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venerdì 7 gennaio 2011

Villa d’Este a Tivoli – La regina delle ville


Il cardinale Ippolito d’Este fece costruire nel Cinquecento questo stupendo complesso, che per il suo magnifico parco, ornato da fontane, è stato definito “la più bella villa italiana”: un’eccezionale combinazione tra arte e natura che ha  costantemente ispirato gli artisti.



ARCHITETTURA D’ACQUA – Al cardinale Ippolito d’Este, nominato governatore di Tivoli, fu assegnato, come sede, un’antico monastero benedettino, che egli decise di trasformare in una piacevole villa con parco a terrazze.


SOTTO LA PROTEZIONE DI ERCOLE – Pirro Logorio, uno dei più geniali architetti dell’epoca manierista, abbellì la residenza con una serie di fontane che hanno giustamente reso celebre il parco, tanto da far dire a un visitatore che “l’acqua è l’anima del mondo”.
Inizialmente i giardini erano dedicati all’eroe dell’antichità Ercole, partono della città di Tivoli, che appare anche nello stemma della famiglia d’Este e del quale vengono riproposte le leggendarie dodici fatiche, in sontuosi affreschi all’interno. A causa delle molte trasformazioni e aggiunte subite dalla villa, parte di questo riferimento simbolico è andato oggi perduto. Un tempo la “fontana degli Draghi” era decorata da una statua, oggi scomparsa, dell’invincibile semidio che roteava la clava contro un mostro dalle teste fiammeggianti.
Sono scomparse anche altre figure mitologiche e filosofiche, come la dea della natura Diana, nella “fontana dell’Organo”. Molte statue, di cui si è perduto l’originale, sono state sostituite da copie. Ma l’insieme è ancora impressionante.


PARCO FILOSOFICO – Il parco ha non solo connotazioni naturalistiche e architettoniche, ma anche simboliche e filosofiche, se non addirittura esoteriche. Con la sua realizzazione l’architetto intendeva mostrare che l’uomo, nella sua aspirazione alla felicità, è sempre dibattuto fra ambizioni personali, accettazione del proprio destino e ricerca del bello nell’arte e nella natura. A questa concezione corrisponde la perfetta geometria del parco, dove però i sentieri, continuamente e consapevolmente interrotti, comunicano un’impressione di incompletezza. Nessun altro giardino al mondo è stato raffigurato e descritto con maggiore frequenza. Anche compositori come Franz Liszt, spesso ospite tra il 1867 e il 1882, ne hanno tratto ispirazione per le loro opere.



QUESTIONE DI TERMINI – Quella di Tivoli è senza dubbio una villa. Ma il concetto “villa”, derivato dalla romanità, è tipicamente italiano. Oltralpe la parola è quasi sconosciuta, e ogni dimora di un nobile viene regolarmente indicata come “castello” (Schloss, chateau, castillo, castle). Il che crea non poche incomprensioni non solo tra i studiosi ma anche per i turisti.



IPPOLITO D’ESTE E I SUOI EREDI – Il cardinale Ippolito d’Este (1509 – 1572) era figlio di Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, e di Lucrezia Borgia, figlia del papa Alessandro VI. Apparteneva quindi a una delle famiglie più influenti d’Italia. Intraprese la carriera ecclesiastica fino a diventare il cardinale, ma non riuscì a salire al soglio pontifico, nonostante vi fosse stato più volte candidato. Particolare dispetto gli procurò l’insuccesso del 1550, quando gli fu preferito Giovanni Maria del Monte (papa Giulio III) nonostante Ippolito avesse investito quasi tutto il suo patrimonio nella corruzione dei cardinali elettori. Comunque lo stesso Giulio III lo compensò con la nomina a governatore di Tivoli, dove Ippolito costruì la sontuosa villa con parco. Questa passò in eredità ad altri due Estensi: Luigi, pure cardinale, e Alessandro, che ampliarono il complesso, diventato ormai una delle dimore della famiglia. Nel 1803 Ercole III d’Este morì senza lasciare eredi maschi. La proprietà passò alla figlia Maria Beatrice, andata in sposa a Ferdinando Carlo, figlio dell’imperatore d’Austria. Villa d’Este divenne quindi patrimonio degli Ausburgo e fino al 1914 appartenne all’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, il cui assassinio a Sarajevo fece scoppiare la prima guerra mondiale. Dal 1918 è divenuta un bene demaniale. Danneggiata durante la seconda guerra mondiale è stata più volte restaurata. Dal 2001 è Patrimonio dell’Umanità.



