario insediamento umbro, occupato in seguito dai Romani. Dal suo nome romano, Mons Feretri, deriva il nome del Montefeltro, di cui San Leo (in onore del dalmata Leone, che nel IV secolo la evangelizzò), capoluogo di diocesi fin dall’VIII secolo, fu per lungo tempo il centro principale. In epoca longobarda era già quasi certamente sede di una fortificazione. Per la sua inespugnabilità fu la residenza dei re d’Italia. Sotto il sovrano Berengario II, nell’anno 962, San Leo divenne capitale del Regno d’Italia e accolse la corte reale e il tesoro della corona, fino alla conquista di Ottone il Grande. Ai tempi di Federico il Barbarossa (1155) San Leo passò ad uno dei tre fratelli di una famiglia da Carpegna di Monte Copiolo che, stabilendosi nel luogo, assunse l’antica denominazione della città chiamandosi Montefeltrano I (1132 – 1203): fu quindi lui il capostipite della famosa casata dei Montefeltro.
Nel XIII e XIV secolo, essi dovettero far fronte agli attacchi dei rivali Malatesta, perdendo e riconquistando più volte la fortificazione. Per lungo tempo il borgo seguì le fasi alterne di dominio delle due importanti famiglie finché, nel 1444, Federico da Montefeltro, per assicurarsene definitivamente il possesso, decise di acquistarlo da Pandolfo Malatesta, signore di Rimini. Nel 1479 i Montefeltro affidarono all’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, famoso per i suoi progetti di opere fortificate, l’incarico della completa ristrutturazione della rocca. Ne uscì un insieme sostanzialmente nuovo, costituito da due complessi: uno interno, di carattere prevalentemente residenziale, e uno esterno, costituito da un0importante cortina muraria rinforzata da due torrioni tondi che sporgono quasi totalmente dalle cortine.
UNA VITTA TRAVAGLIATA – Così ristrutturata, la rocca di San Leo continuò a essere un punto strategico importante, poiché permetteva di controllare le vie di comunicazione tra nord e sud e tra l’interno e la costa. Fu quindi costantemente oggetto delle attenzioni dei signori del luogo (e dei loro nemici). Venne ripetutamente assediata: espugnata dal Valentino nel 1502, fu riconquistata da Lorenzo de’ Medici nel 1516.
Questo periodo travagliato si concluse definitivamente solo quando, estintasi la dinastia ducale di Urbino, San Leo fu inglobata nello Stato della Chiesa (1631). Persa l’importanza militare, la rocca venne riconvertita a carcere di Stato fino al 1906.
C’È ROCCA… E ROCCA – Il termine “rocca” ha, nell’uso, due differenti significati: quello di castello costruito sulla cima di una montagna o di uno sperone roccioso, e quello di edificio fortificato appartenente alla cosiddetta “era di transizione”. Si indica con questa ultima espressione la seconda metà del Quattrocento, quando cominciavano a comparire sui campi di battaglia le armi da fuoco e i castelli dovettero riconvertirsi in strutture più solide, capaci di resistere ai cannoni.
San Leo è uno dei pochi edifici che possono chiamarsi “rocca” in entrambi i sensi: appollaiata sull’alto di un colle, è anche un’importante rocca rinascimentale, progettata dal celebre architetto Francesco di Giorgio Martini.
SAN LEO E CAGLIOSTRO – Anche il turista se ne può rendere conto: a San Leo è arduo arrivare. Ma è anche altrettanto difficile fuggire: logica, quindi, la sua conversione in carcere, dopo l’annessione allo Stato della Chiesa, quando le anguste cellette divennero l’ultima dimora di prigionieri politici o considerati particolarmente pericolosi.
Tra questi ultimi vi fu un avventuriero siciliano, Giuseppe Balsamo, meglio conosciuto come conte di Cagliostro. Nato nel 1743 da una modesta famiglia palermitana, Cagliostro visse nel lusso delle corti europee, grazie alla sua abilità nello spaccarsi come mago, alchimista e veggente. Ma alla fine, caduto in disgrazia, fu processato dal tribunale del Santo Uffizio e condannato a morte, pena poi commutata nel carcere a vita. Cagliostro venne imprigionato nella fortezza di San Leo, in una cella, ancora visibile, detta il Pozzetto, dove morì nel 1795.
San Leo visitate
Fate pure a modo vostro
Ma vi prego non scordate
La cella di Cagliostro.
STORIE DI SANTI – San Leo, oltre al celebre e indimenticabile Forte, vanta diversi altri luoghi di grande interesse. Innanzitutto c’è la caratteristica piazza Dante, dove parlarono sia il poeta fiorentino sia san Francesco. Dante ricorda la lunga ascesa alla città affermando che “qui trovammo la roccia della veta / che ‘ndarno vi sarìen le gambe pronte”. Il racconto della venuta di Francesco ci è tramandato da vive testimonianze: giunse a San Leo l’8 maggio del 1213 e “improvviso quella mirabile orazione che riempi tutti d’ammirazione”.
Una storia popolare, tramandata oralmente per generazioni, racconta che il “poverello di Assisi” giunse nella zona montefeltresca la sera del 7 maggio, mentre un violento temporale stava abbattendosi su di essa. Smarritosi tra le boscaglie, Francesco cominciò a pregare. Un grande fuoco, quasi che una stella del cielo si fosse messa a brillare, illuminò allora quei luoghi, mostrandogli la giusta strada. Così il santo raggiunse un casolare sotto la Rupe di San Leo, proprio nel punto in cui oggi si trova il convento di Sant’Igne (che deriva da ignis, fuoco).
