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mercoledì 17 novembre 2010

Nemrud Dagh - vicini ai troni celesti (parte II.)


La terza terrazza, posta sul lato nord, costituiva una tappa intermedia della strada che corre alla base del tumulo. Il completo programma religioso, comprensivo di tutti i dettagli celebrativi (che prevedevano per i sacerdoti l’obbligo di indossare il costume persiano, la disponibilità economica per garantire il cibo e vino ai fedeli partecipanti al culto) è noto grazie a una lunga iscrizione incisa sul retro delle statue colossali erette sulle due terrazze principali. In questo lungo testo Antioco propugnava la nuova fede come elemento fondamentale per la felicità dei suoi sudditi e dei posteri, garanzia di speranza e salvezza anche di fronte a grandi pericoli e a situazioni disperate che lo stesso re aveva vissuto di persona.


La terrazza orientale doveva rivestire a livello culturale un ruolo più importante, come indica la presenza di un grande altare monumentale a forma di piramide tronca eretta sul lato est. Dalla parte opposta stanno le statue colossali, erette su un basamento alto più di sei metri rispetto al piano della terrazza: alle estremità sono due basi che recavano le immagini di un’aquila e di un leone (ora cadute nei pressi) che simboleggiavano rispettivamente il dominio dei cieli e la regalità. Dominano ancora le statue delle divinità, raffigurate sedute, alte tra gli otti e dieci metri: al centro è la figura di Zeus Oromasdes, fiancheggiato a sinistra dalla personificazione della Commagene, nelle fattezze di Tyche, e a destra da Apollon Mitra Helios Hermes, ai lati dei quali erano a loro volta rispettivamente il re Antioco divinizzato e Herakles Artagnes Ares.
 Le statue (ormai tutte acefale) sono in blocchi di calcare locale, oggi con crepe e fenditure dovute agli agenti atmosferici e alle forti escursioni termiche del sito.  


Originariamente esse erano del tutto lisce: le dimensioni gigantesche delle statue, ideate per essere viste anche da molto lontano, resero superflua la lavorazione dei particolari fisionomici e dei panneggi, ridotti all’essenzialità, come si può notare nella resa della barba di Zeus Orosmades e di Herakles Artagnes Ares e nel trattamento delle vesti. Tra il piano delle statue maggiori e quello della terrazza c’è un gradone intermedio, sul quale era il ciclo dei rilievi in arenaria verdastra di “dexiosis” (vale a dire di accoglimento), nei quali Antioco I salutava e veniva accolto da ogni singola divinità; assieme ad essi vi era anche il rilievo astrologico del leone, pervenutoci quasi integro nella terrazza opposta. I lati nord e sud della terrazza sono delimitati da bassi muri a blocchi, formanti due piedistalli sui quali erano collocate lastre a rilievo,  rinvenute per lo più frammentarie, con le raffigurazioni dei progenitori (veri o presunti) di Antioco, debitamente corredate sul retro di iscrizioni esplicative. Sul basamento a nord c’erano quindici antenati di parte paterna comprendenti i re di Commagene e di Persia risalenti sino a Dario il Grande, mentre su quello a sud erano quelli macedoni di linea materna; quattro regine e tredici re, tra i quali doveva essere annoverato – con tutta probabilità – Alessandro Magno. Davanti a ogni raffigurazione c’era un altare rettangolare sul quale veniva bruciato l’incenso in occasione delle feste religiose.




Sul lato occidentale del tumulo, la terrazza presentava un allestimento leggermente differente: il lato di fondo era infatti occupato dalla stessa sequenza di statue colossali, mentre i rilievi dei progenitori erano disposti sul lato meridionale e su quello occidentale (destinati rispettivamente agli antenati persiani ed a quelli macedoni), in modo tale che le sculture venivano a formare una corte chiusa per tre lati. Questa terrazza al momento della scoperta presentava le statue quasi completamente crollate sul tereno a causa dei terremoti, dell’erosione del tumulo e forse anche dei tentativi dei cacciatori di tesori di rinvenire la camera funeraria. Ciò ha permesso di salvaguardare in notevole stato di conservazione parte dei rilievi degli antenati e, soprattutto, quelli pertinenti all’accoglimento di Antioco I da parte degli dèi.