GIARDINO ALL’ITALIANA CON GIOCHI D’ACQUA – La villa è un edificio pregevole, affrescato da eccellenti pittori del tardo manierismo romano. Tuttavia la costruzione sembra quasi essere un sontuoso fondale per gli splendidi, impagabili giardini.
Al centro del parco sorge la “fontana dei Draghi”, che rappresenta la vittoriosa lotta di Ercole contro Idra, il gigantesco mostro dalle nove teste.
La “fontana dell’Organo” viene considerata una meraviglia della tecnica idraulica. I getti d’acqua, ricadendo, esercitavano sull’aria una pressione che metteva in funzione le canne di un organo idraulico completamente automatico. In origine era ornata da una statua della dea Diana, sostituita in seguito dal dio del mare Nettuno.
Il “viale delle Cento Fontane”, che taglia orizzontalmente il giardino, ben si merita la definizione di “sinfonia d’acqua, di luce e di suoni fruscianti”.
La “fontana della Civetta” emetteva un tempo una specie di allegro cinguettio, che simulava il tipico verso di questi uccelli.
La “fontana dell’Ovato” richiama Tivoli con le sue acque e i suoi monti e fa da contraltare alla Rometta.
La fontana denominata “Rometta” propone una curiosa riproduzione in miniatura di monumenti di Roma di cui rappresentava simbolicamente la gloria.
La “rotonda dei Cipressi” ha perduto oggi l’aspetto originale caratterizzato da orti e frutteti. 

 

martedì 16 novembre 2010

Villa Adriana - Un sontuoso rifugio per l’imperatore (parte II.)


È interessante notare come l’intera area fosse dotata di un vero e proprio sistema di strade sotterranee, alcune delle quali percorribili anche dai carri: una specie di rete di servizio indipendente, concepita per non arrecare intralcio ai livelli superiori. L’accesso principale della villa si trovava a nord, servito da un diverticolo della Via Tiburtina che costeggiava la cosiddetta Valle di Tempe, cosi chiamata a somiglianza di un omonimo e celebre luogo della Tessaglia.
Qui sorgeva l’Hospitalia, un edificio adibito a dormitorio dei pretoriani di guardia all’ingresso. Nelle vicinanze si trovano due ambienti, detti Biblioteche: in realtà si tratta di due triclinii estivi, ossia sale da pranzo, che fanno parte del nucleo più antico del palazzo. Nei pressi si ergono i resti del cosiddetto “Teatro Marittimo”, uno dei più suggestivi elementi del complesso. L’insieme è formato da un muraglione anulare, porticato verso l’interno, e da un canale, che delimita un’isoletta circolare, poteva assolvere tutte le funzioni pubbliche inerenti la figura dell’imperatore, garantiva nel contempo una riservatezza altrimenti impensabile e poneva Adriano al riparo dalle beghe di corte e dal controllo esercitato dal senato. Qui, inoltre, il colto principe potè mettere in pratica le sue personali concezioni architettoniche, a metà tra rigoroso classicismo e sperimentazione “barocca”, sorrette da audaci intuizioni scenografiche e dallo spregiudicato impiego di nuovi metodi costruttivi.