Passata la notte nel rifugio, Francesco giunse nella cittadina, proprio nel bel mezzo di una festa organizzata in onore di Montefeltrano da Montefeltro che veniva armato cavaliere. Quando la festa, cui partecipavano tutti i più nobili personaggi del tempo, era al culmine, apparve Francesco. Salito su un muretto, sotto l’ombra di un olmo maestoso, iniziò a predicare alla folla il suo messaggio d’amore e d’umiltà. Tra i presenti c’era, appunto, il conte Orlando Cattani di Chiusi, che donò al predicatore il monte ove il santo “prese l’ultimo sigillo”. Sulla scia di quella memorabile visita sorge il convento di Sant’Igne, dove è ancora conservato un tronco dell’antico olmo, mentre nella bella piazza, per ricordare l’avvenimento, vi è quello piantato nel 1936 per ricostruire l’antico ambiente.
Un altro santo è legato alla cittadina montefeltresca ed è quello che fornisce il nome alla stessa: San Leo. Il sant’uomo vi giunse sul finire del III secolo d.C., al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. Leone, compagno di san Marino, nonostante i tempi cupi e minacciosi, fu il più grande evangelizzatore del Montefeltro, di cui è patrono. Il suo luogo di romitaggio fu la “Valsanta” e la fontana dove si dissetava è tuttora esistente (la fontana di San Leone). Morì il primo agosto del 360 e fu sepolto nella pieve che lui stesso aveva costruito. Per oltre seicento anni rimase nel suo sarcofago di pietra finché, nel febbraio del 1014, l’imperatore germanico Enrico II, detto “il Pio” per la sua devozione, con il consenso del papa Benedetto VII prelevò le spoglie del santo per portarle al suo paese. Ma durante il viaggio, quando si era nei pressi di Ferrara, i cavalli si impennarono e non vollero più proseguire, costringendo l’imperatore a lasciare il glorioso corpo in questo fortunato luogo, che prese il nome “San Leo di Voghenza”, da cui partì dicendo: “Io, nel mio viaggio, desideravo trattarti onorevolmente: abbiti il luogo che ti scegliesti”.
Nel 1953 una reliquia del santo venne portata a San Leo, ed è oggi conservata in un urna d’argento, assieme al coperchio del sarcofago che Enrico II lasciò nel Duomo della cittadina.
UN ULTIMO ENIGMA – Tra il campanile e il Duomo si trova, scavata nella roccia, una vasca quadrangolare con un’apertura in basso. Sopra la vasca c’è un pianoro intagliato nella roccia con due canalini che convergono scendendo verso la vasca. L’ubicazione e i contorni di questo manufatto hanno avvalorato l’ipotesi che si tratti di un antico altare utilizzato per sacrificare agli dèi pagani gli animali, il sangue dei quali veniva convogliato dai canali verso la vasca. Secondo altri studiosi questa struttura serviva per abluzioni rituali e venne quindi convertita in fonte battesimale. Altri ancora pensano che si tratti di una specie di arcaico oracolo dedicato alla divinità sorgive dove l’acqua, lasciata scorrere al buio, illuminata soltanto dalla luna, ispirava visioni profetiche.
Infine, in un mulino seicentesco vicino alla Rocca, la leggenda narra che si svolsero i convegni amorosi tra Federico di Montefiore e la bella mugnaia di Piega. Oggi non c’è più il mulino, ma una caratteristica locanda.
IL BORGO – La salita a San Leo e alla fortezza che lo domina non è agevole, ma la bellezza del luogo, dall’alto del quale la vista spazia su quasi tutto il Montefeltro, vale ampiamente la fatica.
Anche il borgo, come la rocca, ha mantenuto intatta la sua struttura antica e presenta un notevole interesse storico, artistico e paesaggistico.
L’unica, ripida via d’accesso sbocca in una bella piazzetta circondata da edifici di impronta rinascimentale e medievale. Particolarmente interessante è il palazzo Della Rovere, risalente al XVI secolo.
Sulla piazza si affacciano le absidi della pieve costruita nel IX secolo, raro esempio di architettura altomedievale.
In posizione isolata sorge la maestosa mole del duomo romanico, risalente al XII secolo, fiancheggiata dalla robusta torre campanaria costruita nello stesso periodo.
Sul punto più alto dello sperone roccioso sorge la rocca, in gran parte visitabile. Di particolare interesse il cosiddetto Pozzetto, cioè la cella di Cagliostro, e la cinta muraria, dalla quale si ammira uno splendido panorama.
La struttura dei torrioni è uno tra gli esempi più belli della nuova architettura militare rinascimentale, che architetti come Francesco di Giorgio Martini, i Sangallo e Michelangelo stavano elaborando nell’Italia centrale.
5 commenti:
Ne ho sentito parlare di questa rocca davvero inespugnabile. Buona serata cara
bellissimo posto anche questo, e incredibile storia quella di Cagliostro, un abbraccio. Alex
certo che, arroccata su quello sperone, era davvero inattaccabile! "Povero" Cagliostro, rinchiuso a vita nel pozzetto...quello era carcere VERO!
Conduci per mano il lettore talmente bene che sembra davvero di viaggiare. Posti belli e scatti interessanti. Complimenti
"Da qui si domina tutta la valle del Parecchia."
Non si chiama PARECCHIA, si chiama invece MARECCHIA, con la M. E' il fiume che sfocia a Rimini.
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