In ognuno di questi sono raffigurati di profilo Antioco I e una divinità del ciclo colossale nell’atto di saluto reciproco: il re indossa la tiara e porta lo scettro, ma in queste raffigurazioni è vestito con abiti di foggia orientale. Gli stessi dèi sono riprodotti con iconografie differenti: anche Apollon Mithra Helios Hermes in questo caso è vestito all’orientale, reca il “barsom” ed è nimbato e radiato, mentre Herakles Artagnes Ares si presenta nella versione classica di Ercole, nudo, con la pelle di leone e la consueta clava. Completava la serie un rilievo molto famoso, noto come il “rilievo astrologico del leone”. Su di esso è raffigurato frontalmente un leone con le fauci aperte, recante al collo un crescente lunare; sullo sfondo e sul corpo del leone stesso sono raffigurate diciannove stelle a otto raggi che formano la costellazione del Leone, mentre in alto a sinistra ci sono tre stelle più grandi a sedici raggi, da riconoscere – come indicano esplicitamente le iscrizioni – i pianeti di Giove, Mercurio e Marte. La precisione  della raffigurazione rimanda evidentemente a un oroscopo (forse il più antico a noi giunto) connesso con un giorno legato alle vicende personali del re, la cui identificazione ha fatto discutere a lungo gli studiosi.



Gli elementi rappresentanti indicano che l’oroscopo di Antioco  era sotto costellazione del Leone, con i tre pianeti in congiunzione contemporaneamente alla luna: la data più probabile che ne risulta è il 17 luglio del 61 a. C., giorno che corrisponderebbe alla concessione ufficiale del regno ad Antioco da parte di Pompeo, dopo quella provvisoria del 69 a. C. data da Lucullo.



Se da un lato la volontà di costruire una tomba monumentale cosi impegnativa in un luogo cosi improbabile potrebbe sembrare la bizzarria di un monarca stravagante, dall’altro il testo della lunga iscrizione sacrale e l’interpretazione dell’apparato scultoreo chiariscono le intenzioni e il progetto propagandistico-religioso di Antioco I che, quasi a voler giustificare i suoi stretti rapporti con gli dèi, volle la sua tomba “vicino ai troni celesti”.



L’ambizioso progetto religioso di unire tradizioni e concezioni religiose del tutto diverse sopravisse solo per poche generazioni, nel corso delle quali i successori di Antioco I fecero erigere altri “hierothesia”, sebbene di gran lunga più piccoli. Di essi rimangono soprattutto il fascino unico e la sfida ai secoli del monumento del Nemrud Dagh, che conserva ancora gelosamente le spoglie di Antioco I, mai rinvenute nonostante un ventennio di ricerche scientifiche.   



Nemrud Dagh - vicini ai troni celesti (parte I.)




Dopo la sconfitta subita da parte dei Romani nella battaglia di Magnesia al Sibilo nel 189 a. C., il potente impero seleucide, erede delle conquiste di Alessandro Magno e che comprendeva allora gran parte della penisola anatomica e del Vicino Oriente, cominciò a dissolversi, assistendo impotente alla formazione di nuovi regni più o meno estesi. I signori di queste nuove entità politiche furono notabili locali, sacerdoti o militari, desiderosi di affermare la propria dignità regale, l’indipendenza e l’autonomia politica dei loro stati. Uno di questi regni fu la Commagene, piccola regione montagnosa compresa tra l’Eufrate e il massiccio del Tauro: una terra inospitale a causa del clima rigido che prevale in gran parte dell’anno, ma ricca di risorse naturali e soprattutto di primaria importanza strategica per la sua posizione strategica, vero e proprio corridoio di passaggio obbligato tra l’Oriente e l’Occidente. Tale ruolo segnò per tutta la storia le sorti del regno e in particolar modo nell’ultimo secolo prima del Cristo, quando fu oggetto di mire espansionistiche da parte dei nuovi dominatori del mondo: i Romani a occidente e i Parti a oriente. Nonostante le continue pressioni da parte dei due grandi imperi vicini, l’abilità dei re di Commagene fu tale che il piccolo regno riuscì a mantenere  l’indipendenza per quasi tre secoli, sino a quando fu definitivamente annesso all’Impero Romano nel 72 d. C. dall’imperatore Vespasiano.