Villa Adriana è famosa infatti anche per il frequente impiego delle superfici curve e in particolare per la grande varietà di cupole – a semisfera, a spicchi, a ogiva - , cui si accompagna una ricerca costante degli effetti visivi. Oltre il Teatro Marittimo si estende la parte centrale della villa, comprendente il cortile delle Biblioteche, il Palazzo, il Ninfeo, la Sala dei pilastri dorici  con a lato la Caserma dei Vigili  e infine  la Piazza d’Oro, circondata da un grande peristilio e un portico a due navate. Dalla Sala dei pilastri dorici, in realtà una basilica, si accede all’ambiente detto “Sala del trono”, che con tutta probabilità costituiva effettivamente una sorta di aula palatina, destinata alle solenni sedute della corte imperiale. Il lato nord della Piazza d’Oro è caratterizzato da un vestibolo a pianta ottagonale, la cui copertura costituisce uno dei più notevoli esempi di cupola a spicchi, mentre sul lato sud si trova un grande e complesso ninfeo semicircolare, forse un triclinio estivo. Alla parete occidentale della Sala dei Filosofi, presso il Teatro Marittimo, è addossato uno dei lati corti del Pecile, grande piazza circondata da portici che costituivano una sorta di “xystus”, cioè un luogo destinato alle passeggiate e alle dotte conservazioni.



Verso est si trova una serie di altri edifici, i più famosi dei quali sono il cosiddetto Stadio e la “Cenatio” estiva, adibita ai banchetti ufficiali. Il gruppo di ambienti che segue comprende le Piccole e le Grandi Terme, il Vestibolo e infine il Canopo. Quest’ultimo è uno dei complessi architettonici più celebri del mondo antico: occupa una stretta valle ed è composto da un “canale” con il lato breve, convesso, ornato da un colonnato con architrave mistilineo. Sui due lati lunghi del bacino correvano altri colonnati, in origine abbelliti da copie di celebri statue greche.
La valle è chiusa dal Serapeo, grande esedra semicircolare coperta da una semicupola a spicchi alternativamente concavi e piani: in realtà un enorme letto triclinare a forma di identifica l’edificio come un’imponente “cenatio” estiva. La sua pianta si ispira a quelle dei templi egiziani e ben si accorda al bacino contiguo: proprio un canale, infatti, univa nell’antichità Alessandria alla città di Canopo, ove si trovava un celebre tempio di Serapide.




Il canale e la città erano noti per le feste e per i banchetti, un’eco dei quali è anche nel famoso mosaico nilotico di Palestina. A Canopo morì annegato Antinoo, il favorito dell’imperatore, che per questo cade nel più profondo confronto. Non è dunque un caso che proprio qui siano state rinvenute le statue più belle del giovane efebo, accanto alle imitazioni delle Cariatidi dell’Eretteo. Molte altre copie di celebri opere sculturee, come la Venere di Cnido, capolavoro di Prassitele, ornavano analogamente i vari settori della villa, rispecchiando il gusto collezionistico dell’imperatore. Proprio la ricchezza di tali reperti, oltre alla facilità con cui si poteva accedere alle rovine, fece si che già durante il Rinascimento Villa Adriana fosse mèta di viaggiatori, studiosi e antiquari; purtroppo, tanta fama condusse alla dispersione nei musei di tutta Europa dell’eccezionale patrimonio artistico raccolto da Adriano. Le spoliazioni proseguirono fino al 1873, quando iniziarono i primi scavi archeologici promossi dal governo.

Fonte: Splendori delle Civiltà perdute



Villa Adriana - Un sontuoso rifugio per l’imperatore (parte I.)



“Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis; quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula nec, ut soles dabis iocos” (Piccola anima mia, vagabonda e leggiadra, ospite e compagna del corpo, ora andrai in luoghi diafani, freddi e spogli, né più scherzerai come sei solita).
Questi malinconici versi – i soli pervenutici di un’opera alquanto vasta – ci parlano di un uomo dall’animo inquieto e romantico, di versatile ingegno e raffinato cultore della civiltà greca, oltre che figura di primo piano nella letteratura del suo tempo. Tuttavia, non si tratta di un poeta se non per diletto, poiché responsabilità ben più grandi che comporre rime gravavano sulle sue spalle: l’uomo di cui parliamo era Adriano, imperatore romano e tra le massime personalità di tutti tempi. Nato nel 76 d. C. a Italica, in Spagna, ancor giovane rivesti alte cariche pubbliche grazie alle sue doti di carattere e di valore militare; adottato come successore da Traiano, colui che aveva portato i confini di Roma alla loro massima espansione, fu acclamato imperatore nel 117, mentre ricopriva la carica di governatore della Siria. Tornato a Roma, inizio con spirito instancabile un complesso programma di consolidamento del sistema politico e militare dell’impero: a questo scopo, a partire dal 121 si recò di persona in Germania, in Galia, in Britannia – dove fece costruire il famoso Vallo -, in Spagna, in Africa e infine in Oriente. Nel 134 era nuovamente a Roma e da quel momento in poi si dedico al riordinamento amministrativo dell’Italia e alla riorganizzazione delle province. La morte lo colse nel 138, mentre si trovava a Baia, ma ci piace pensare che quei versi divenuti famosi, dedicati alla propria anima in attesa dell’attimo supremo, siano stati composti a Tivoli, nel luogo che l’imperatore amava sopra ogni altro e dove trovava rifugio dalle ansie del principato.


L’antica “Tibur”, città fondata dai latini a sudest di Roma, presso le cascate dell’Aniene, in età augustea era divenuta una delle località di villeggiatura più alla moda per i ricchi romani, una sorta di Saint-Moritz dell’epoca: qui  soggiornarono Cassio, Mecenate, Orazio, Quintilio Varo, Catullo, Sallustio, Augusto e, naturalmente Adriano. Oltre all’amenità dei luoghi, notevoli attrattive per i villeggianti erano costituite dal celebre Santuario di Ercole, dall’Oracolo della Sibilla e dalle terme di acque sulfuree situate nella pianura sottostante. Oggi, Tivoli è celebre soprattutto per la grandiosa Villa Adriana, ubicata in un ampio pianoro alle pendici dei monti Tiburtini, a sud-ovest dell’abitato.



L’insieme di edifici, che occupa un’area di circa 120 ettari e costituisce uno dei parchi archeologichi più suggestivi d’Italia, fu eretto sul sito occupato precedentemente da una villa d’età repubblicana e si inserisce nell’ambiente circostante senza forzature, apparentemente in maniera spontanea, ma di fatto secondo una precisa volontà progettuale, tanto che B. Cunliffe lo ha definito “uno studiato paesaggio architettonico”. La costruzione dell’enorme complesso, iniziata nel 118, durò oltre dieci anni, ossia il periodo in cui Adriano ispezionò le diverse province dell’impero: proprio di quei viaggi la villa volle in un certo senso essere un’antologia di ricordi, oltre che la simbolica rappresentazione dell’immenso territorio la cui unificazione era stata così tenacemente perseguita dall’imperatore.



Rifacendosi a una moda già in uso in età repubblicana, Adriano, particolarmente sensibile a ogni forma d’arte e amante della tradizione ellenistica, nella sua residenza si ispirò infatti a modelli celebri, imitando liberamente i luoghi e i monumenti che maggiormente gli erano rimasti impressi nell’animo; assai caratteristica è dunque l’insolita varietà delle strutture che affiancano la parte residenziale vera e propria, costituendo un caso unico nell’architettura romana. All’inizio i lavori si limitarono alla ricostruzione e all’ampiamento degli edifici già preesistenti, cui furono aggiunti un impianto termale, un ginnasio e una sala per i banchetti ufficiali. Tutto il resto – comprendente magazzini, portici, piscine e perfino un teatro – venne messo in opera via via che il luogo andava acquistando la sua definitiva dimensione monumentale, che poté dirsi compiuta solo nel 133.

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