Tra i vari re di Commagene che si succedettero, il più importante fu Antioco I, che regno dal 62 al 38 a. C., vale a dire nel pieno delle guerre civili che segnarono la fine della repubblica a Roma.
Nonostante si fosse schierato con Pompeo (che uscì sconfitto dallo scontro con Cesare), le sue velate propensioni verso i Parti e le sconfitte inflittegli da Lucullo e Marco Antonio, Antioco I mantenne saldo il potere per oltre un trentennio, nel corso del quale varò un programma dinastico-religioso molto singolare. La natura di terra di confine del suo regno, la convivenza di culture diverse e, verosimilmente, il desiderio di giustificare in modo assoluto il prestigio e l’autorità personali e dei suoi eredi furono i motivi che spinsero il re a inaugurare una nuova religione, che comprendeva divinità sia greche, sia persiane, ma dove avevano un ruolo fondamentale lo stesso dinasta e i suoi antenati.



I monumenti di culto di questa nuova religione erano gli “hierothèsia” (cioè le tombe monumentali dei re di Commagene), il più importante dei quali fu la tomba di Antioco I, un tumulo funerario decorato da statue colossali eretto sulla cima oggi nota come Nemrud Dagh. Il Nemrud Dagh fa parte della catena dell’Ankar Daglari, è una montagna alta 2150 metri, è relativamente isolata e per più di metà dell’anno è ricoperta dalle nevi; essa non è la più alta in assoluto dell’area, ma è particolarmente visibile in quasi tutta la regione e fu forse anche questo elemento che spinse Antioco I a sceglierla come ubicazione della sua tomba. Rispetto ad altri complessi monumentali dell’odierna Turchia, quello del Nemrud Dagh fu scoperto molto tardi (nel 1881) e in modo quasi casuale, ad opera di Charles Sester, un ingegnere tedesco incaricato di individuare nuovi tracciati per vie di comunicazione con l’Oriente anatomico, che volle verificare i racconti dei pastori locali riguardo a una montagna coronata da statue colossali.


A causa dell’altezza della montagna e della grandiosità dei resti, la notizia del ritrovamento fu inizialmente accolta con molto scetticismo e incredulità, ma a seguito di spedizioni condotte da studiosi tedeschi e turchi le immagini e i resoconti su questo monumento furono divulgati in tutto il mondo. Dopo un primo intervento nel 1939, indagini archeologiche estensive e prospezioni geofisiche si sono protratte dal 1953 al 1973, volte allo scavo e allo studio del monumento, nonché al tentativo di individuare la camera sepolcrale di Antioco I, sinora mai scoperta.



Il monumento funerario di Antioco I è un tumulo eretto sulla cima del Nemrud Dagh, alto 50 metri e con un diametro alla base di circa 150. alla base furono realizzate tre terrazze, parzialmente scolpite nel banco roccioso: le pietre e la ghiaia prodotte da tale lavoro furono utilizzate per il rivestimento del tumulo. Le due maggiori, ubicate sul versante est e ovest, costituivano il punto di arrivo di vie professionali che si inerpicavano sulla montagna. Esse venivano percorse dai sudditi due volte l’anno, in occasione delle feste che celebravano il compleanno del re (tra dicembre e gennaio) e il suo avvento al trono (a luglio) e due volte al mese dai sacerdoti incaricati del culto, nei giorni corrispondenti a tali celebrazioni.



(continua....)

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